Ecco la seconda corrispondenza di Carol De Assis, in cui ci racconta di politica, donne e informazione in Brasile.
Care tutte e cari tutti, nella mia prima lettera ho parlato un po’ di me e della mia ricerca sulle donne in politica in Brasile e la loro rappresentazione nei media. Vi voglio parlare ancora un po’ della mia passione su questo argomento e di come se la cavano le nostre sindache, deputate, ministre e presidenta.
Inizio proprio da queste parole: sindaca, deputata, ministra, presidenta. Sono queste le parole che mi hanno portata qui. Una volta Lorella ha chiesto cosa serviva perché in Italia queste parole non facessero più ridere. Nella sua ultima lettera (stupenda!), Livia, da Berlino, ha parlato del peso delle parole, in italiano e in tedesco. Qui in Brasile, sin dal primo gennaio del 2011 abbiamo una presidenta. Non presidente, come ci siamo abituati a dire in portoghese, ma presidentA – se la lettera A è quella usata nella nostra lingua per segnalare il femminile, io la voglio usare per segnalare la mia identità di donna, ha ragionato Dilma Rousseff. Lei si è sempre presentata come la futura presidenta del Brasile. La parola è diventata una vera e propria rissa tra i suoi sostenitori/e e i suoi oppositori/e, ed è pure un modo di sapere se uno/a simpatizza o meno con la Rousseff: basta osservare se si riferisce a lei come ‘presidenta’ o ‘presidente’. Come femminista e professionista della comunicazione, ho sempre fatto molta attenzione al modo in …
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