“I Nuovi Emigranti” titolava la copertina dell’Espresso di venerdi scorso 14 settembre.
Da qualche anno ragazzi e ragazze italiani emigrano per trovare un lavoro decente, visto che qui non ci sono opportunità. A differenza dei loro nonni, vanno all’estero da laureati, spesso con Master, e a giudizio delle organizzazioni  che poi li assumono, sono bravi e preparati.

Qui sul blog da tempo abbiamo avviato una proficua collaborazione con giovani donne italiane che si sono inserite, tra molte difficoltà, in un percorso lavorativo all’estero.
Giulia da Parigi, Chiara B. da Lisbona, Marina da Sydney, Livia da Berlino, Chiara C. da Oxford, Giusi da Barcellona, ogni lunedi ci racconteranno come si vive lontano da qui, quali sono i problemi, quali i vantaggi. Un canale diretto a cui potete inviare domande. Un altro modo di uscire dalle gabbie. Non tutte/i devono andare all’estero. Chi può però, ci vada. Serve consocere l’inglese, non serve avere consocenze e molti soldi. Andate e, quando avete accumulato espereinza, se potete tornate. Sarete forti di un’esperienza formativa impagabile.

Oggi Giusi ci racconta di un 11 settmebre diverso in Cataluna. Questo appuntamento si ripeterà ongi lunedì.
Buona settimana.

L’11 Settembre

Tutti voi saprete cosa accadde l’11 di settembre del 2001 con il terribile attentato alle Torri gemelle di New York.
Sicuramente meno persone sanno, invece, cosa accadde l’11 di settembre di un altro anno, il lontanissimo 1714. Quel giorno le truppe borboniche di Filippo V di Spagna conquistarono Barcellona, mettendo fine all’assedio alla città che durava da oltre un anno, per l’esattezza da 14 mesi (aveva infatti avuto inizio il 25 luglio del 1713).
Si trattava di uno strascico della Guerra di Successione Spagnola, altrimenti conosciuta come Prima guerra di Successione europea.
Questa data è diventata, molti secoli più tardi, il giorno della festa ufficiale di Catalogna (in catalano: Diada de l’Onze de Setembre, Diada Nacional de Catalunya, o semplicemente Diada), dichiarata tale dal Parlamento catalano ristabilito dopo la fine della dittatura franchista. In questo giorno si ricordano la fine di quell’assedio e la conseguente abolizione delle istituzioni catalane.
Tuttavia nel corso degli anni, e ben prima del 1980, avevano già avuto luogo, a Barcellona, atti commemorativi e manifestazioni, nelle quali si rivendicavano le perdute specificità catalane. La prima manifestazione si svolse nel lontano 1901.

Anche in tempi più recenti si è assistito a manifestazioni di massa, sempre in occasione dell’11 di settembre, in cui si chiedeva allo stato centrale maggiore libertà ed autonomia per la Catalogna, ma mai come in questo 11 di settembre le ambizioni indipendentiste erano state tanto esplicite ed evidenti.
Il comitato organizzatore della manifestazione, l’ANC (Assemblea Nazionale di Catalogna), aveva fatto sapere con largo anticipo che il corteo sarebbe stato aperto da uno striscione che non lasciava posto ad ambiguità: “Catalogna, nuovo stato d’Europa”, slogan ispiratore della medesima. E l’ANC chiedeva a chi non fosse d’accordo con questo principio base, di non andare alla manifestazione.
La partecipazione è stata massiccia. La “Guardia urbana” di Barcellona (la polizia municipale che dipende dalla Generalitat di Catalogna) ha parlato di 1.600.000 partecipanti. Gli organizzatori di 2.000.000! Un giornale più “neutro” come El País ne ha contati 600.000.
Al di là della polemica sulle cifre (tipica, del resto, di qualsiasi evento di massa), la risposta popolare c’è stata e senza dubbio alcuno. Tantissimi i pullman organizzati arrivati da tutta la regione. Una grandissima dimostrazione di forza cui hanno partecipato anche moltissimi leader del partito (moderato) di governo: CiU.
Anche se già il giorno successivo in molti, fra i politici, si sono affrettati ad abbassare il tono e a “sfumare” i contenuti delle richieste poste sul tavolo, sembra proprio che il dado sia stato tratto e che anche CiU abbia intrapreso, senza più esitazioni, il cammino dell’indipendentismo (basta solo leggere La Vanguardia – il giornale della borghesia catalana – per capire che le cose stanno proprio così).

