Pubblichiamo con piacere la seconda corrispondenza che ci invia Giusi Garigali dalla Catalunya. La prima lettera è stata seguitissima e commentatissima, innescando un interessante dibattito. Incontreremo Giusi domani a Barcellona per la poiezione del nostro documentario.

Carissimo “Il corpo delle Donne”, carissime tutte / i,

A seguito di una conversazione con Lorella Zanardo mi sono persuasa che, in questo secondo Post, dovevo necessariamente tornare su alcuni concetti esposti nel primo, in quanto ho capito che c’era bisogno di un urgentissimo chiarimento su alcune delle mie affermazioni, che non erano state comprese a sufficienza da tutti i lettori / lettrici di questo Blog e, forse, occasionalmente fraintese. Magari perché non mi ero spiegata bene, o forse perché non avevo articolato il mio ragionamento in maniera esustiva. Spero di riuscire adesso a completare il mio pensiero, colmando questa lacuna e dissipando dubbi o “misunderstandings”.
Voglio quindi dire subito, con assoluta franchezza, che in NESSUN MODO ho mai pensato di scoraggiare nessuna / o di voi dal fare un’esperienza di vita / studio / lavoro all’estero. ANZI!
Quello che mi sono permessa di dire, nel mio primo intervento, era qualcosa di molto diverso, che nelle mie intenzioni doveva servire a “riequilibrare” certi eccessi di una pubblicistica / documentaristica di moda (vedi per es. la puntata di Riccardo Iacona su Precariato e Bcn, Presa Diretta Rai·3) che sul tema dell’emigrazione continua a NON fare informazione, bensì propaganda, “glorificando” e banalizzando la vita dell’emigrante italiano all’estero, esule “politico” incompreso in Patria.
E voleva anche servire a mettere in guardia i ragazzi / e dall’affrontare con superficialità o con un ottimismo eccessivo, un’esperienza che può lasciare dei segni profondi in negativo se non affrontata e gestita con le dovute cautele e precauzioni.
Infatti, come dicevo, non è corretto porre l’accento solo su alcuni degli aspetti che “caratterizzerebbero” l’esperienza dell’emigrazione (poca o nessuna fatica per “realizzarsi”, successo garantito, automatica valorizzazione dei meriti del migrante da parte della società d’accoglienza etc.) e trascurare il rovescio della medaglia: difficoltà d’inserimento nella società d’arrivo, culture shock, insuccesso, nostalgia della propria rete affettiva di riferimento e mille altre cose importantissime su cui però, per il momento, non ho alcuna intenzione di tornare.

Perché questo di oggi sarà invece un Post dedicato a mettere in luce i BENEFICI ASSOLUTI dell’emigrazione -sebbene non nella cornice dei luoghi comuni appena citati – in cui umilmente crede una persona che ha vissuto ben 2 esperienze di emigrazione: 1 anno in Inghilterra (molto giovane nel lontano 1985) e 11 anni in Spagna, in età ormai, ahimé, matura.
Quanto io ho da dirvi a partire da questa mia duplice esperienza, va molto al di là delle suddette banalizzazioni ed attiene, invece, al “valore aggiunto” che l’esperienza dell’emigrazione, se ben condotta, conferisce PER SEMPRE alla persona che la sperimenta. Un tesoro oggettivo e soggettivo, inestimabile e profondo, che rimane fecondo e produttivo per tutta la vita.
Infatti, una persona che abbia fatto un’esperienza di vita all’estero (anche qualora questa risultasse in parte deludente rispetto agli obiettivi sognati o vagheggiati), una volta superate le molteplici difficoltà del rientro, si renderà conto di avere comunque CENTRATO alcuni obiettivi che le torneranno utili tanto nella propria vita personale come in quella lavorativa / professionale.
Il primo aspetto cui faccio riferimento è senz’altro quello dell’apprendimento necessario e IMPRESCINDIBILE di una seconda lingua.
L’italiano, infatti, è purtroppo lingua “quasi inutile”, essendo parlato solo in Italia e poco studiato all’estero (grazie anche alle miopi politiche dei nostri Istituti di Cultura).
Se, come italiani, vogliamo “sprovincializzarci” dobbiamo per forza di cose conoscere le lingue straniere, e possibilmente più d’una.
L’inglese a mio parere è FONDAMENTALE.
La conoscenza delle lingue, e in particolare dell’inglese, ci rende infatti più liberi, perché ci dà, innanzitutto, la grande opportunità di accedere alla stampa e alla televisione estere che – nel mondo dell’informazione italiana, asfittica e manipolata – si trasforma immediatamente in una ventata di aria pura!
Io, personalmente, leggo poco la stampa italiana, tanto la considero generalmente falsa, inutile e limitata culturalmente. Ma ogni sera ascolto le notizie su 3 catene in lingua inglese: BBC World News, CNN e Al Jazeera (ma a volte anche France 24 in inglese), oltre a guardare anche un telegiornale in spagnolo o in catalano.

Non potrei mai dire le cose che dico e che penso sui giornalisti italiani se non avessi la certezza che, altrove, questo mestiere viene fatto con ben altra serietà e preparazione (anche se, ovviamente, non tutto ciò che viene dall’estero è oro colato).
Dunque, l’apprendimento di una lingua vi renderà certamente più libere / i.
E non sto parlando di affrontare costi proibitivi, per nessuno.
Io non venni sostenuta e mantenuta dalla mia famiglia quando decisi che avrei studiato l’inglese sul serio. I miei erano contrari alla mia partenza e mi ostacolarono e scoraggiarono in tutti i modi. Ma decisi di farlo lo stesso, anche quando non era così in voga.
Me ne andai a Londra nel 1985 (avevo solo 21 anni, l’età di molte / i di voi che ci state leggendo) e lì mi installai. Mi mantenni da sola, lavorando come cameriera (e fui oggetto di critiche e anche di scherno da parte di alcuni rampolli di una certa borghesia provinciale radical-chic nostrana che, invece, preferivano giocare a “fare i rivoluzionari” al caldo, a casina di mamma e papà, disdegnando di “abbassarsi” a fare lavori così “umilianti”) e mi iscrissi ad un corso di inglese sovvenzionato, quasi interamente, dallo Stato inglese (costo bassissimo). Frequentai il Proficiency level e, alla fine, il mio inglese cominciò ad essere minimamente decente.

