Giusi Garigali da Barcellona continua i suoi reportage e ci racconta in questo articolo della fecondazione assistita e della chirurgia estetica per le quali Barcellona è meta europea. Si tratta di un post importante perché, come sempre diciamo, non c’è progresso senza aprire gli occhi sulla realtà al di là dei nostri confini.

Devo dire che una delle cose che più mi colpiscono da quando vivo qua (mi domando se in Italia sia altrettanto evidente) è la contraddizione insanabile che a mio modo di vedere esiste tra la ricerca spasmodica della maternità – a tutti i costi e a tutti i prezzi – e la negazione sistematica dei segni che lascia quest’ultima.
Attenzione, non sto affatto dicendo che siano le medesime donne quelle che ricorrono a tecniche di riproduzione assistita e quelle che fanno uso della chirurgia plastica, ma certo mi sembra assai singolare che proprio in uno stesso luogo, e cioè la capitale catalana, queste due possibilità vengano portate alle loro estreme conseguenze.
Sono certa, infatti, che Barcellona sia una delle città europee in cui in maniera più stridente coesistono e si fronteggiano queste due realtà e in cui, dunque, il corpo della donna viene brutalmente manipolato e calpestato, guarda caso quasi sempre da uomini (anche se con il totale, apparente, beneplacito delle donne).
In questa città, infatti, pullulano gli apprendisti stregoni della fecondazione assistita e della chirurgia estetica, professionisti abilissimi che, grazie ad un marketing aggressivo, riescono a creare sempre nuovi “desideri” nelle donne. Qui, tecniche mediche e chirurgiche, ogni volta più esagerate ed estreme, vengono offerte e vendute a caro prezzo. Ginecologi e chirurghi plastici lucrano sul corpo della donna ridotto a campo di battaglia, trafficando con “sogni” che possono costare molto cari in termini di conseguenze fisiche negative.

Come saprete, Bcn è una delle più rinomate mete del “turismo riproduttivo” internazionale, frequentata da molti nostri connazionali probabilmente anche per un fattore di vicinanza linguistica (come testimoniato, per esempio, in Manuale d’amore 2, nell’episodio di cui è protagonista Fabio Volo insieme a Barbora Bobulova).
Qui a Bcn, pagando, si può accedere praticamente a qualsiasi tecnica di riproduzione assistita e le cliniche catalane, fiutando gli affari, si sono attrezzate a dovere per ricevere i pazienti italiani, fornendo anche servizi di traduzione/interpretariato e formando linguisticamente il proprio personale per venire incontro alle necessità dei nostri compatrioti.
L’unica limitazione che si può, a volte, trovare è rispetto a quelle donne che cercano una gravidanza pur avendo superato i 50 anni (la legge spagnola in realtà non lo proibisce, ma i centri sarebbero dell’avviso di limitare il proprio intervento alle minori di 50 anni). Tuttavia, sborsando sborsando, si possono trovare cliniche compiacenti che agiscono in barba all’etica (teorico diritto del nascituro ad avere dei genitori “relativamente” giovani).
L’offerta in città è vasta. Si può arrivare a conseguire una gravidanza, contemporaneamente, attraverso sparmadonazione e ovodonazione. Per casi come questi (in cui ci sia una doppia sterilità maschile e femminile) si possono anche evitare le liste d’attesa per la donazione e decidere di “adottare” embrioni già concepiti e congelati, dato che qui la legge lo consente.
Mi sono spesso chiesta cosa spinga tante donne a sottoporsi a pesanti cure ormonali per ottenere e portare avanti una gravidanza ottenuta grazie all’ovodonazione anziché, ad esempio, intraprendere la via dell’adozione. Le risposte ci sono e saranno più d’una, ovviamente. Non mi permetto di giudicare, ma è innegabile che questa decisione sia certamente gravida (per restare in tema) di problematiche etiche e psicologiche che andrebbero sollevate e discusse (cosa che qui in Spagna si evita di fare, perché si pensa solo al versante “business” e quindi a “vendere” la strabiliante opportunità).

