Qualche giorno fa mi è tornata in mente un’immagine. Un signore, sotto la pioggia, attraversa veloce campo San Barnaba, a Venezia, coprendosi la testa con un librone bianco. A ripensarci mi prende un sussulto, persino ora che sono nel mio ufficio e che mi sento «al sicuro». Sono passati tanti anni, sono cambiate tante cose.
A dire il vero non si tratta di un’immagine inventata, ma di un ricordo ben preciso. Il signore di cui parlo era un docente della mia Università a cui avevo appena consegnato la mia tesi di laurea specialistica. L’avevo contattato in quanto membro del corpo docenti di un master creato da poco presso l’Università di Roma. Sono sempre stata abbastanza scettica nei confronti di formazioni e corsi di studi infiniti, ma questo master di due anni sembrava presentare un programma di tutto rispetto e avrebbe potuto calzare a perfezione con il mio percorso di preparazione professionale. Invece che fare come tante persone che avevano studiato insieme a me, io stavo valutando un’ipotesi che mi avrebbe permesso di integrarmi e conoscere meglio il tessuto culturale italiano. L’ipotesi estero non si era ancora fatta strada nella mia testa; molti e molte erano nel frattempo già fuggiti.
L’iscrizione costava però una sassata. Desideravo quindi capire se sarebbe stato possibile ottenere una borsa di studio, vista magari anche l’attinenza con la mia tesi di laurea specialistica e le sudate esperienze già accumulate nel settore. Lui, dopo un veloce incontro durante il quale aveva continuato ad annuire e stuzzicarsi …
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