E mi sento di dire, quindi, a chi adesso ha la fortuna di espatriare con un programma “Erasmus”: approfittatene appieno, siete dei privilegiati! Ai miei tempi queste cose non esistevano! Perciò non fate ghetto con gli altri italiani, ma apritevi alle possibilità di incontri internazionali che davanti a voi si dispiegano e cercate di perfezionare al massimo la lingua del paese che vi sta ospitando. È un’opportunità impagabile, cui dovete attingere a piene mani!
E agli altri, a quelli che non frequentano l’Università, mi sento invece di dire: se state cercando lavoro e non lo trovate, anziché perdere tempo e speranze, andatevene per un periodo all’estero, ma fate in modo che questa esperienza sia “costruttiva”, sfruttandola al massimo e valorizzandola in un processo che faccia in qualche modo “Curriculum”. Non è necessario specificare come vi siete mantenuti all’estero, ma sì è importante SUPERARE degli esami di lingua, sostenibili ormai in tutti i paesi della comunità europea, che siano la prova tangibile che a qualcosa vi è servito fare dei sacrifici e andarvene fuori dall’Italia. E che servano soprattutto a dimostrare che una lingua straniera l’avete imparata davvero.
Cercate di “professionalizzare” la vostra ricerca / attesa di un lavoro in Italia tornando a casa con dei diplomi di lingue, come ad esempio il Proficiency inglese o il DELE spagnolo (Diploma de Español como Lengua Extranjera). Miglioreranno di molto il vostro CV, perché si tratta di certificati ufficiali, riconosciuti in tutta la Comunità Europea.
Ma non aspettatevi all’estero chissà quale altro tipo di riconoscimento.
I riconoscimenti ve li dovrete dare da sole / i e sono principalmente questi due: il merito di esservi adoperati per una vostra crescita personale e di aver lavorato per raggiungere un’apertura mentale superiore alla media italiana, “sprovincializzandovi”.

Infatti è solo il mettersi in relazione con persone e culture differenti che porta con sé queste inevitabili e benefiche conseguenze.
In questo senso il mio anno a Londra fu straordinario, perché non esiste altro melting-pot al mondo (oltre a New York, ovviamente) come questa città meravigliosa, che ti permette di poter conoscere, in un sol luogo, gente proveniente da tutto il pianeta!
Ricordo le bellissime feste in cui si incontrava il mondo intero racchiuso in una stanza: ragazzi inglesi naturalmente, ma anche italiani, spagnoli, francesi, australiani, canadesi, neozelandesi, statunitensi, irlandesi, libanesi etc. etc
Per una ragazzina di 20 anni poter scoprire e toccare con mano la “diversità” culturale fu un’esperienza grandiosa ed assolutamente formativa. Avevo amici e conoscenti che arrivavano dai 5 continenti!
E questo grazie all’inglese, lingua attraverso la quale tutti noi, indistintamente, persino tra italiani, ci esprimevamo e veicolavamo il nostro pensiero.

È infatti importantissimo, ora più che mai, uscire da noi stessi e smettere di considerarci l’ombelico dell’universo. Riuscire a capire che esistono modi di pensare e di agire differenti, tutti assolutamente rispettabili e tutti con diritto di cittadinanza. È questo che ci rende sempre più cittadini del mondo, pianeta che è, come si usa dire adesso, sempre più “globalizzato”. E prima si raggiunge questo risultato, meglio è.
Ricordo che, quando rientrai a Milano, tutto mi sembrò estremamente miniaturizzato. Dopo un anno trascorso a Londra, il centro di Milano mi appariva minuscolo. E probabilmente lo era, e non solo da un punto di vista strettamente “topografico”. Forse perché il mio punto di vista era cambiato. Ero cosciente che là fuori esisteva una realtà diversa che la maggioranza continuava a ignorare, immersa com’era nella propria realtà provinciale milanese / italiana.
Dunque, il consiglio che mi sento di darvi è che, quando vi troviate all’estero, cerchiate di relazionarvi il più possibile con le gente del luogo, anche se spesso non sarà facile, perché anche all’estero soffrono degli stessi pregiudizi di noi italiani. Non siamo i soli ad essere così provinciali. La Catalogna per me è stata, in questo senso, scuola di vita.

Ma siete giovani, siete il futuro, ed è solo da voi che potrà partire il cambiamento. Se, per esempio, vogliamo costruire davvero un’Europa delle genti (oltre che della finanza e dell’Euro) è proprio da qui che dobbiamo cominciare.
Non fate ghetto con gli altri italiani: mescolatevi, contaminatevi il più possibile. E riportate in Italia tutto quello che di buono avrete imparato: usi, costumi, modi di agire e di pensare diversi dai nostri (la famosa valorizzazione del merito, per esempio, che qui in Italia sembra essere un concetto irrealizzabile).
Solo così potrete contribuire al miglioramento della società in cui viviamo, apportando, come si dice qui in Spagna, anche voi il vostro “pequeño granito de arena”.

Un caro saluto e un abbraccio a tutte /i

Rimango in attesa dei vostri commenti.