Lisbona
Chiara Baldin, insegnante linguista scrittrice
Scrive da Lisbona dove si è trasferita dopo alcuni anni in Germania
Pensa che vivere all’estero sia necessario arricchimento umano, culturale, linguistico e vitale. E che nonostante le enormi difficoltà, sia una tappa fondamentale per la crescita e l'apertuta di ogni essere umano.
Tuttavia sente che un giorno tornerà nel suo Paese e lotterà (come ha sempre fatto) per migliorare qualche briciola e offrire l'umanità che all'estero ha ricevuto a piene manciate.
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L'Amore è tutta un'altra cosa

L’Amore è tutta un’altra cosa

Ci scrive da Lisbona Chiara Baldin sul femminicidio che, purtroppo, unisce intergenerazionalmente le donne:

La magliette scollate maschili vanno di moda, vero? Vedo maschi di tutto il mondo che mostrano pettorali tonici e scollature da urlo. E se un giorno gli uomini lanciassero una nuova moda e iniziassero a usare short da cui sporgono cosce ben definite e una fettina di natica soda e provocante, voi, oh donne, vi sentireste in diritto di palpare quel ben di dio, molestando un maschio innocentemente seduto in autobus? Vi sentireste talmente provocate da intimidire l’uomo con sguardi insistentemente bavosi e obbligarlo a lasciarvi toccare ogni suo muscolo esposto e non? A mio avviso, in condizioni psicofisiche sobrie, una donna non oserebbe molestare un uomo. E non credo sia solo per il fatto che l’uomo di solito è fisicamente più forte e reagirebbe, difendendosi. C’è una ragione più sottile e fondamentale chiamata rispetto. Rispetto per la persona, vista non come giochetto sessuale e provocante bensì come essere vivente dotato di dignità. Almeno di un briciolo di dignità. Qualche giorno fa un amico mi ha raccontato di un schifido momento vissuto da una sua collega di lavoro. «Erano le 7 del mattino, sedeva sola in una delle file in fondo all’ autobus. È salito un uomo e si è seduto di fianco a lei… le ha puntato un coltello intimandole di fargli fare tutto ciò che desiderava. L’ha quindi molestata, mettendole le dita dentro la vagina e toccandola dappertutto». Io: «Meu deus…e l’autista non ha …

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LA DONNA CHE FECE DI UN GAROFANO IL SIMBOLO DELLA RIVOLUZIONE

LA DONNA CHE FECE DI UN GAROFANO IL SIMBOLO DELLA RIVOLUZIONE

Una storia bellissima che viene dal Portogallo e che ci racconta la nostra corrispondente Chiara Baldin: Lo scorso venerdì 25 aprile è stata una giornata impegnativa. Ho voluto ricordare le Rivoluzioni di due Paesi che mi appartengono. Due Paesi che anni fa conoscevano molto bene il prezzo della libertà e della dignità. Ascoltando alcune versioni di “Bella ciao” e documentandomi sulle donne della Liberazione italiana contro il regime fascista (spesso taciute e lasciate da parte nella storia) ho conosciuto anche Lei, Celeste Caeiro. Non italiana, bensì portoghese. Non una rivoluzionaria, bensì una “semplice” lavoratrice. Una donna che ha lasciato la sua impronta all’alba del 25 aprile 1974, giorno della Rivoluzione dei garofani, a Lisbona. In Portogallo. La Rivoluzione dei garofani (Revolução dos Cravos) fu il colpo di Stato pacifico attuato nel 1974 da militari dell’ala progressista delle forze armate del Portogallo (MFA) che pose fine al lungo regime dittatoriale fondato da António Salazar e che portò al ripristino della democrazia nel Paese dopo due anni di transizione tormentati da aspre lotte politiche. I leader dell’MFA si erano accordati con Carlos Albino, responsabile del programma musicale Límite di Rádio Renascença, perché trasmettesse la canzone operaia Grândola vila morena1 di José Afonso, come segnale di avvio delle operazioni. Nonostante l’ascolto della canzone fosse proibito dal regime, la vendita era consentita, e Albino ne acquistò una copia il 24 aprile. Alle 00:20 del 25 aprile, Teodomiro Leite de Vasconcelos di Radio Renascença trasmise Grândola vila morena. Era il segnale di inizio delle …

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Labbra Cucite

grazie a Chiara Baldin corrispondente da Lisbona, per questo testo Chi, tra le ragazze e le donne che stanno leggendo queste parole, ha mai sofferto, almeno un pochino, di dolori mestruali? E soprattutto… chi tra loro si è mai lamentata di questa periodica sofferenza?