A questo punto non resta che da chiedersi come mai l’esplicita rivendicazione indipendentista sia arrivata proprio ora con tanta prepotenza e determinazione.
Infatti, il catalanismo indipendentista è sempre esistito, ma è sempre stato minoritario; e in questo caso lascio a voi l’onere di farvi un’idea più precisa sull’esistenza, o meno, di reali fondamenti storici che avvallino l’ambizione di “autodeterminazione” da esso a lungo propugnata.
Il partito (o meglio la confederazione di due partiti) che qui ha agglutinato per anni la maggior parte dei consensi elettorali – e che ha governato la regione ininterrottamente dopo Franco (a parte la parentesi di 7 anni della coalizione del cosiddetto “Tripartit”) – è stato CiU (Convergència i Unió), alleanza di centro, democristiana, nazionalista ma NON dichiaratamente indipendentista.
Una sigla che si è costantemente barcamenata fra maggiori richieste di autonomia e minacce di rivendicazioni di indipendenza per ottenere dallo Stato spagnolo sempre maggiori spazi di libertà e di autogoverno in settori cruciali come l’Istruzione e la Sanità, e per ottenere, soprattutto, vantaggi economici.
I politici di Ciu (come tutti i buoni democristiani) si sono esibiti, per anni, in scoppiettanti piroette retoriche, abilissimi nel dire e poi smentire o non dire mai abbastanza chiaramente, con lo scopo di negoziare in ogni momento le migliori condizioni con il potere centrale rappresentato da Madrid.

CiU è tornata al potere di recente, dopo la parentesi del succitato tripartito (Socialisti, Repubblicani nazionalisti e Verdi).
Ma nel frattempo è accaduto qualcosa, o meglio è diventato sempre più evidente, un evento drammatico che sta causando problemi in tutta Europa: la crisi economica della zona Euro.
E lo scontro con Madrid si è quindi radicalizzato.
Dopo il penoso balletto di attribuzione di responsabilità, fra Ciu e il Tripartito, sulla creazione dello spaventoso deficit nelle finanze della regione – che ha obbligato a realizzare tantissimi tagli nel Welfare e che ha già condotto e porterà sicuramente a molti altri licenziamenti di lavoratori del settore pubblico (il tasso di disoccupazione, fra pubblico e privato, si attestava in giugno, in Catalogna, intorno al 21,95% – 22,83% uomini, 20,95% donne – pari a 615.576 lavoratori) – ecco che la risposta “indipendentista” ha preso improvvisa forza.
Si addossano ad altri (la Spagna che depreda la Catalogna) le “colpe” (che mai sono anche responsabilità propria) e si crea grande e facile consenso intorno ad un sentimento che è, a mio modo di vedere, negativo e distruttivo, e pertanto pericoloso: l’egoismo, foriero di odio e intolleranza.

Come scrive Jordi Gracia, cattedratico di Letteratura spagnola alla UB (Università di Barcellona), in un bell’articolo pubblicato ne El País del 12 settembre (ecco qui il link, http://elpais.com/elpais/2012/09/11/opinion/1347376344_293672.html )
“Los males reales empiezan por la crisis y acaban en España, o empiezan por España y acaban por la crisis: la confusión inducida en Cataluña consiste en identificar ambas cosas, así que para librarse de ambas basta con soltarse de una de ellas. El primer efecto político es librarse de culpas propias porque son ajenas (como todas las culpas, por supuesto). El segundo es explosivo como todas las falsas salidas únicas: el programa de salvación se reduce a la predicación exigente de la independencia (por la vía de una variante político-financiera del maltrato de pareja: el expolio).” (I mali reali cominciano dalla crisi e finiscono con la Spagna, o cominciano per colpa della Spagna e finiscono con la crisi: la confusione creata in Catalogna consiste proprio nell’identificare entrambe le questioni così che, per liberarsi di entrambe, sarà sufficiente liberarsi di una delle due. Il primo effetto politico sarà quello di liberarsi di colpe proprie perché in realtà aliene – come tutte le colpe, naturalmente -. Il secondo sarà esplosivo come tutte le false vie d’uscita: il programma di salvezza si riduce alla predicazione dell’indipendenza (presentata sotto la variante politico-finanziaria del maltrattamento coniugale: la spoliazione…).

Triste e preoccupante, come dicevo, il messaggio trasmesso – che purtroppo, ripeto, sta facendo crescere esponenzialmente le adesioni alla causa indipendentista – e che è certamente nocivo soprattutto per le generazioni più giovani, che di questo spirito sono già fortemente impregnate.
Infatti, oltre alla puerile idea assimilabile al “pensiero magico” infantile e cioè che, uscendo dalla Spagna si possa anche uscire miracolosamente dalla crisi (o addirittura, come ho anche letto nei commenti di alcuni articoli on-line: “Fuori dalla Spagna, fuori dall’Europa, fuori dall’Euro la Catalogna starà certo meglio” e sui tanti manifesti affissi nella città e nel web: “La soluzione c’è: indipendenza!”), la cosa peggiore è che si sta radicalizzando l’odio nei confronti di chi “deprederebbe” la Catalogna e che stia passando l’idea che le regioni più bisognose della solidarietà nazionale debbano essere lasciate in balia del proprio destino, messe di fronte alle proprie responsabilità anziché sostenute.
Come da noi in Italia (questi discorsi mi ricordano tanto la Lega di Bossi – tra l’altro estimatore di CiU) anche in Spagna, infatti, ci sono regioni depresse, meno sviluppate. Le regioni più ricche, in questo caso la Catalogna, pensano che sia arrivato il momento di mettere fine agli sprechi e agli aiuti inutili e improduttivi andandosene definitivamente.

