Nuova corrispondenza catalana da Giusi Garigali.

Ciao a tutte / i
Sono davvero tante le cose di cui mi piacerebbe dialogare con voi, da qui, scambiandoci idee ed impressioni. Non sempre riesco a commentare i post delle altre ragazze, ma ci tengo a precisare che le seguo sempre con vivo interesse e che alcune delle loro riflessioni, infatti, mi hanno suggerito il testo che segue.

A partire da piccoli esempi tratti dalla vita quotidiana vi vorrei spronare a riflettere sulla moltitudine di luoghi comuni che AFFLIGGONO le nostre esistenze (curioso che proprio in questi giorni Lorella pubblichi il post “Quel che pensate non è vero”, ennesima dimostrazione delle capacità di mutazione e adattamento del pregiudizio) – a volte creati exnovo, a volte preesistenti e rinforzati ad-hoc dai media – così difficili da individuare, destrutturare e smantellare perché pervicaci e soprattutto spesso assimilati alla nostra quotidianità. Quegli stereotipi che mal sopportiamo e che ci ingabbiano in ruoli che non ci appartengono, anche e sopratutto a livello di “macrocategorie”: gli italiani sono…, gli inglesi sono…, le donne italiane sono…, tutte le donne sono… etc. etc.
Vi invito a leggere il contenuto della lettera e ad intervenire, raccontando la vostra esperienza.

Partirò dalle parole di Marina che, nel suo secondo post, ci racconta le difficoltà di accesso al mondo del lavoro per le giovani donne a Sidney (non accade solo in Italia, dunque).
Con la sua cronaca Marina incrina, a mio modo di vedere, un consolidato luogo comune diffuso in tutto il pianeta. Quello che vorrebbe la donna sempre e comunque penalizzata nelle società “latine” e “mediterranee” e invece valorizzata incondizionatamente nelle culture anglosassoni.
Da quanto ho letto, mi sembra che risulti, piuttosto, tristemente evidente un altro pezzo di realtà: che c’è ancora molta strada da fare per le donne di tutto il pianeta. All around the world.
E mi sembra risulti chiaro come tutti noi, uomini e donne, dobbiamo imparare a rifiutare le facili semplificazioni, fermandoci alla superficie delle cose, che è quello che troppo spesso i media ci propongono ed alimentano (e di certo la banalizzazione televisiva contribuisce molto a consolidare questo livello scadente dell’informazione, ma devo dire che anche la qualità dei giornali è, a mio giudizio, precipitata verso il basso).
Di fatto mi pare che solo i Blog, anche grazie alla tecnologia della web 2.0 che ci permette di interagire e di metterci in discussione reciprocamente, siano l’unico “territorio libero e liberato”, in cui si può fare un esercizio di critica continua e di approfondimento, cercando di leggere collettivamente la realtà in maniera più attenta, scandagliando e scoprendo che, nella maggioranza dei casi, essa è costituita da tante tonalità diverse di grigio anziché da solo bianco e nero.

Per diventare degli individui più liberi, cittadini a pieno titolo, dobbiamo dunque abbandonare gli stereotipi, lasciare libera la mente, uscendo appunto da quei facili schematismi rassicuranti che ci vengono quotidianamente propinati e che ci offrono, sul piatto d’argento, delle spiegazioni perfette per interpretare riduttivamente la nostra e anche le altrui realtà, schematizzandola.
Solo così potremo arrivare a metterci davvero in relazione con gli altri. Alla base di qualcunque relazione costruttiva, infatti, ci deve essere ricerca ed onestà intellettuale.
Questa è un’operazione necessaria e al giorno d’oggi direi quanto mai indispensabile, tanto a livello micro – quello delle relazioni interpersonali – quanto a livello macro, quello delle relazioni fra popoli. In realtà, potremmo banalmente affermare che solo il primo passo ci porterà al secondo.
Il pregiudizio, la diffidenza, la mancanza di conoscenza, il fermarsi all’apparenza sono alla base di ogni incomprensione e persino di tanti conflitti.