Poco tempo fa lessi un interessante post sul Blog di Marina Terragni che si interrogava proprio sulle problematiche della fecondazione eterologa, prendendo spunto dal parere espresso dal Comitato di Bioetica, secondo il quale bisognerebbe raccontare ai bambini, frutto di fecondazione eterologa, da dove vengono http://blog.leiweb.it/marinaterragni/2011/12/11/donare-e-non-sparire/
Mi sembrò assai lodevole che, a livello informativo/divulgativo, qualcuno si ponesse con chiarezza il delicatissimo problema del “non detto” e delle devastanti conseguenze che esso può causare su degli esseri ignari, che non hanno certo responsabilità alcuna su quelle che sono state le scelte dei loro genitori.
Tuttavia ho come la sensazione che – soprattutto osservando la situazione qui, dove si ragiona unicamente in termini di guadagni – queste siano le riflessioni serie ed isolate di pochi scrupolosi che, con grande apprensione, si fanno delle domande sul se e sul come comunicare la verità rispetto ad una scelta così difficile come la fecondazione eterologa a chi ne è il frutto (il bambino o la bambina nati, per l’appunto, da una donazione).
In realtà, se andiamo a vedere come si propone la possibilità di accedere alla fecondazione eterologa in questi centri, soprattutto nel caso della donazione di ovociti, nulla viene problematizzato o reso davvero esplicito. Si tende a porre l’accento sul conseguimento della gravidanza (quasi questo fosse l’unico desiderio della donna, la sua naturale missione), tralasciando di parlare delle problematiche connesse alla “donazione” ed enfatizzando, invece, lo “stato interessante” (mai espressione fu più azzeccata).
Ecco, a me fa paura questa omissione. Parlare è importante, come diceva Terragni. Non si può lasciare spazio al vuoto, al non detto. Dal punto di vista della costruzione dell’identità è importante sapere da dove veniamo (e infatti, per quanto ne so io, anche i ragazzi adottati hanno il diritto di conoscere i propri genitori “biologici”). Quali conseguenze avrà sui figli dell’eterologa il bagaglio del taciuto? (Infatti, come dice Marina Terragni nel post appena citato: “intorno al buco del segreto e del non detto, che i bambini percepiscono perfettamente, proliferano i fantasmi”)

Qui sono moltissime le “vip” che fanno ricorso a questi metodi ma che poi lo negano ed anzi usano queste gravidanze “straordinarie” per farsi pubblicità. Ultima, qualche tempo fa, Carmen Russo che, ospite di uno di quei talk show spagnoli che nel mio penultimo post definii come “osceni”, raccontava di trovarsi a Barcellona per sottoporsi a delle cure per realizzare il suo “sogno” di essere madre ed assicurava che il figlio sarebbe stato “assolutamente suo” (a 63 anni suonati, anche se ne dichiara poco più di 50).
In realtà, un famoso medico di una delle più conosciute cliniche barcellonesi specializzate in procreazione assistita, interrogato da me tempo fa mi disse che senza dubbio tutte le cosiddette “famose” che sono diventate “madri” oltre i 45 anni, lo hanno potuto fare solo grazie alla ovodonazione.
E, di fatto, le statistiche, al riguardo, parlano chiaro e con il solito linguaggio cinico che contraddistingue i medici, di solito poco capaci di empatia.
Il responsabile del reparto di riproduzione assistita di un’altra famosa clinica privata di Bcn mi ha mostrato un foglio nel quale si diceva chiaramente quali fossero le conclusioni della comunità scientifica sulla fertilità over 40: per una donna di 45 anni la possibilità di avere un figlio sano e geneticamente proprio è pari all’1% (mi hanno parlato di “take-home baby”, definizione che, come comprenderete, mi ha fatto inorridire). Figuriamoci per una che ha abbondantemente superato i 50!
Quindi, il marketing che racconta di felici esperienze di maternità oltre i 45 senza spiegare come e a che condizioni, sta compiendo una irregolarità incommensurabile, sta creando delle aspettative che non corrispondono alla realtà, senza sollevare assolutamente i problemi etico-psicologici connaturati, su cui almeno ci si dovrebbe interrogare. E, soprattutto, sta banalizzando il tutto al livello della “monetizzazione”: con i soldi puoi comprare qualsiasi cosa, puoi vincere i limiti della natura accarezzando l’onnipotenza.
Senza contare che, comunque, con più o meno di 45 anni, di fronte a casi di menopause precoci o altre patologie, la stimolazione ormonale non è di certo una passeggiata. Preparare l’utero di donne già in menopausa ad accogliere e nutrire un embrione non deve essere certo un procedimento esente da rischi e non è ancora chiaro quali conseguenze potranno avere, sul lungo periodo, questi trattamenti reiterati (infatti, normalmente, i cicli, per avere successo, devono essere più d’uno).

