Marina Freri da Sydney ci invia i dati sulla nuova emigrazione in Australia, dati freschi! Da lei elaborati anche per la sua tesi. Interessante per me. Voi non avete mai pensato di emigrare in Australia? Io molte volte e trovo i post di Freri coinvolgenti perché del Paese dove vive qui da noi, non si parla mai.
Buona lettura.

L’esodo degli Italiani in Australia in pillole, per evitare le palle della stampa.
Questo è il titolo che darei al mio nuovo pezzo, se posto per un titolo ci fosse. Ho letto con un misto di amarezza e stupore l’articolo apparso su Il Fatto Quotidiano che, nell’attesa delle dimissioni del premier Silvio Berlusconi, pubblicava cifre record di arrivi in Australia: “In un anno sono arrivati in 60 mila,” diceva con sensazionalismo. Calma non scherziamo, dicevamo noi di SBSItalian che ce ne occupiamo da tempo, anche con ospiti come Beppe Severgnini (qui trovate un podcast al programma radio http://www.sbs.com.au/yourlanguage/italian/highlight/page/id/192027/t/Escape-from-Italy/).
Uno studio del 2010 di Confimprese, citato da IlSole24Ore, e raccomandatomi dal giornalista di Radio24, Sergio Nava, che da anni si occupa di fuga dei cervelli, stima che siano circa 60 mila gli italiani che ogni anno lasciano il nostro paese. Dovremmo allora forse assumere che tutti questi si mettano in viaggio per l’Australia?
A giugno ho deciso di dedicare la mia tesi di laurea proprio all’argomento, chiedendomi se la crisi finanziaria e politica italiana stesse incoraggiando una nuova fetta di italiani, soprattutto giovani della fascia 20-35, ad emigrare in Australia, ripetendo una storia che credevamo fosse del secolo scorso. Cosi dopo aver spulciato i rapporti dell’Australian Department of Immigration and Citizenship dal 2006 al novembre 2011 vi posso dire come stanno realmente le cose, portandovi i dati di ingresso – per quelli di uscita altrettanto importanti dovrete aspettare i prossimi mesi.
Secondo i dati che ho raccolto e rielaborato, dal 2006 al 2011 il numero di italiani in arrivo su visti che consentono di lavorare da uno a quattro anni, è aumentato dell’86 percento.
Nel 2011, ne sono arrivati infatti 9353 contro il dato stabile di circa 5000, registrato nei bienni 2006/2007 e 2007/2008, vale a dire prima della crisi finanziaria.
Di questi residenti temporanei, oltre 3100 sono in possesso di un visto Working Holiday: il visto di vacanza e lavoro che consente di rimanere per un anno in Australia a chi è al di sotto dei 30 anni.
Per questo tipo di visto il dato percentuale di incremento è di gran lunga superiore: si registra un aumento del 119 percento sullo stesso quinquennio 2006/2011.
Se a questi numeri, dei circa 9300 residenti temporanei, si aggiungono quelli di coloro che hanno ottenuto la residenza permanente (656), si arriva a 10mila. Quindi, decisamente qualcosa si sta muovendo e noi stessi ce ne accorgiamo: al di là dei dati, basta andare al supermercato per sentire quacuno dire “la pasta ce l’abbiamo?” O stare in spiaggia un pomeriggio per riconoscere un gruppo di italiani, in quel caso dal costume da bagno a “slip” (abbiamo gli unici uomini al mondo pronti a indossarli con orgoglio). Allora da dove esce quel 60mila?

Beh basta dire che tutti gli italiani che sono venuti in visita turistica o di lavoro (48mila nel 2011) “sono arrivati in Australia”: non importa che la loro visita sia stata di un giorno o del massimo di tre mesi consentito. Non sono italiani in fuga questi, capiamoci, sono italiani in viaggio. Io credo che ci siano storie da raccontare nei numeri; ma credo anche che i dati vadano sempre spiegati e contestualizzati. In Italia c’è una generazione in balia dei contratti da precari, con stipendi che variano dai buoni pasto ai 500 euro al mese, a cui io non mi sentirei in coscienza di dire “lasciate tutto che qui si sta bene, siamo già in 60mila”. Per quello che posso vedere con le interviste che sto facendo in questi giorni ai nuovi giovani arrivati, emigrare in Australia è un privilegio di pochi. O si entra con le qualifiche della lista delle professioni richieste oppure si deve pianificare un vero e proprio investimento. E quanti con l’economia del paese ridotta all’osso lo potranno fare? In quanti si possono permettere di comprare anche solo un biglietto per l’Australia?

Concludo dicendo che non mi azzarderei a dare false speranze a chi non può permettersi nemmeno di rischiare di lasciare quei contratti infami da stagista o neoassunto, insieme a quel poco che ha messo da parte.
La stampa italiana, per come la vedo da fuori, dovrebbe recuperare l’importanza dei fatti, della cronaca.
La prima cosa che si insegna nelle scuole di giornalismo anglosassoni è di dimenticarsi avverbi e aggettivi per i primi dodici mesi di pratica: vale a dire recuperare il nocciolo duro della questione, che per quanto complicata, si può sempre ridurre alla logica di soggetto-verbo-oggetto.
Pensate a una stampa senza giudizi morali, immaginate che vengano stampati, trasmessi, registrati solo i fatti scevri del teatrino delle bandiere di partito.
Pensate a un’informazione onesta e rispettosa del lettore, che vi proponga le cose così come accadono, lasciando che siate voi a formarvi un’opinione, o che qualora non abbiate voglia di formarvela abbia degli opinionisti pronti ad offrirvela in aggiunta, sia ben chiaro, alla natura dei fatti.
Non è questo che ci meritiamo? Un ritorno alla trasparenza e all’immediatezza di quel soggetto-verbo-oggetto che chiaramente comunica e poco allude.
Fatemi sapere cosa ne pensate, e se volete venire in Australia fatelo ma non siate sprovveduti: è una terra stupenda, ma non è la terra promessa.