Dobbiamo conoscerci davvero, innanzitutto fra europei, e poi anche fra popoli di continenti diversi. Ma per far questo è necessario rompere i nostri schemi mentali.
Il fatto che i giovani godano adesso di una maggiore “mobilità” geografica (favorita da tutti quei fattori di cui parlavo nel precedente post e su cui non tornerò) credo (e spero ardentemente) che già rappresenti, e soprattutto rappresenterà in futuro, una grande conquista per l’intera umanità, perché “costringe” alla mescolanza forzata.
Ma attenzione, sempre attuando secondo le premesse di cui sopra, altrimenti il mero spostamento geografico non serve a nulla e, in alcuni casi, sortisce addirittura – come vedremo in seguito – l’effetto opposto, cioè quello dell’irrigidimento in convinzioni preconcette. Bisogna avere la libertà di lasciarsi stupire dalla vita.

Inoltre, perché la comunicazione sia vincente e sortisca dei risultati – la stessa freschezza intellettuale deve riscontrarsi tanto negli espatriati come negli “ospitanti”, che devono essere dotati della flessibilità necessaria a farsi permeare, anche quando il messaggio ricevuto sovverte le loro più consolidate aspettative e convinzioni. Se il ricevente non è disponibile ad accogliere il messaggio la comunicazione non ha luogo e non dà i frutti sperati.

Possiamo per conseguenza affermare che gli espatriati (da qualsiasi nazione e verso qualsiasi altra nazione) hanno una grande responsabilità sulle proprie spalle, in quanto tutti quanti, nessuno escluso, si convertono in “ambasciatori” del proprio paese (anche involontariamente).
Particolare responsabilità hanno però coloro i quali, fra gli espatriati, cercano e stabiliscono dei contatti privilegiati con i media locali.
Costoro, infatti, possono nuocere molto di più al proprio paese se non agiscono con scrupolo e rigore, ma invece rinforzando, con le proprie dichiarazioni ai media, proprio quei pregiudizi che tutti dovremmo contribuire a ridimensionare, se non addirittura a debellare, spiegando e circostanziando, insomma: interrogandoci.
È chiaro che dire quello che gli altri si aspettano che tu dica, propinando la solita “minestra riscaldata”, è più facile, più comodo e ti fa guadagnare “popolarità” immediata e a basso prezzo. Ma NON ritengo sia il compito di chi agisce davvero con intelligenza e buona fede, di chi si presenta come un operatore della conoscenza (che conoscenza sarà mai quella che rinforza il luogo comune? Potremmo chiamarla, forse, “tautologia da discount”).

In questi giorni mi è capitato spesso di pensare al danno che facciamo quando non proviamo ad uscire da noi stessi e ad abbandonare le meschine sicurezze (e semplificazioni) che ci fanno in fretta giudicare gli altri, quando non un intero popolo.
Tutto questo non aiuta, ma anzi ostacola un’unione fra le genti, inanzitutto quelle europee (giacché stiamo vivendo una crisi economica di proporzioni enormi ed inedite e che coinvolge tutti i paesi della zona euro, oltre ad altre economie a livello planetario).
L’influsso nefasto dei politici – che superficialmente “cavalcano” il luogo comune (e spesso sfuttano la diffusa ignoranza della storia, un dato ahimé comune internazionalmente) – aggiunge disinformazione alla disinformazione, contribuendo a consolidare il clima di diffidenza reciproca ed ignoranza.
A volte, per fini non limpidi, c’è anche chi utilizza il paravento del “politicamente corretto”, che a mio giudizio è altrettanto ingannevole. La realtà, infatti, va sempre guardata in faccia, non negata o ipocritamente “abbellita”. Rispetto non significa negazione della verità, anche se scomoda o sgradevole o dolorosa. Per quanto forse non si possa mai definire ASSOLUTA, essa va perseguita a partire da uno sforzo comune, l’unica via per tutelare e migliorare se stessi, gli altri e la convivenza pacifica.