Non stenterei a credere che il 98% delle donne lettrici ne ha sofferto e continua a soffrirne. Io per prima.

Ora provate a immaginare di avere una situazione genitale simile alle immagini qui sotto:

 Cosa notate?

Avete visto le cuciture parziali (immagini I e II) e totali (immagine III)?

Conoscete il tipo di pratica? Pensate che dia problemi e causi molto dolore ogni volta che la donna ha il ciclo mestruale?

Ebbene sì. Atroce e fortissimo dolore.

Si stima che 140 milioni di donne in tutto il mondo siano state sottoposte a tali mutilazioni dei genitali femminili (MGF) e che ogni anno 3 milioni di bambine ne siano a rischio. Circa 8.000 ogni giorno. In Europa, 500.000 tra ragazze e adulte soffrono per tutta la vita le conseguenze delle mutilazioni genitali.

Ogni anno sono circa 20.000 le donne e le ragazze provenienti da paesi a rischio MGF * che chiedono asilo all’Unione europea (UE).

*Paesi di origine a rischio MGF: Benin, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo, Costa D’Avorio, Jibuti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Kenya, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Tanzania, Togo, Uganda e Yemen.

Questi dati nazionali sono del Demographic and Health Surveys (DHS) published by

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" E il cognome di tua madre che fine ha fatto?"

” E il cognome di tua madre che fine ha fatto?”

 

Non sappiamo quasi nulla del Portogallo e dunque grazie a CHIARA BALDIN che ci allrga gli orizzonti.

“Verba volant, scripta manent era la frase che la mia prof. di latino e storia urlava sempre al liceo. Dopo tanti anni mi torna utile in nuove vesti: quando ho bisogno di dare il mio nome nei servizi pubblici lusitani.Ho finalmente trovato la strategia per fare intendere il mio nome senza usare costantemente lo  s-p-e-l-l-i-n-g: la soluzione? Carta e penna.Quando mi chiedono dunque le generalità, invece di dirlo, sorrido e lo scrivo su un pezzo di carta. Sin dal primo giorno a Lisbona chiunque mi conoscesse, oltre a pronunciare storto il mio nome («Schiara? Carino, esotico!») si meravigliava della sua brevità. Ciò che per me è sempre stato abitualmente standard, qui si rivelava una vera e propria anomalia degna di sbigottimento.

«Dunque ti chiami solo Chiara Baldin? … E un secondo nome non ce l’hai?

– Solo quelli inventati dagli amici.

E il cognome è di tua madre o di tuo padre?

– Di mio papà.

… Ah! E il cognome di tua madre che fine ha fatto?

– …».

Mi era sorta spontanea questa domanda quando, da adolescente, avevo conosciuto un bambino bellissimo a cui facevo catechesi che aveva solo il nome di sua mamma. Suo papà inizialmente non l’aveva riconosciuto come figlio, dunque gli era stato affidato il cognome materno.

Da una parte lo invidiavo. Se avessi potuto scegliere tra i due cognomi, avrei sicuramente scelto

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Sejam realistas, peçam o impossível!

Sejam realistas, peçam o impossível!

 Siate realiste/i, chiedete l’impossibile! Lettera da Lisbona di Chiara Baldin Un compito per voi da svolgere nei prossimi secondi: provate a definire il vostro mese di novembre in tre parole, leggete questo post e riportate nei commenti le parole da voi pensate. Siate realiste/i però… e continuate a chiedere l’impossibile! November is the cruellest month… come personalizzerei il verso dell’amato T. S. Eliot.Realista, Rosso, Rivolta: sono le tre parole per definire il mio Novembre.Nel penultimo mese del duemilatredici, Lisbona è stata palco e teatro di grandi giornate di sensibilizzazione crudele, spietata e militante. Da modesta ospite e partecipatrice, ho silenziosamente alzato la voce insieme a tante/i giovani e adulte/i lusitane/i.

