Ben ritrovate/i tutte/i
Questa volta mi piacerebbe raccontarvi qualcosa sul servizio radiotelevisivo pubblico e privato qui in Spagna e sulla rappresentazione della donna nei media spagnoli. Penso possa essere utile per stabilire un confronto con l’Italia e per capire se qui la situazione è un po’ migliore che da noi.
Si deve innanzitutto premettere che in Spagna non esiste quella volgare sovraesposizione del corpo femminile, cui cominciò ad abituarci Mediaset negli anni ’80 – propugnando la falsa idea di voler spronare la società italiana ad uscire, con ironia, da una situazione di presunto “puritanesimo” – e a cui la Rai si adeguò presto, peggiorando inesorabilmente la qualità della propria produzione / programmazione.
A differenza che in Italia qui in Spagna, e anche in Catalogna, il servizio pubblico ha continuato a svolgere decorosamente il proprio compito, indipendentemente dalla tipologia dell’offerta delle televisioni commerciali (che comunque non sono mai arrivate a mostrare l’indegno mercato della carne nostrano), mantenendo un palinsesto che mi sento di definire più che dignitoso.
Tanto per intenderci: nessun canale pubblico televisivo, spagnolo o catalano, trasmetterebbe mai un “reality” demenziale come “L’Isola dei Famosi”, cosa che, invece, come ben sappiamo, ha purtroppo fatto reiteratamente Rai2.
Inoltre, tanto la televisione spagnola come quella catalana, per quanto non esenti del tutto da controllo politico, provano a dimostrare sempre un certo equilibrio nella scelta e nella presentazione delle notizie, cosa impensabile da noi in Italia (e non mi riferisco solo al Tg1 di Minzolini, dato che a mio parere tutte e tre le reti Rai peccano di partigianeria e faziosità. Ognuna a modo suo: con maggiore o minore grossolanità, prepotenza, supponenza, falsità etc. a seconda dei casi).
Anche in Spagna e in Catalogna, come in Italia, le reti nazionali percepiscono sovvenzioni governative, oltre a finanziarsi per mezzo della trasmissione di pubblicità. Non è però richiesto agli utenti il pagamento di un canone televisivo annuale, per quanto la programmazione sia di gran lunga migliore di quella del servizio pubblico nostrano.
Qui le televisioni pubbliche non sono ossessionate dallo “share” anche se, ovviamente, l’audience non viene trascurata. La concorrenza delle televisioni commerciali, come già dicevo, non ha impedito alle reti nazionali di continuare a svolgere coerentemente il proprio dovere di servizio pubblico, senza farsi condizionare dalle proposte altrui.

In Catalogna, in particolare, l’offerta di programmi in lingua locale ha avvantaggiato TV3 (la televisione della Comunità Autonoma di Catalogna) che però continua ad impegnarsi per presentare un palinsesto di qualità ed innovativo.
TV3, infatti, numero 1 in Catalogna per percentuali di ascolto, pur essendo una televisione piccola e con un’utenza numericamente modesta (i catalani sono circa 7 milioni e mezzo di persone) è una televisione considerata all’avanguardia sulla scena internazionale, proprio in relazione alle scelte di programmazione operate e quindi anche ai documentari ed ai format, acquistati o realizzati “in house”.
Si deve inoltre aggiungere che le reti nazionali pubbliche spagnole sono solo 2 e 2 sono anche quelle catalane (un canale in meno che da noi il che rappresenta, ovviamente, un significativo risparmio a livello di costi – malgrado la performance sia nettamente superiore a quella della Rai – e dimostra che, anche in Italia, si potrebbe fare una migliore televisione nazionale riducendo il numero dei canali, ottimizzando le risorse ed evitando inutili sprechi).
Il primo canale, tanto in Spagna come in Catalogna, è di tipo generalista ed è anche il canale in cui vengono messi in onda i telegiornali nazionali di maggior ascolto (eccezion fatta per i canali di notizie 24h) mentre il secondo canale, in entrambi i casi, è quello che ospita la maggior parte dei programmi culturali e di approfondimento informativo sull’attualità oltre che un grandissimo numero di documentari e reportage giornalistici.
Riassumendo, possiamo dire che qui in Spagna è ancora possibile guardare la televisione nazionale, trovandoci qualcosa di interessante, o di almeno digeribile, senza dover ricorrere a piattaforme digitali alternative a pagamento.

Le televisioni commerciali spagnole offrono, invece, una TV di qualità decisamente più scadente.