Pensavo a questa necessità di onestà intellettuale l’altro giorno, quando ascoltavo Anna Diamantopoulou – ministra della pubblica istruzione greca riconfermata nel nuovo governo “tecnico” – che raccontava, in un’intervista televisiva su BBC World News, l’offesa profonda arrecata al popolo greco (in questo momento sottoposto a immani sacrifici) da certi politici e da certa stampa o opinione pubblica straniera che negli ultimi mesi non hanno certo risparmiato attacchi duri (e faciloni) ai Greci, genericamente descritti come approfittatori, fannulloni, irresponsabili, inaffidabili etc.
Coloro che l’hanno fatto privilegiano la ricerca di facili consensi nel proprio paese e agiscono per un personale calcolo politico, facendo leva su banali luoghi comuni ed alimentando la sfiducia quando non addirittura l’odio fra popoli.
Ho fatto una veloce ricerca in Internet, utilizzando semplici parole chiave in inglese quali: anti greece campaign european media ed ho trovato conferma di ciò. Vi invito a fare lo stesso. Una giovane amica greca mi raccontava che studenti greci in giro per l’Europa per ragioni di studio (Erasmus) stanno avendo problema nella ricerca di appartamenti in affitto. Secondo quanto mi riferiva, gli viene chiesto tutto (o gran parte) dall’affitto anticipato, anziché un semplice deposito come d’uso. La ragione è che “dei Greci non ci si può fidare!”.

Mi sembra di ricordare certa demagogia di tanti politici nostrani che hanno raccolto voti puntando il dito contro i nostri meridionali, mettendoli tutti indistintamente nello stesso fascio e diffondendo anche odio e intolleranza… La fiera del luogo comune, della banalità, un inno alla stupidità, non un tentativo sincero di provare a capire i perché di certe aberrazioni, che pur esistono… Approccio che, come sappiamo, a livello elettorale ha pagato, e non poco.

Pensavo alla necessità di contrastare il luogo comune una decina di giorni fa, quando mi sono ritrovata a parlare del cosiddetto “machismo italiano” in un dibattito televisivo in un’emittente locale di Barcellona (8TV).
Purtroppo le “veline” e il “machismo italiano” sono fra i temi preferiti dai media locali, sempre naturalmente trattati con banalità ed irritante semplificazione.
Partendo da Berlusconi (il tema del dibattito), l’anchorman del programma ha chiesto a noi ospiti italiani – sicuro di ricevere una risposta unanime – se non pensassimo che la società italiana fosse profondamente “machista”.
Abituata a un decennio di generalizzazioni (vivo qua da 11 anni, altrimenti sarebbero di più) – che hanno come inevitabile corollario l’idea che la società catalana sia invece incredibilmente più avanzata e civile della nostra e che le donne catalane sono anni luce più avanti rispetto alle “povere italiane” (quelle rappresentate dalle TV di Berlusconi & C, ormai catalogate indifferentemente e definitivamente come “le donne italiane”) – ho fatto presente che forse era necessario fare dei distinguo. Che la società italiana è ancora impregnata di patriarcato, tanto come lo sono altre società, fra le quali la spagnola e la catalana. E che pertanto l’immagine della donna italiana proposta dai media italiani NON coincide con la donna italiana (come tendenziosamente suggeriva il giornalista in questione), ma ne è soltanto una grottesca rappresentazione. Che bisogna fare lo sforzo di andare oltre le facili apparenze. Insomma: tutti quei temi su cui in questo Blog si discute da anni; nessun colpo di genio il mio.
Il giornalista, colto di sorpresa, ha cominciato a vacillare. Sono certa che si aspettava la solita lagna sulle ragazze italiane che vogliono “essere tutte veline”, che non hanno altri desideri (opinione purtroppo qui avvallata da alcune italiane / i che spesso “occupano” i media. Al riguardo mi interesserebbe la testimonianza delle mie “colleghe” in giro per il mondo).

