8.700.000

La statistica è una scienza piena di sorprese. Materia per nulla arida, ad appassionati detective può rivelare dati interessantissimi che spiegano molto più di lunghi articoli.

Ottomilionisettecentomila. 8.700.000 sono le donne di 60 anni e oltre che vivono in Italia secondo gli ultimi dati Istat.

Ottomilionisettecentomila. 8.700.000 sono i giovani (totali maschi e femmine) dai 18 ai 30 anni, che vivono in Italia secondo gli ultimi dati Istat.

Interessante vero?

Una multinazionale su questi dati ci costruirebbe la sua strategia: due target di consumatori, stesso peso numerico, diversa propensione al consumo, diversa possibilità di consumo.

Campagne pubblicitarie diversificate. Uguale attenzione per i due target, poiché potenziali consumatori.

E i partiti politici Italiani?

Del target giovani i politici italiani di entrambi gli schieramenti, discutono molto. Ciclicamente si va alla ricerca del candidato giovane che possa attirare gli elettori giovani. Da un punto di vista operativo, le politiche sul lavoro per i giovani però stentano a decollare con le conseguenze gravi che tutti conosciamo.

Sorprendentemente del target donne 60enni e oltre i politici non parlano mai: 9 milioni di persone invisibili. Circa il 15% della popolazione di cui ci si è dimenticati, se non per qualche articolo sull’età pensionabile.

Le nostre città sono piene di donne ultrasessantenni in piena attività, i giornali ne parlano,l’aspettativa media di vita femminile è di 84 anni e più, le nonne tengono in piedi le famiglie badando gratis ai nipoti e facendo le veci di strutture carenti. Sessantenni che si sposano, risposano, vanno in vacanza, si

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Metterci la faccia (1)

Mettere la faccia in ciò che si fa può significare metterci la propria vita. Natalia Estemirova era una giornalista russa che indagava sulla violazione dei diritti umani in Cecenia e per questo è stata uccisa. Aveva ricevuto il premio Anna Politovskaya, un’altra donna che metteva la faccia in ciò che scriveva. Le donne che in questo momento in giro per il mondo sono in prima linea per difendere la libertà sono tante, in Palestina, in Cina, in Iran solo per ricordarne alcune. Donne che spesso hanno famiglia e rischiano la vita perché vengano rispettati i diritti fondamentali di tutti. La notizia della morte di Natalia l’ho letta mentre preparavo un post su Mercante in Fiera, dove la Gatta Nera in tenuta sadomaso ancheggia davanti ad un pubblico a casa fatto di bambini. E ho provato un forte imbarazzo, una nausea insostenibile pensando al ciarpame di cui ci dobbiamo liberare prima di poterci occupare di cose che contano. Ecco, agli uomini che scrivono al blog chiedendo con affetto come possono contribuire alla nostra denuncia, chiederei solidarietà e comprensione. Solidarietà nel portare avanti un’istanza che ci permetta di vivere in un Paese dove il rispetto per le donne sia garantito. Comprensione per le tante di noi che anelano ad occuparsi di temi urgenti, belli, importanti ma che sentono il dovere innanzitutto di occuparsi della loro dignità di individui, senza la quale diventa difficile costruire un contesto in cui crescere giovani donne e giovani uomini. Quanto tempo dedicato, a volte penso tempo di

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Un altro mondo è possibile, Yes we can, ecc

Non so voi, ma io ho ormai l’allergia agli slogan ipercitati tipo “yes, we can”, “un altro mondo è possibile” e così via.

Il problema nasce dall’abuso che se ne fa.

“Yes, we can” è nato per raggiungere un obbiettivo fino a tempo fa impensabile: un presidente nero e democratico alla Casa Bianca. Poi però l’abbiamo visto usare da parte di molte aziende per stimolare i propri dipendenti a superare la crisi, a farsi carico del raggiungimento di obiettivi difficili. E allora “Yes we can” ha perso la sua carica emotiva, è diventata un’incitazione svuotata del suo significato profondo ed etico e infastidisce persino perché declinata al raggiungimento del profitto, o di una meta sportiva o altre amenità.

“Un altro mondo è possibile” dovrebbe essere il memento davanti al nostro letto e che vediamo come prima cosa ogni mattina, anche in questo caso abusato e depredato della sua portata evocativa.

Il sottotitolo de IL CORPO DELLE DONNE potrebbe essere uno dei due slogan citati, quando ancora erano carichi di significato.

Vale la pena di raccontare la storia che ha condotto al documentario.

Lo scorso anno ho risentito parecchio della crisi economica, che ha avuto un unico risvolto positivo: mi si è liberato del tempo.

Nella lingua cinese la parola crisi è composta da due ideogrammi: il primo wei significa problema, il secondo ji significa opportunità. Il modo migliore per uscire da uno stato di crisi sembrava dunque quello di cogliere le opportunità di crescita in esso contenute.

Improvvisamente si sono

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Ci piace di più il nostro, di modo di vivere

In Repubblica di oggi Serra evidenzia la frase più significativa espressa da Nanni Moretti nell’intervista rilasciata ieri “Mi piace più il mio, di modo di vivere”. Esprime, sostiene Serra, ”la certezza che si possa stare in una società di massa senza farsi troppo ricattare dalle mode, e condizionare dal terrore di essere in minoranza. Descrive esattamente il sentimento che è mancato a gran parte della sinistra italiana… L’orgoglio in overdose può essere letale… ma la sua mancanza trasforma in imbelli e in depressi.”

