Si dice che un attimo prima di morire la vita intera ci scorra davanti in un secondo, che il tempo si dilati a dismisura, permettendoci, in un certo senso, di prolungare la durata della nostra esistenza. Forse succede davvero. E’ del tutto plausibile che il nostro cervello, presagendo la fine imminente, rallenti la nostra percezione del tempo pur di regalarci, in un estremo e disperato sussulto di autoconservazione, l’ultima occasione per riflettere, ricordare, rievocare. Per dare addio al mondo. Ed è il minuto prima che la sua vita si interrompa, che viene raccontato dallo splendido lavoro teatrale di Ruggero Cappuccio “Essendo Stato” Dove il monologo del Magistrato si alterna all’apparizione di alcune presenze femminili che parlano un siciliano arcaico: un coro da tragedia greca, i cui interventi accentuano l’atmosfera onirica della pièce e sembrano suggerire che la morte è una fine che coincide con l’inizio: un ritorno al materno. Il loro lamento incarna sia quello delle donne vicine a Borsellino (la madre, la moglie, le figlie) sia quello di tutta una terra, la Sicilia, ferita dalla perdita di un eroe. All’eroismo del giudice corrisponde la dignità (che riecheggia quella di Antigone) di chi dovrà piangere il proprio caro senza un corpo da poter seppellire.
Vidi a teatro anni fa il lavoro di Cappuccio e mai come allora compresi che solo l’Arte può rendere la tragedia dei fatti che hanno funestato il nostro Paese negli ultimi decenni. Non so se “Essendo Stato” venga rappresentato in questi giorni. Lo spero. Lo ritengo …
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