Ho parlato quindi di Lorella e persino della Libreria delle Donne di Milano e, se ne avessi avuto il tempo, avrei voluto raccontare pubblicamente di tutte voi, le ragazze che leggono questo Blog, che di certo NON aspirate ad essere “veline”, pur avendo le vostre difficoltà nell’individuare dei modelli di identificazione positivi che purtroppo la televisione non propone. Sfortunatamente non è stato possibile. Non c’è stato tempo.
Ma la debolezza e genericità di questo stereotipo è stata ancor più evidente quando la domanda “lei si considera machista” è stata formulata ai presenti.
Nessuno ha risposto di sì. È chiaro che la domanda è stata posta fuori luogo, perché nessuno andrà mai in televisione a riconoscere pubblicamente di essere a favore di un modello considerato negativo. (Persino Berlusconi direbbe che lui non è maschilista, perché lui le donne le ama.)
Ma in questo caso io voglio credere che ci fosse della verità in questa presa di posizione, che non si trattasse solo di mero “opportunismo televisivo” da parte dei maschi presenti. Voglio credere che parti delle nuove generazioni (e non solo) siano già intimamente diverse, e voglio credere che tanti uomini (come quelli che, per esempio, partecipano a questo Blog) non si riconoscono nell’uso improprio del corpo femminile proposto dai media, che crea donne (ma anche uomini) imprigionati in una rappresentazione offensiva e riduttiva della loro identità.
Se così non fosse che speranze avremmo? Anche se il giornalista catalano era straconvinto del contrario, dobbiamo dirlo e non stancarci mai di ripeterlo, soprattutto noi che viviamo all’estero: gli italiani e le italiane non sono SOLO quanto offensivamente cristallizzato in quattro stupidi stereotipi. Non lo sono mai stato e soprattutto non lo saranno mai, perché il lavoro di denuncia serve proprio a questo: a creare anticorpi tanto per il presente come per il futuro.

Triste, tuttavia, dover riconoscere che, nei messaggi via Twitter che arrivavano alla redazione mentre noi eravamo ancora in onda, ritornassero frasi che recitavano: “In Italia sono ancora un po’ indietro, no?” “Sono stata in Italia e il machismo che si respira lì non ha nulla a che vedere con la Catalogna. Lì sembravano gli anni ‘60”.
Mi domando: da cosa l’avrà capito una donna che genericamente “è stata in Italia” che da noi il machismo imperversa? Sarà andata in vacanza a Riccione e sarà stata tampinata da qualche bagnino? (ahi, cado anch’io nel luogo comune… Vedete com’è facile?) Sarà andata in giro in bar, negozi e strade affollati da soli uomini? Avrà visto tante italiane che indossano il burka e camminano 3 passi dietro al marito?
Non vengo in Italia spesso, ma mi sembra che le donne, almeno apparentemente, continuino a proporre un buon livello di autonomia e libertà femminile (magari non ratificata da una presenza massiccia, altrettanto necessaria, a livello di rappresentanze politiche, istituzionali, dirigenziali. Ma questo discorso lasciamolo per un’altra occasione).
Come si sarà dunque costitutita questa idea, la catalana all’estero? Ho il sospetto che l’idea preesistesse al suo viaggio in Italia e che là si cercassero solo delle “prove” (la mancanza di permeabilità di cui sopra). Infatti, se partiamo già con un’idea precostituita e non siamo disposti a modificarla, non ci serve a nulla viaggiare e perfino espatriare permanentemente… Cercheremo sempre di trovare in ciò che vediamo “prove” che ratifichino i nostri pregiudizi.
E penso che questo aneddoto mostri chiaramente come tanti anni di berlusconismo e di cattivi ambasciatori all’estero (compresa la nostra stampa nazionale che non ha certo provato a spiegare l’equivoco, anzi ci ha persino prosperato) abbiano creato delle convinzioni che faremo fatica a smantellare. Ci vorrà del tempo.
E infatti, ecco il commento lasciato da una certa Clàudia nella pagina web del programma: “El fenomen Berlusconi és tan gran perquè tots els italians volen ser com ell, desgraciadament per cert (traduco: “il fenomeno Berlusconi è così grande perché TUTTI gli italiani vogliono essere come lui, disgraziatamente è così”). Avete capito a che punto siamo arrivati? E vi posso garantire, io che vivo qua, che questa non è un’idea isolata. Anzi!