Fino a metà novembre Lisbona ci ha risvegliate/i dal torpore ignorante e ha proiettato un Festival sulla Cittadinanza: otto giorni di documentari, dibatti, concerti e concorsi di poesia contro il razzismo hanno aperto gli occhi sul mondo, mobilitando riflessioni e sensazioni.

Ricorre l’anno europeo della Cittadinanza e il Festival “Rotas e Rituais” invita a vedere le multiple crisi che il nostro mondo sta attraversando, non solo come elementi preoccupanti e drammatici, ma anche come opportunità per perfezionare le nostre critiche, capire meglio come i nostri sistemi economici, politici, sociali e culturali si esauriscono in fumo e, soprattutto, per aprire un campo di possibilità ad altri modi di vedere, fare e articolare la libertà, la solidarietà e l’uguaglianza.[1] È inoltre un invito ad assumere il rischio della complessità, dell’incertezza, della differenza e a trasformarsi in azione e intervento.

Nel

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Il Seno Malato

Il Seno Malato

 Chiara Baldin, la nostra giovane corrispondente da Lisbona, raccoglie  con grande comprensione una testimonianza di malattia. Che potrebbe accadere qui o altrove. La morte è rimossa dalla nostra società. Credo che sia dovuto in parte a cio’ che Catherine Mayer definisce amortalità, dove la “a” è privativa. Generazioni che rimuovono la morte dal proprio percorso. Grazie Chiara. Il tuo post è la prova del  filo che lega le donne di diverse generazioni. “Il cancro è il nemico numero uno delle malattie: meno si nomina e più si pensa di evitarlo.E il motivo di tanta paura è che, legata alla parola cancro, c’è la parola morte. E nel nostro sistema, nella nostra civiltà, non si muore.Morte è sconfitta.

Morte è vergogna e perdita di dignità.

Abbiamo paura di morire ma guai a dirlo. Lo fai solo se stai lì lì per. Altrimenti, meglio evitare: non si sa mai che porti sfiga. E poi, la morte? Il cancro? Capita agli altri. A me no.

Ma è vero, di cancro si muore.

Una diagnosi di cancro abbraccia sempre una riflessione sulla fragilità della vita, sulla sua imprevedibilità e sorpresa. Alcune diagnosi più di altre. Per esempio, la mia. Tuttavia grazie ai miei figli e nipotini, sono stata richiamata alla vita. E la percepisco ogni volta in cui sono sveglia e lucida.

Sono consapevole che ho dentro di me un “caso terminale”. Che non c’è cura che lo abbatterà. Che morirò prima di quando avrei voluto morire.

Tuttavia non mi spaventa morire. Mi

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Chiara che rientra in Italia

Chiara che rientra in Italia

Italy on/off line

Probabilmente, paragonata ad altre giovani all’estero e/o in Italia, io sono e sarò sempre una mosca bianca. Leggendo gli ultimi post di Sguardi, di giovani inquadrate, con grandi personalità e una vita almeno un po’ definita geograficamente e professionalmente, mi sono ritrovata a riflettere sulla mia vita. Più precisamente, sugli obiettivi più intimi della mia esistenza.

Nelle ultime settimane ho intrapreso uno dei lavori più faticosi. Mi sta costando immenso stordimento, confusione, mal di testa e irascibilità, ma credo sia un cammino importante. Sto insomma riprendendo per mano una donna che temevo di aver quasi perso. Quella donna sono io. E con lei i suoi obiettivi di vita.

Ci sto lavorando in compagnia di un’altra Donna che rileggo sempre volentieri: si chiama Etty Hillesum e ha scritto un Diario diversi anni fa. Lo consiglio. Con il cuore.

Sto vivendo in un’era funambola. Chi con me la vive, diventa una sorta di equilibrista. E se cade… è la fine. In questo momento mi trovo nuovamente dislocata e senza una meta geografica definita.

In Italia.

Sono tornata per qualche mese per cause di forza maggiore, cogliendo al volo la vincita di un concorso per docenti italiano L2 -la mia supposta amata professione-: insegno a una classe di uomini con storie molto creativamente difficili. In aula ho sapori di Tunisia, Marocco, India e Pakistan. E vivo. Vivo in quelle ore. Nella vivida consapevolezza che né loro né questo paese mi daranno mai la possibilità di insegnare, di realizzarmi, di …

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