“Sono una manager, non una donna” grida stizzita Margareth al suo assistente, buttando a terra il fiore che quest’ultimo le aveva porto durante una convention.

“La Dott.ssa Santi è una donna con le palle, per questo l’abbiamo assunta” dice il direttore presentando la nuova manager al consiglio di amministrazione.

Accadeva anni fa, accade tutt’ora.

In una società dove “se non lavori non esisti”, intendendo lavoro come unica possibilità di affermazione di sé, molte di noi hanno deciso di lavorare come uomini per esistere, per diventare visibili.

Il prezzo è stato altissimo.

Non c’era scelta: tempi e metodi di lavoro erano declinati al maschile e noi li abbiamo adottati. Che altro si poteva fare? Chi entrava e si trovava ad essere unica donna tra una moltitudine di uomini non aveva scelta: bisognava adottare stili di comportamento maschili. Quelli delle donne erano però diversi, né meglio, né peggio.

Ci siamo adeguate.

E, come bene scrive Marina Terragni nel suo libro “La scomparsa delle donne”, il rischio è che noi donne si stia scomparendo o che come, dico nel documentario Il Corpo delle Donne, sia  in gioco la sopravvivenza della nostra identità.

La più potente responsabile dei casting di Mediaset è stata per anni una donna. La vedete anche nel film di Erik Gandini Videocracy. E’ un lavoro terribile: non si tratta di selezionare ragazze graziose che sappiano ballare. La scelta viene fatta con criteri maschili: “chinati, fai vedere il culetto, fai boccuccia.” La prescelta sarà quella che alzerà l’audience, quella per cui lo spettatore non cambierà canale.

Piu maschi dei maschi. Vi piace il culetto brasiliano? E noi, donne che decidiamo, ve lo diamo. Come fossimo maschi, appunto.

Le regole del business le abbiamo capite e siamo diventate brave.

Che differenza c’è tra Gianna Tani, responsabile del casting, e una manager di potere che utilizza il corpo di una ragazzina per vendere più telefoni o borse o auto?

Le donne non sono più buone degli uomini in assoluto, è vero.

Abbiamo però aderito a modelli che non erano nostri, penalizzando alcune caratteristiche del femminile che oggi sarebbero utili a noi, ma ancor più al mondo.

La nostra “competenza dell’esserci”, dell’essere dentro le cose della vita è oggi più indispensabile che mai.

Dice Michael Moore che varrebbe la pena di provare un modo di fare al femminile, perché quello al maschile se si guarda il mondo così com è ora, non pare avere funzionato.

Non c’entra con il femminismo. E comunque conosco ormai uomini che sono più femministe delle donne.

A forza di volere seguire il modello maschile, gli uomini si stanno impossessando anche del nostro femminile.

Escono libri sul management al femminile, sul mondo gestito dalle donne scritti da uomini… fiutano giustamente il business.

Coraggio, c’è bisogno di coraggio.

Coraggio non è, a mio avviso, essere dure come e più dei nostri compagni.

Ma indicare una nuova via, migliore per tutti.