Immaginate di abitare in un complesso residenziale in cui vi sia un piccolo bungalow al centro di un giardino. Su ogni lato del giardino si erge un palazzo con delle finestre buie. Il bungalow è la vostra abitazione ed è scoperchiato.

Dunque, immaginate di avere dei vicini di casa che, muovendosi invisibili dietro quelle finestre, riescano ad osservarvi da quella distanza che consente loro uno sguardo privilegiato sulla vostra intimità ma che al contempo, per una strana architettura, li mantiene nell’anonimato.

Al mattino, mentre vi specchiate e vi preparate per uscire, all’improvviso uno dei vostri vicini senza mostrarsi richiama la vostra attenzione: “Ehi tu, sì dico a te nel bungalow. Fai cagare, hai il culo grosso come il divano che sfondi tutte le sere.”

Rimanete basiti, ma ‘E’ il commento di uno zotico’ – vi dite – o di una poverina senza nulla cui pensare; e decidete di non dargli peso perché persone così non meritano attenzione.

Passa qualche ora, vi sedete a pranzo. Qualcuno dal buio di una delle finestre che danno sul vostro bungalow di nuovo esplode in un commento: “Dovresti mangiare merda o strozzarti con quello che hai nel piatto.”

E ancora una volta lasciate cadere quelle parole di rabbia immotivata, perché di nuovo pensate che non siete voi il problema ma che, al contrario, chi parla sia qualcuno che di problemi ne ha e molti più di voi.

Poi arriva la cena e ricomincia l’attacco.

Così per giorni, finché non iniziate a dubitare che forse un problema ce l’abbiate davvero. Perché mai altrimenti qualcuno vi odierebbe tanto?

Ecco ora immaginate che il bungalow scoperchiato sia il vostro profilo Twitter, Instagram o Tumblr e che le finestre buie siano i profili di altri utenti nascosti dietro i loro avatar.

Sabato una donna di 47 anni in Australia si è tolta la vita a seguito di una lunga, faticosa battaglia con la depressione acuita da un bombardamento da parte di trolls sul suo profilo Twitter.

Non affrettate conclusioni. Non sto parlando di qualcuno sull’orlo di un disastro finanziario, o con un divorzio tormentato o senza speranze di potersi realizzare.

La donna di cui parlo è un volto noto della televisione Australiana, l’ex super modella Charlotte Dawson nata in Nuova Zelanda, ma trasferitasi a Sydney dopo una carriera sulle passerelle di tutto il mondo. In Australia era diventata giornalista di moda e opinionista; ovvero una di cui facilmente si poteva dire avesse tutto.

Da due anni era inoltre un’attivista per la sensibilizzazione sulle malattie mentali, avendo parlato apertamente del proprio vissuto.

Nel 2012, infatti, dopo una campagna dell’odio sul social media Twitter, che Dawson definì feroce e in cui decine di utenti l’avevano assalita di messaggi augurandole la morte e invitandola a suicidarsi, era crollata ed era stata ricoverata per depressione.

In seguito aveva dichiarato: “Even good old, opinionated Charlotte at times can be touched.” Anche la vecchia, supponente, ostinata Charlotte a volte può essere scossa.

E sabato, senza dare a vedere segni di sofferenza, dopo essere apparsa in tv venerdì mattina, Dawson è morta nel suo appartamento.

La sua scomparsa ha riaperto il dibattito su come sia possibile intervenire per difendere le vittime dal cyber bullismo.

 Chi sono i “Trolls”?

 Sul significato della parola esistono due scuole di pensiero. Troll è quella creatura fantastica che infastidisce e punzecchia gli altri fino a farli andare su tutte le furie.

Ma il verbo to troll in inglese significa anche pescare, gettare l’esca e attendere che il pesce abbocchi.

Online, i trolls sono coloro che, protetti da un avatar, rivolgono commenti provocatori, superficiali e deliberatamente feroci ad un altro utente con il solo intento di suscitare fastidio, rabbia e anche dolore. Alcuni di loro parlando delle loro attività, riferiscono di provare un forte senso di appagamento, ma anche di calma dopo aver suscitato una reazione nel bersaglio individuato.

 Quali le leggi in vigore?

 In Australia Microsoft, Facebook, Google e Yahoo hanno firmato un accordo con il governo federale per la rimozione di commenti offensivi dalle loro piattaforme social. Twitter non ha aderito.

Il governo sta inoltre valutando l’introduzione di pene civili per chi commette trolling.

L’efficacia delle misure adottate in quest’area tuttavia è messa in discussione sul piano teorico e pratico. Innanzitutto il diritto della vittima di vivere senza essere molestata si scontra con la rivendicazione della libertà d’espressione di chi agisce.

Secondo, alcuni critici ritengono che regolamentare l’utilizzo di una piattaforma social porti solamente alla creazione di nuovi spazi più difficilmente controllabili.

 

Cosa fare allora mentre attendiamo che i troll imparino a farsi due risate a fine giornata? O non so magari inizino a lavarsi il bagno, rammendare i calzini, buttare la pattumiera, sbiancarsi i peli superflui, insomma a fare buon uso del loro tempo senza succhiarci la banda larga? (Che qui se non sei a Sydney sembra che per connetterti usi il Commodore 64)

 

Name and shame them. Fare i loro nomi e farli vergognare. I troll vivono nell’ombra.

Tornando alla metafora del condominio di spioni, sono quelli che stanno dietro la tenda e commentano sugli ospiti dei vicini di casa.

Io da piccola sono cresciuta in un condominio. Quando mi accorgevo che la mia vicina spiava da dietro la tapparella abbassata, gridavo il suo nome per salutarla. E lei, in fretta e furia, si dileguava.

 

Povera donna non era certo un troll, ma avesse avuto Facebook sarebbe stata sul profilo dei vicini tutto il giorno a vedere se il doppio mento della dirimpettaia si notava nell’album di nozze della figlia.

 Il punto è che dobbiamo bussare alle finestre buie di questi codardi e ripubblicare i loro commenti grotteschi.

Non vi è mai capitato di notare che lo stesso utente fastidioso, autore di esternazioni fuori luogo, sia un frequentatore seriale di blog di cui non condivide un quarto del pensiero o dell’argomento affrontato?

E vi viene da dire ‘ma che cacchio ci stai a fare?’

 A me ad esempio il cricket, lo sport in cui giocatori vestiti da boyscout giocano un baseball noioso per giorni e giorni e giorni, mi incuriosisce come la pizza “pesto chicken” tanto in voga da queste parti. Ma mai nella vita mi ci metterei a guardarlo e mai passerei le mie mattine in pigiama a commentare sui forum dei tifosi, dicendo che sono tutti dei ritardati.

 Credendo fermamente nella liberta di pensiero e d’espressione, che mai vorrei vedere limitate, spero che la moderazione del web parta dagli utenti stessi.

 Occorre affrontare le conversazioni online consapevoli del fatto che ci si possa imbattere in qualcuno con cui, nella vita reale, non solo non ci fermeremmo mai a parlare ma per cui probabilmente chiederemmo un ordine di restrizione di 100 metri.

 Chiamiamo i troll col loro nome, spariranno piccoli nel lugubre abisso delle loro stanzette abitate dalle loro grandi paure.
(grazie a Marina Freri, attenta giornalista corrispondente da Sydney,per questo prezioso articolo)