Del resto provate a leggere la “cronaca” dei fatti apparsa sul Corriere della Sera del 12 settembre (http://www.corriere.it/esteri/12_settembre_12/spagna-indipendenza-barcellona_e404780c-fca3-11e1-8750-e7d636bddd26.shtml).
Ecco una delle testimonianze riportate: “«Molte persone che fino ad ora non avevano sostenuto rivendicazioni di indipendenza adesso lo fanno», spiega Elvira Farre, segretaria in pensione di Barcellona, «sono ispirati da sentimenti indipendentisti, ma anche dai loro portafogli». Sempre più vuoti a causa della situazione creata a Madrid, secondo molti.”
Sono d’accordo sul fatto che, certamente, molto denaro (anche europeo, ahimè) sia stato usato in maniera dissennata dal governo di Madrid (tanto dai conservatori del PP come dai Socialisti, che, oltretutto, hanno sempre strizzato l’occhio agli autonomisti in maniera spregiudicata) e che una classe politica mediocre non sia stata in grado di governare situazioni economiche complesse (come da noi in Italia con le politiche a favore del Mezzogiorno) creando delle ingiustizie e forse, in molti casi, alimentando la passività delle regioni meno sviluppate con dello sterile assistenzialismo.
Ma, a fronte di ciò, è pazzesco che i fautori dell’indipendentismo facciano leva su questa difficoltà per affermare che è giusto pensare “per se stessi, per non perdere i propri diritti acquisiti”, abbandonando gli altri (pigri, approfittatori e poco inclini a faticare) al proprio destino.
Sembra di sentire echeggiare le parole di Merkel e dei media tedeschi quando parlavano dei Greci, solo pochi mesi fa.
Come se, oltretutto, i catalani non fossero stati anche loro coinvolti negli sprechi o non avessero alimentato e sfruttato i fatui benefici di un’economia debole, drogata dall’esplosione del mercato immobiliare, che infatti è scoppiata lasciando morti e feriti…

Pur non essendo un’economista, sono certa che anche i catalani potrebbero avere (anzi già hanno) bisogno di aiuti economici, e non solo per colpa del mancato accordo sul tanto invocato “patto fiscale” con Madrid (che secondo loro gli consentirebbe di uscire dalla crisi, o meglio, unici in Europa oltre i tedeschi, se accettato in tempo da Madrid li avrebbe lasciati fuori dalla medesima. Che presunzione!).
Troppo facile (anche se politicamente vantaggioso) scaricare tutte le colpe sulla Spagna: “Catalunya dejará de ser expoliada y los españoles ya no harán más carreteras vacías con nuestro dinero” (la Catalogna non sarà più depredata e gli spagnoli non costruiranno più strade vuote con i nostri soldi).
Sapete chi si esprime così? Non di certo un leader xenofobo (o forse sì?) ma il capo di ERC (Sinistra repubblicana di Catalogna), il signor Oriol Jonqueras.
Se questa la chiamano sinistra…

Penso che bisognerebbe ritrovare un po’ di umiltà e di generosità, ma credo che da queste parti abbiano ormai imboccato la via del non ritorno. Anche se per fortuna non tutti la pensano così (parrebbe che la società catalana sia proprio spaccata a metà, secondo un sondaggio on-line de La Vanguardia il 51% sarebbe a favore di una secessione dalla Spagna, il 49% no), e al riguardo vi consiglio la lettura di questa bella lettera http://www.lavanguardia.com/participacion/cartas/20120912/54350134619/diada-marcha-independentista.html, purtroppo i media locali sembrano tutti compattamente schierati a favore della causa indipendentista e di certo non lavoreranno per una pacificazione, bensì per un aumento dei pregiudizi antispagnoli e dell’intolleranza.

A tratti mi preoccupa ed inquieta l’idea di vivere in un posto in cui il conflitto è tanto radicalizzato. Se potessi, ve lo dico onestamente, me ne andrei, perché penso che la situazione sia diventata ormai irrecuperabile, proprio a causa della crisi economica che ha fatto precipitare gli eventi.
Il mio più grande dispiacere è quello di dover vedere crescere mia figlia in questo asfittico humus culturale, in cui non si fa posto all’altro, in cui l’autoreferenzialità viene teorizzata e giustificata, santificata e considerata “di sinistra” (e guai a pensare diversamente).
Parafrasando Arrigoni dovremmo ridiventare tutti un po’ più umani in Europa, avere anche un po’ di pietà gli uni degli altri e dei nostri limiti. È della solidarietà, non del suo contrario che abbiamo bisogno in questo momento. E invece, mi sembra che abbiamo proprio perso completamente la bussola.

Leggete anche il post di Giulia da Parigi.