Anche qui, infatti, prolifera l’offerta di “televisione spazzatura”, la locale “telebasura”.
Si tratta di programmi spaventosamente “cheap” che non hanno però contagiato, come già dicevo, lo stile del servizio pubblico: talk-show improntati al pettegolezzo selvaggio, di contenuto miserrimo, in cui si mettono a nudo i vizi privati dei cosiddetti “famosos”.
“Los famosos” sono, per lo più, personaggi popolarissimi senza motivo apparente.
Infatti, anche qui come in Italia, vige il principio: “appaio in televisione, ergo conto qualcosa”, pur senza avere nessun merito artistico reale.
Si diventa dunque famosi semplicemente in virtù dell’andare in Tv, senza possedere alcun talento particolare. Di fatto, esistono nutrite schiere di personaggi inutili – costruiti interamente dal mezzo televisivo e da riviste specializzate nel pettegolezzo (che qui sono seguitissimi) – che vanno costantemente sullo schermo solo per essere, o essere stati, la fidanzata/o, moglie/marito, amante etc. di artisti conosciuti (oltre al fenomeno locale delle mogli o ex-mogli dei toreri che hanno un seguito straordinario e suscitano passioni leggendarie, grandi amori o grandi odi).
Direi che l’“osceno” spagnolo è soprattutto questo. Una disinibizione totale e violenta, da parte di molti “famosos”, nel mettere in piazza la propria vita e anche quella altrui, alimentando senza ritegno e pudore la curiosità e la morbosità del pubblico.
I protagonisti, e soprattutto le protagoniste di questi talk show, possono toccare livelli di volgarità probabilmente eguagliati solo dai programmi di Maria de Filippi.
L’idea del femminile che vi viene proposta non è certamente delle più sofisticate ed intelligenti e credo che, simbolicamente, sia in grado di produrre effetti devastanti sui telespettatori, ma almeno si tratta di spettacoli che non vanno in onda nel pomeriggio o in prime time, bensì in fasce orarie dedicate ad un pubblico più adulto.
Ed è proprio in questi talk show che fanno capolino, anche qui, volti femminili orrendamente deturpati dalla chirurgia estetica, facce di donne dalle età indefinibili e indefinite come quelle che ci ha mostrato Lorella nel suo documentario.
Ma, per fortuna degli spagnoli, si tratta di fenomeni che, per quanto abbondanti (vi informo che la Spagna è il primo paese in Europa, e il quarto nel mondo, per numero di interventi di chirurgia estetica e che i pazienti che si operano sono sempre più giovani, il 10% dei quali minorenni) risultano comunque circoscritti al grottesco circo mediatico del “cotilleo” (pettegolezzo).
Mi sembra cioè di non aver mai visto, almeno finora, facce di giornaliste televisive “serie” deformate dalla chirurgia plastica. Per intenderci, non esiste una “Lilli Gruber” spagnola (anche se esistono personaggi pubblici con i volti pesantemente ritoccati, per esempio alcune politiche e la principessa Letizia) e, invece, felicemente resistono giornaliste – o speaker televisive – che continuano ad entrare nelle case degli spagnoli con facce normali e malgrado passino gli anni.
Come accadeva anche in Italia fino a qualche tempo fa, quando alle giornaliste non veniva richiesto di essere belle, giovani e telegeniche, ma capaci (e quindi, permettetemi questo inciso: mi rallegro del fatto che il programma di Santoro – tipico esempio di giornalista sessantenne che ama circondarsi di ventenni ornamentali – non stia riscuotendo il successo sperato).
In Spagna le “giornaliste decorative” sono, almeno per il momento, un fenomeno limitato ai programmi di pettegolezzo o a quelli sportivi. Probabilmente anche su questo si potrebbe riflettere (rappresentazione esornativa della donna nei programmi sportivi, di solito destinati ad un target maschile), ma almeno non si ha la sfrontatezza di dire che la “quota rosa” nell’informazione pseudo-seria è rappresentata. E poi, in generale, si tratta di un fenomeno che riguarda le Tv commerciali, non quella pubblica. Infatti in TVE (Televisión Española) chi conduce la parte dedicata allo sport nel telegiornale delle 21.00 è, dal 1985, Maria Escario. Una donna non bella ma competente.

Passando adesso ad un’osservazione più ravvicinata dell’immagine della donna suggerita dal mezzo televisivo spagnolo, vi riassumerò quelle che, secondo me, sono state le riflessioni più significative fatte da Virginia Luzón, docente di Comunicazione Audiovisuale presso l’UAB (Universitat Autònoma de Barcelona) in occasione dell’incontro/dibattito con Lorella Zanardo qui a Barcellona.