Di che cosa abbiamo paura? Chiediamo alla fine del documentario IL CORPO DELLE DONNE. La risposta non può essere solo una ma certo è che ci siamo fatte ricattare anche noi donne dal terrore di essere in minoranza, condizionate dalla moda che ci imponeva i suoi diktat da schiavisti, senza il giusto orgoglio che ha preservato Moretti, e dunque ridotte ad essere oggetti ad uso e consumo della società mercantile.

Ad uso e consumo del mercato sostengo, non degli uomini presi nella loro singolarità.

Gli uomini non ci vorrebbero oggetti a loro uso e consumo, non vorrebbero grechine e veline copie di personaggi web a loro volta copia di fantasie onanistiche che lasciano l’amaro in bocca.

Questa nostra tv italiana bene rappresenta il colpo di coda del patriarcato, sostiene Marina Terragni che mi intervista in Io Donna di oggi. E’ una tv totalmente in mano ad un pensiero misogino moribondo ma che non vuole morire e quindi cattivo e aggressivo, impaurito dall’enorme cambiamento che ci attende: un

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Continuare ad impegnarsi

Susan George è una delle ideologhe del movimento no global, niente a che vedere con l’iconografia con cui ci siamo abituati ad immaginare chi combatte la globalizzazione: 75enne, sempre in tailleur, presidente onorario di Attac, si è sempre battuta per monitorare le decisioni di organizzazioni come il WTO o l’OCSE. Scrive la George in un suo libro fondamentale, “Un altro mondo è possibile”, che quando era ragazza, quindi intorno al ’68, era facile capire cosa fare: bastava scendere in strada ed unirsi ad una delle tante manifestazioni che passavano.

Tempo fa per un mese ho raccolto le prime pagine dei quotidiani: tobin tax, tav, wto, ocse, farmaci e proprietà intellettuali, privatizzazione dell’acqua, ecc: titoli spesso incomprensibili ai più, a meno che non si abbia a disposizione molto tempo per capire, per approfondire. Quanti di noi sanno che è in corso una feroce corsa alla privatizzazione dell’acqua a livello mondiale per cui le multinazionali potrebbero diventare padrone di tutte le falde acquifere a breve? Per chi è stato in India recentemente la supremazia di Nestlè sull’acqua indiana è stata certamente lampante.

Da che parte vogliamo stare? All’epoca di Susan George era facile: si era pro o contro la guerra in Vietnam. Ora non è più così ed è sempre più necessario essere informati per potere decidere. Posso ad esempio essere contrario alla privatizzazione dell’acqua ma favorevole al tav, treno alta velocità. E così via. I partiti politici ci rappresentano sempre meno e non ci sollevano dal dovere prendere

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La trasmissione viene momentaneamente interrotta?

Da stamane chi si vuole collegare al sito www.ilcorpodelledonne.com si trova l’accesso sbarrato da un avviso:

“Alcuni lettori di questo blog hanno contattato Google poiché ritengono che il contenuto del blog sia opinabile.”

Quali sono i contenuti opinabili?

E’ ancora possibile portare avanti una critica educata e circostanziata nella società in cui viviamo?

Siamo fiduciosi di potervi dare risposte rassicuranti al piu’ presto: ci siamo attivati per capire da Blogger chi e perché ci vuole oscurare.

Interpelleremo un avvocato per seguirci.

Nel frattempo sarebbe utile che chi ci legge, se lo ritiene opportuno, faccia circolare il racconto di quanto sta avvenendo al nostro blog per evitare che accada ad altri.

Grazie. Noi comunque continueremo a scrivere, quindi…restate in contatto con noi!

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Il corpo nudo

Il corpo nudo può suscitare emozioni profonde e bellissime.

Non solo il corpo esteticamente perfetto (com’è d’altronde un corpo esteticamente perfetto?), ma ogni corpo esposto può rivelare bellezze nascoste ed essere portatore di quel senso ultimo che andiamo costantemente cercando.

C’è stato un momento nella nostra storia recente in cui le donne hanno coraggiosamente preso possesso del loro corpo a lungo occultato dalla società. Alla fine degli Anni ’60 al motto di “il corpo è mio e lo gestisco io”, i corpi nudi femminili invadevano Woodstock e tutti i festival di musica, con una vera azione rivoluzionaria di liberazione da secoli di corsetti imprigionanti, reali e metaforici.

Per chi c’era, e per chi non c’era, ci sono migliaia di foto a documentare, resta vivo il ricordo della verità di quei corpi esposti: non traspariva intenzione seduttiva dalla nudità; la seduzione e l’erotismo che si respirava sprigionavano naturalmente dai corpi liberati. Le donne erano soggetti attivi nell’esposizione del loro corpo denudato, decidevano di liberarlo ed esporlo.

Il corpo nudo televisivo diventa immagine pornografica perchè violato dalla telecamera che decide cosa inquadrare e dove indugiare, riducendo la donna a soggetto passivo e umiliandone il corpo così privato di volontà propria.

Quella artificiosità data dalla nudità esposta davanti alla telecamera, viene poi tragicamente copiata dalla realtà anzichè essere viceversa.
Che male c’è in un bel sedere nudo, mi chiede una lettrice nei commenti al post precedente?
Non c’è alcun male a mio avviso.
Ma nella telecamera che vìola l’intimità femminile, riducendo
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