La prima lettera da Parigi di questo nuovo anno accademico non sarà io a scriverla, e vi spiego subito perché. Le cose sono andate così: dalle pagine di questo blog ho lanciato un piccolo appello invitando eventuali lettrici italiane che abitano qui a contattarmi. A questo invito ha risposto Simona Mazzoli.
Ci siamo incontrate in Place de Clichy, davanti alla libreria Gallimard. Simona è una ragazza tosta, determinata, piena di energia, il suo volto si illumina quando sorride ed ha una bellissima risata. Abbiamo parlato a lungo, come ci si conoscesse da tempo, riscontrando di avere molto in comune, oltre all’esperienza della migrazione, alla voglia assoluta di cambiare il mondo,  alla gratitudine che proviamo nei confronti di chi decide di esporsi e di regalarci la sua esperienza condividendola, creando ponti intergenerazionali, ponti che noi abbiamo urgenza di percorrere. Abbiamo parlato dei tanti femminismi che ci circondano, del bisogno che abbiamo di orientarci. Abbiamo parlato di incontri importanti, che ci hanno cambiate, che ci hanno permesso di aumentare la nostra consapevolezza. Da qui è nato il desiderio comune di realizzare un’intervista.
Simona arrivata a Parigi ha incontrato una donna che di ponti ne ha costruiti molti e ha voluto farci dono di questo legame per realizzare un’intervista che sono certa apprezzerete.
Lorella ha passato la parola a me, io passo il testimone a Simona, Simona, per noi e per voi, ha intervistato Florence Montreynaud, femminista francese dal percorso intenso e formativo. Un passaggio di testimoni, un ponte, tante riflessioni a vostra disposizione.
Buona lettura e  a presto,
Giulia

Intervista e traduzione a cura di Simona Mazzoli
Si diventa femminista dopo una presa di coscienza. Qual è stato il tuo percorso e come sei diventata femminista?

Sin dall’infanzia mi sono indignata per la condizione inferiore delle donne e il maschilismo di mio padre, senza avere le parole per esprimerlo. Ho avuto la fortuna, leggendo Le monde, di venire a conoscenza della prima manifestazione pubblica di quello che i giornalisti avrebbero chiamato MLF, mouvement de libération des femmes [movimento di liberazione delle donne, N.d.T.]. Ebbe luogo a Parigi, il 26 agosto 1970. Se ho avuto voglia di unirmi a queste donne, è stato grazie al loro senso dell’umorismo: avevano deposto un mazzo di fiori alla “moglie del milite ignoto”.

Cosa significa per te “essere femminista”?

Per me, significa aver compiuto una rivoluzione interiore, perché essere femminista vuol dire pensare con la propria testa, essere autonoma, affermarsi come soggetto della propria vita. È una posizione umanista, più estensiva di questo termine così ristretto che risale alla fine del XIX secolo e rimanda alla richiesta dei diritti delle donne, a cominciare dal diritto di voto.
Oggi, per me, agire da femminista significa agire collettivamente per realizzare un progetto politico misto e universale, animato dal desiderio di un mondo in cui donne e uomini siano uguali in dignità, nei diritti e nei fatti.
Il femminismo è una rivoluzione permanente e pacifica che “non ha mai ucciso nessuno, mentre il maschilismo uccide tutti i giorni” (Benoîte Groult).

La parola “femminismo” ha ancora senso nel 2012?

Chi lo mette in dubbio ha forse constatato la scomparsa delle ineguaglianze, discriminazioni e violenze contro le donne in quando donne?

Possiamo ancora parlare di “diritti delle donne” o dovremmo invece parlare di “diritti degli individui”?

I diritti delle donne fanno parte dei diritti umani. Finché gli uomini saranno più pagati delle donne a parità di lavoro e si faranno carico solo del 20% dei lavori domestici – due esempi tra tanti –, bisognerà ancora agire affinché i diritti delle donne progrediscano.

Il tuo motto è: “Et liberi et libri”.

“O figli o libri”: tale era la scelta imposta un tempo alle ragazze che volevano studiare. Ho accettato la sfida di essere madre e scrittrice.

In che modo la politica potrebbe contribuire alla parità donne-uomini?

Dando l’esempio! Il governo paritario (sul piano numerico) di François Hollande è un buon inizio.

La liberazione delle donne passa attraverso la liberazione sessuale?