Paradossale poi, riprendendo le premesse dell’inizio, che in una città considerata uno dei santuari della fecondazione assistita a livello internazionale (in un articolo apparso anni fa sul Corriere della Sera Barcellona veniva addirittura definita la “terra promessa” delle coppie italiani non fertili) ci sia anche un proliferare di cliniche specializzate in chirurgia estetica che in molti casi promettono di “cancellare” gli inestetismi causati dalla gravidanza.
Personalmente mi appare quasi uno scherzo, una beffa della società contraddittoria in cui viviamo, che nello stesso luogo in cui si vendono le più sofisticate tecniche mediche per ottenere una gravidanza, ci sia anche un’offerta smisurata di centri estetici e medici che promettono di aiutare le donne a cancellare gli “orribili segni antiestetici” che la gravidanza lascia sul loro corpo.
C’è chi cerca con ostinazione e disperazione una gravidanza sfidando i limiti imposti dalla natura e chi invece (fortunata per averla potuta vivere, magari senza grandi difficoltà) non si ferma a goderne e contemplarne con benevolo stupore le conseguenze sul proprio corpo, ma cerca affannosamente di cancellarne subito le tracce.
Uno degli interventi più frequenti per contrastare la perdita di tonicità del seno dovuta a gravidanze ed allattamenti, è la mastoplastica additiva, e cioè l’inserimento di protesi di silicone per sostenere/aumentare di volume la ghiandola mammaria. Si tratta dell’operazione di chirurgia estetica più realizzata in Spagna, quarto paese al mondo per numero di interventi di chirurgia plastica.
Ecco, molto spesso mi sono domandata:

1)    perché noi donne dovremmo cercare ossessivamente di mantenere inalterato il nostro corpo, come se il passare del tempo e le esperienze fatte (una o più gravidanze inevitabilmente lo modificano) non potessero lasciarvi giustamente traccia? Perché questa pretesa supponente di vivere delle esperienze senza accettarne le conseguenze tangibili?

2)    Perché siamo incapaci di fare una rivoluzione copernicana e di pensare che un corpo che “ha vissuto”, anche se è cambiato, può essere interessante proprio in virtù di quelle tracce che la vita lascia? Perché non siamo capaci di sentirci orgogliose del fatto che il nostro corpo si è modificato perché è stato utile ed utilizzato per qualcos’altro (per es. ha portato dentro un bambino) e invece ci affanniamo a cancellare ogni possibile marca e, se non ci riusciamo, viviamo ciò con un senso di sconfitta ed impotenza per non avercela fatta?

3)    Perché, ancora una volta, abbiamo fatto nostro il punto di vista (che supponiamo maschile) secondo il quale solo dei seni pieni, sodi ed alti sarebbero attraenti?

4)    Perché, pur di compiacere gli uomini, siamo disposte persino ad affrontare un intervento chirurgico, che non serve certo a migliorare la nostra salute ma anzi la mette a repentaglio, non solo nel momento dell’intervento ma anche a posteriori, come nel caso recente delle protesi PIP? (penso che anche in Italia se ne sia parlato).