Un altro esempio dell’impreparazione della società catalana a comprendere le diversità e le sfumature presenti nella nostra Italia? L’evento che si è svolto qui a Barcellona circa un mese fa, con Nichi Vendola protagonista.
Ebbene, l’interprete di Vendola non è stata capace di tradurre correttamente le parole del leader di Sel in un passaggio che io definirei cruciale. Credo che, spiazzata da raffinati distinguo lessicali, non abbia saputo cogliere e poi trasferire nella propria lingua il messaggio (con la stessa perfidia, ristrettezza mentale e pregiudizio dei messagi Twitter di cui sopra potrei sentenziare che quando si è fossilizzati nella strenua rivendicazione dell’uguaglianza fra sessi, non si è preparati ad accogliere la ricchezza della diversità, della differenza…).
Nichi Vendola raccontava, infatti, che “più che a un partito era interessato ad una partita politica”, ponendo esplicitamente l’accento sulla parola “partita” che, a detta sua, gli piaceva di più in quanto, oltretutto, di genere femminile.
Ecco: l’interprete non è stata capace di cogliere l’essenza di questa “provocazione”, pur avendo molto tempo a disposizione (infatti non si trattava di una traduzione simultanea, bensì di una consecutiva, che ti lascia tutto il tempo per riflettere e spiegare…)
Forse non l’ha capito perché non era una buona interprete (infatti, in catalano le due parole si traducono con una sola: “partit”). Secondo me non ha capito perché da un “macho” italiano (anche se gay è pur sempre italiano, quindi machista) qui in Catalogna non ci si aspettano, ahimé, sottigliezze “del genere”.

Ci sarebbe infine anche da osservare come molti stereotipi possano essere positivi, ma come, nel caso, di solito riguardino popolazioni ricche e culturalmente dominanti. Anch’essi sono maggioritariamente accettati. Un esempio: “I tedeschi sono tutti degli infaticabili lavoratori”… Ma sarà poi così vero? Forse Livia ci potrebbe raccontare qualcosa al riguardo.
Perché accade questo? È innegabile che i luoghi comuni si creino a partire da alcune basi di realtà (le veline, purtroppo esistono). Però poi ci soffocano… E perché permangono nel tempo? A chi fanno comodo? Perché si preferisce mantenere le persone nell’ignoranza (i mass-media, i cosiddetti opinion maker sono fra i principali responsabili), proponendo comode semplificazioni che di certo non aiutano allo sviluppo di un senso critico?
A mio modo di vedere gli stereotipi andrebbero puntualmente denunciati, messi in discussione e destrutturati, in particolare perché non autorizzano e non assecondano il cambiamento, bensì lo ostacolano e sono dunque un fortissimo elemento di conservazione.
Che ve ne pare?

P.S. “Vi segnalo questo raccapricciante articolo “d’opinione” apparso qualche giorno fa su El Periódico de Cataluña, uno dei quotidiani più letti in Catalogna.

Rappresenta una meravigliosa (si fa per dire) sintesi dei luoghi comuni più stupidi sull’Italia e gli italiani, qui molto diffusi (a partire dall’olio spagnolo “spacciato” come italiano agli italiani che, tutti indistintamente, ammirano e votano B, magari di nascosto, ai maschi italiani seduttori che negli anni ’80 imperversavano da queste parti, “rubando le fidanzate”). Leggetevelo, è imperdibile!!!
http://www.elperiodico.com/es/noticias/opinion/caro-amico-italiano-1222562

Ed ecco poi , la relativa risposta sul Blog Spaghetti- Bcn

http://spaghettibcn.com/20111118_querido-amigo-espanol.html#comment-7342

In questo caso vi suggerisco di soffermarvi anche sui commenti al Post.
Vedrete come alcuni italiani cadono nello stesso errore (a provocazione corrisponde altra provocazione, ad intolleranza altra intolleranza) e come invece altri catalani continuano a riproporre le stesse banalità, senza neanche rendersene conto…

Un caro saluto e un abbraccio a tutte / i

Giusi Garigali