Bisogna intendersi sul significato dell’espressione “liberazione sessuale”.
Per le donne, nessuna liberazione è stata pensabile prima della diffusione della contraccezione moderna (pillola, spirale, ecc.), il cui avvento risale a due generazioni fa. Siamo di fronte ad una rivoluzione nella storia dell’umanità: finalmente la sessualità umana è stata dissociata dalla procreazione e le donne – tutte le donne, non solamente quelle sterili – hanno potuto, libere dalla paura di una gravidanza indesiderata, proiettarsi nel futuro e fare progetti indipendenti dagli imprevisti della loro fecondità.
L’evoluzione del pensiero è però lungi dall’aver subito la stessa rivoluzione e le menti devono ancora liberarsi dal condizionamento maschilista. La modernità ha alleggerito solo di poco il peso della “doppia morale”, concetto definito da alcune femministe del XIX secolo: in materia di sessualità, gli uomini hanno tutti i diritti perché i desideri maschili, e solo quelli, sono considerati legittimi e imperiosi.
Ancora oggi, l’asimmetria è la regola. Il desiderio è considerato come proprio dell’uomo (“ho un’erezione, dunque sono”), mentre per le donne la sessualità è un’onta (“sono tutte zoccole!”).
Pensate che stia esagerando? Alla domanda “Quante-i amanti hai avuto prima di me?”, credete che lo stesso numero abbia lo stesso valore per un uomo e per una donna? Altro esempio: l’indomani di un incontro, quale dei due chiama l’altra-o? Infine, perché “succhiamelo”, in Francia, è un’ingiuria comunemente rivolta alle donne senza che esista l’equivalente (“leccamela”) nei confronti degli uomini?
Che peccato che il piacere sessuale, così intenso, così bello (che per giunta è gratis e non fa ingrassare) sia così spesso legato all’oppressione maschilista, uno dei  fondamenti delle nostre società!
Quanti decenni dovranno ancora passare prima che l’immaginario delle donne venga liberato, prima che le donne si sbarazzino della preoccupazione di piacere innanzitutto all’altro anziché a se stesse, prima che comprendano quali sono i loro veri desideri?
Il primo passo in questa direzione consiste nell’istituire un’educazione affettiva e sessuale fin dalla più tenera età. Si deve sviluppare l’autostima delle ragazze e delle donne affinché abbandonino il sogno di un’impossibile perfezione fisica e smettano di torturare i loro corpi per farne un oggetto sessuale a cui solo uno sguardo di desiderio maschile può dare valore. A questo riguardo, mi unisco a Lorella Zanardo, di cui ammiro l’impegno e la mobilitazione. Se le donne diventassero soggetti del proprio desiderio, imparassero ad esprimerlo, osassero prendere l’iniziativa rispettando la scelta dell’altro, questa sì che sarebbe una rivoluzione nelle relazioni tra donne e uomini! Sia le donne che gli uomini devono poi affrancarsi dall’ipersessualizzazione del nostro mondo: dopo decenni di ipocrisia e di puritanesimo, ci troviamo ora nell’era dell’esibizionismo e della mercificazione. Nelle città occidentali e nei media, il sesso satura lo spazio, normalizzato, commercializzato, banalizzato, divenuto materiale per esibizioni e profitti.
E se parlassimo invece del valore dell’intimità, della nudità che gli è associata, col  carico di vulnerabilità e confidenza che essa implica, del tempo che serve per conoscere se stessi, conoscere l’altro, acquisire familiarità, scoprire il piacere nella reciprocità e nella condivisione? E se ci liberassimo dai modelli fittizi imposti dalla pubblicità, dalla televisione e dalle riviste e imparassimo ad amarci come siamo, ad accedere ai nostri veri desideri, a darci la possibilità di vivere una relazione sessuale autentica, dove potrebbe fiorire una creatività la cui ricchezza ci è ancora per lo più sconosciuta?
Credo che sia proprio questo l’inizio di un cammino personale verso la liberazione.
Quanto a quella del mondo in cui viviamo, è ancora da compiersi: in un mondo libero, non ci saranno né propaganda né pubblicità, prigioni dello spirito.

Ci sono esempi di liberazione sessuale alla televisione o nella pubblicità?

Quelle immagini di esseri umani giovani e belli ci presentano una liberazione sessuale fittizia, con dei corpi perfetti (ritoccati al computer), dunque irreali, che sollecitano il voyeurismo del pubblico. A causa del confronto che stabiliamo coi lori corpi, queste immagini rendono infelici coloro che hanno scarsa fiducia in se stessi (ovvero la maggior parte di noi). Il loro scopo è commerciale – farci comprare il prodotto associato all’immagine della modella – ma allo stesso tempo veicolano un messaggio di normalizzazione diffondendo massicciamente nello spazio pubblico un ideale fisico impossibile da imitare. Questa propaganda totalitaria è l’opposto della liberazione: è una schiavitù.

Qual è l’influenza del militantismo femminile sulla diffusione delle pubblicità sessiste?

L’esperienza delle azioni femministe contro la pubblicità sessista mostra quali sono le strategie efficaci per limitarne la diffusione, ma manca una volontà politica forte che riesca ad opporsi al rullo compressore della potente industria pubblicitaria, con le sue decine di migliaia di dipendenti al servizio di una propaganda commerciale. Al suo confronto, che peso hanno qualche decina di femministe, anche se capaci e motivate come quelle della rete La Meute des Chiennes de garde (www.lameute.fr/index/) che ho diretto per 11 anni?

Quali sono i tuoi progetti femministi oggi?

Dopo aver lanciato nel 1999 il movimento delle Chiennes de garde per difendere alcune donne aggredite in pubblico con insulti sessisti, dopo aver agito per anni per imporre il rispetto delle donne nello spazio pubblico (azioni contro le pubblicità sessiste), mi occupo ora di un argomento in cui convergono oppressioni di ogni tipo – sessiste, razziste, classiste, giovaniliste, ecc. – su uno sfondo di ultraliberalismo: la prostituzione.
Agisco in un modo che non è mai stato sperimentato prima: creare una rete di uomini che dicono NO alla prostituzione e rendono pubbliche le loro motivazioni. La maggior parte di questi uomini non vuole contribuire ad un sistema di sfruttamento dei più deboli che concorre a rendere la sessualità umana una mercanzia. Altri parlano del loro desiderio: vogliono essere desiderati per quello che sono e non per il loro denaro. È con questi uomini che mi piace immaginare un mondo senza prostituzione, un mondo di libertà e di uguaglianza: se siamo abbastanza numerosi a volerlo, un mondo così è possibile!

Intervista e traduzione a cura di Simona Mazzoli