Ricordo con grande fastidio, e quasi con dolore, l’epoca del post-parto. Mi sentivo ripetere in continuazione che, al più presto, AVREI DOVUTO cominciare a fare degli esercizi per gli addominali, perché altrimenti la cosa sarebbe diventata “irrecuperabile”.
Mi sembravano inopportune ingerenze nella mia vita personale. Col senno di poi capisco che molti mi parlavano in totale buona fede, perché per molte donne tornare subito ad indossare i vestiti di prima della gravidanza è diventata, ormai, una vera e propria ossessione.
Infatti i giornali “rosa” sono pieni di immagini di attrici, modelle etc. che dopo pochi giorni dal puerperio hanno già “miracolosamente” recuperato la propria forma fisica. E così, quella che per alcune (poche) è puramente una ragione di lavoro (e fonte di denaro) per moltissime altre è diventata una “mission impossible” da perseguire caparbiamente, a costo di rimetterci la propria salute, fisica e mentale.
Con questo non voglio dire che in gravidanza sia opportuno ingrassare a più non posso o che non ci si debba controllare, ma per ragioni legate alla salute, non di certo all’estetica. E ogni corpo ha le sue necessità.

Questo affanno nel “negare” quanto avvenuto nella propria carne cancellandone i segni mi pare paradigmatico di una società come quella attuale, in cui tutto è possibile a condizione che si paghi, anche cose in apparente contraddizione fra loro.
Una società in cui non si è disposti a rinunciare a nulla e in cui si pensa che, con i soldi, si possa comprare tutto e il contrario di tutto.
Un mondo in cui si vive superficialmente, in cui le esperienze scivolano via e non devono lasciare segni.
È quindi possibile avere un figlio ad oltre 50 anni (si negano e superano i limiti dell’età: basta pagare) e se non ci si riesce, come diceva Carmen Russo nell’intervista che vi ho appena citato, allora si può pensare all’utero in affitto (anche se si sono superati i 60).
Si possono avere gravidanze gemellari e poi voler tornare subito in forma, meravigliose e perfette come Jennifer Lopez.
Si vogliono fare cose da giovani quando giovani non lo si è più e ci si vuole mantenere con un corpo inalterato ed incontaminato dopo aver vissuto (mi domando con quale profondità si sia in realtà vissuto) persino delle gravidanze (con le mie orecchie ho sentito donne lamentarsi con i propri figli per avergli “sformato” il seno con l’allattamento).
Spulciando, dunque, i vari siti di cliniche private che offrono interventi di chirurgia estetica, mi sono imbattuta con mia grande sorpresa (perdonate l’ingenuità) in quella che penso sia l’ultima frontiera della chirurgia plastica e l’ennesima dimostrazione di come noi donne ci facciamo turlupinare da quello che riteniamo essere il punto di vista del desiderio maschile.
Mi riferisco alla chirurgia estetica della zona genitale. In alcuni casi si tratta di una reale necessità medica di ricostruzione dei tessuti a seguito di parti multipli o di deterioramento per età avanzata (prolassi etc). In altri casi, però, si tratta di nuovo dell’adesione ad un criterio “estetico” artificiale ed astratto, da perseguire con o senza gravidanze pregresse (che però vengono spesso segnalate come le “responsabili” della perdita di elasticità e tonicità della vagina).
Visitando questi siti si viene a conoscenza di cose strabilianti. Ho appreso, per esempio, che ci sono donne che chiedono la modificazione dei propri genitali esterni secondo l’estetica del porno e che vanno dal chirurgo plastico con foto molto eloquenti. Dalla bocca si è passati, dunque, alla richiesta di siliconare altre labbra.
Pur riconoscendo che ci troviamo nella sfera del privato più assoluto, mi viene spontaneo domandarmi quale sia il concetto di bellezza che presiede a queste scelte.
Mi domando come si possa seriamente pensare che un seno da venticinquenne o una vagina “ringiovanita” siano in grado di apparire belli sul corpo di una cinquantenne e non risultare, invece, grotteschi in quanto disarmonici, stridenti, non conformi all’età e alle esperienze della persona e dunque, in realtà, tristemente ridicoli e patetici in questo inutile tentativo di fermare il tempo e la vita.
Trovo più interessante, e perciò più attraente, una donna matura che non si vergogna del proprio corpo, ma anzi ne è orgogliosa per quello che esso esprime proprio in quanto modificato dal passare del tempo.
Perché una donna di 50 anni non dovrebbe essere capace di rivendicare il fascino che emana dal suo corpo, testimone di esperienza e ricchezza, in altre parole di vita?