Prendendo in considerazione quello che Luzón definisce il “macrogenere” dei programmi d’informazione – telegiornali e reportage sull’attualità – ad una prima analisi quantitativa il dato che emerge è che, anche in Spagna, la donna risulta sottorappresentata.
Proseguendo con la valutazione quantitativa, ma procedendo ad un’osservazione più ravvicinata, vediamo come, all’interno di questo macrogenere, le donne appaiano più frequentemente citate – come protagoniste o co-protagoniste – nella sezione “società” (miscellanea che può andare dal resoconto di una sfilata di moda alla diffusione di una notizia di violenza machista) piuttosto che nell’informazione politica, economica o culturale in cui l’uomo risulta sensibilmente più rappresentato.
Passando, poi, ad una analisi qualitativa delle medesime notizie, vediamo come l’immagine della donna appaia ulteriormente perdente. Infatti, si fa notare come, quando si parla di un uomo, se ne menziona sempre la carica che ricopre mentre la donna viene citata, generalmente, solo per nome. Inoltre, spesso e volentieri, parlando della donna si arricchisce la notizia con osservazioni e commenti inutili relativi al suo abbigliamento o al suo aspetto fisico, particolari che non vengono mai indicati quando si parla di un uomo e che tolgono in qualche modo importanza al personaggio femminile “frivolizzandolo”. Niente di molto diverso, dunque, rispetto a quanto accade in Italia.

Luzón parla, poi, di un secondo macrogenere: la “fiction”, mettendoci in guardia sui contenuti di moltissime serie televisive per bambini e pre-adolescenti. Queste, infatti, ancora oggi fine 2011, affermano e trasmettono pregiudizi di ruolo che verranno inevitabilmente introiettati, tanto dalle ragazze come dai ragazzi.
Per esempio, se un’adolescente segue una serie in cui la protagonista è una ragazza che corrisponde a canoni di bellezza tradizionali e la figura secondaria è, invece, la sua miglior amica, che è una ragazza “cicciottella e divertente” ma NON vincente, a seconda della propria fisionomia finirà con l’identificarsi in un ruolo o nell’altro e da lì farà poi fatica a smarcarsi. Comincerà a convincersi che, per essere protagoniste, anche nella vita reale, sia necessario adempiere a certi canoni estetici, mentre in loro assenza rimangono disponibili solo ruoli secondari, di importanza minore e che non conducono al successo.
Si tratta di schemi nocivi soprattutto per la loro fissità, che non presentano varietà o alternative possibili e ai quali diventa molto difficile sottrarsi.
È importante essere coscienti di questi rischi, soprattutto come genitori, anche se è complicato opporsi a questi messaggi. La soluzione non può essere, a mio modo di vedere, la proibizione della visione di queste serie, perché senz’altro controproducente. Può essere invece, probabilmente, quanto propone Lorella: la co-visione insieme ai propri figli. Una visione “accompagnata”, che non lasci il bambino o la bambina in balia degli stereotipi, cercando anche di avviare, nei limiti del possibile, una lettura “critica” e destrutturante della fiction. Ma, ovvio, questo lo si può fare unicamente prendendosi l’impegno di non lasciare i bambini, da soli, davanti al teleschermo, coscienti della loro vulnerabilità. Il libro Nuovi occhi per la Tv può senz’altro essere uno strumento utile per i genitori che vogliano farsi carico di questo aspetto nell’educazione dei propri figli.
Passando all’analisi quantitativa delle serie televisive di fiction destinate ad un pubblico più adulto trasmesse qui in Spagna, ci si trova di fronte ad una situazione di apparente equilibrio in quanto, tanto l’uomo come la donna, risultano in pari misura rappresentati.
Ma, come sempre, quando ci si sposta dall’osservazione quantitativa a quella qualitativa ci si imbatte in spiacevoli sorprese e, ancora una volta, si deve constatare la presenza di ruoli di genere fissi che riguardano le donne e che, certamente, influiscono negativamente sullo sviluppo di un’identità libera per gli adolescenti.
Apprendiamo infatti che, negli ultimi anni, l’evoluzione del mercato del consumo televisivo e la pressione di molte lobby sui produttori internazionali hanno fatto sì che, in molte serie, la donna sia arrivata a ricoprire un ruolo da protagonista, come nel caso di fiction quali Medium, Caso Abierto, Fringe o Daños y Perjuicios. Però, in tutti questi casi la protagonista, per quanto personaggio principale, continua ad aver bisogno dell’appoggio di un uomo per poter andare avanti e superare le proprie occasionali debolezze.
Resiste poi, in queste serie, il classico stereotipo del “bella, intelligente ma anche sexy”. Essere “sexy” continua infatti ad essere considerato. e quindi mostrato, come un ingrediente fondamentale e imprescindibile, per il raggiungimento del successo da parte di una donna.
Come è il caso di Lisa Cuddy della serie House che, oltre che intelligente, è infatti super-sexy. Modello non di certo rassicurante per una adolescente che voglia diventare, ad esempio, una scienziata, che si deve confrontare con uno stereotipo di tale magnitudine.
Esistono poi altri prodotti quali The Big Bang Theory, o Gossip Girl, in cui le donne sono invece: belle (che strano?), ma anche stupide o cattive. Non esiste rappresentata altra tipologia, anche se la variante “bella e cattiva senza scrupoli”, che è una novità, pare piaccia tantissimo. Con quali conseguenze non è difficile da immaginare, in un mondo in cui i sostenitori di valori positivi vengono sempre più identificati con i perdenti.
Ricordiamo per esempio che in Patito Feo (celeberrima serie per bambine e pre-adolescenti, conosciuta in Italia con il titolo Il mondo di Patty) Antonella e il suo gruppo “Las Divinas” (adolescenti belle ma superficiali, cattive e senza scrupoli) abbiano finito col soppiantare – nell’immaginario di molte piccole telespettatrici – Patty e “Las Populares” presentate come le protagoniste buone e positive della serie.

Infine, Luzón ci ha anche parlato di pubblicità ed abbiamo così appreso che quello che potrebbe essere il settore più ricco di sorprese negative è invece, qui in Spagna, quello più protetto, perché monitorato dalle associazioni e dai meccanismi di controllo dei mezzi audiovisivi.
Nel caso di quest’ultimo “macrogenere”, ad un’analisi quantitativa la donna appare più rappresentata dell’uomo poiché è il soggetto cui il pubblicitario si rivolge, essendo chi va a fare la spesa e gestisce la casa e anche perché, secondo una visione antiquata del mercato, la si considera a tutt’oggi protagonista assoluta di certi settori merceologici come quello della bellezza e della cura del corpo, quello della moda o quello dei complementi d’arredo.
Passando, poi, ad un’analisi qualitativa, ci imbattiamo di nuovo in deviazioni e deformità. Un esempio per tutti: anche in Spagna, in pubblicità, esiste solo la “donna esteticamente perfetta”, e quelle campagne che si presentano come eccezioni a questo modello – strizzando l’occhio ad una presunta “donna normale” – nascondono in verità delle insidie.
Pensiamo, come esempio, alla campagna del marchio Dove: si tratta di un inganno, poiché quella che viene proposta come “la normalità” in realtà non lo è. Infatti, la normalità comprende anche la bruttezza, l’obesità, l’invecchiamento etc. mentre, nel caso di Dove, ci troviamo semplicemente di fronte a dei canoni di bellezza lievemente “al ribasso”, non ad una vera rappresentazione mimetica della realtà.

Esiste poi anche qui in Spagna un mercato pubblicitario in cui la donna viene utilizzata come “oggetto decorativo” – spesso richiamo sessuale – indirizzato ad un pubblico maschile (e persino femminile quando si tratti di moda) anche se, per fortuna, in questo caso i mezzi di controllo del sistema audiovisivo funzionano, sempre meglio, come correttori di eventuali deviazioni.
Infine, soprattutto negli spot indirizzati ad un pubblico adolescente o infantile, la donna viene spesso rappresentata come protagonista e garante di un sistema familiare tranquillizzante e rassicurante, in cui lei stessa è percepita e utilizzata come garanzia di qualità rispetto al prodotto pubblicizzato.
Direi che ci troviamo davanti al deleterio stereotipo della “brava mamma” e “brava moglie” utilizzato per vendere prodotti ma che, nello stesso tempo, va a retroalimentare una presunta idea di normalità, rispettabilità ed affidabilità femminile che, per le donne, sembra dover passare necessariamente attraverso l’adesione a schemi convenzionali, tradizionali e conservatori, che qui in Spagna sono ancora molto in auge e che, a mio modo di vedere, influiscono molto negativamente su di una autentica liberazione del femminile. Infatti in questo paese, al di sotto di una apparente scorza di modernità, si celano ancora dei potentissimi retaggi culturali conservatori che bloccano l’autentica espressione della libertà del genere femminile.