Questa è una lettera che esula dalla nostra rubrica LETTERA DA.. Ci arriva da una regione a noi vicina ed affronta temi oggi urgentissimi per noi che viviamo in Italia.
Grazie Emanula.

Lettera dalla Padania.
Prendo spunto dalla bellissima poesia che Giulia ha pubblicato al termine della sua seconda lettera da Parigi, e racconto i miei no. Io non muoio lentamente. Sempre più e sempre meglio rinasco. Ho 36 anni, ho fatto studi artistici nella decadente Accademia di Belle Arti di Brera, a metà degli anni novanta, gozzoviglio di disorganizzazione, dicono oggi sia addirittura peggiorata, quantomeno so per certo che sono aumentati i costi per frequentarla. Non ho avuto modo di inserirmi nel magico mondo dell’arte, mi dissero che occorreva essere supportati da una qualche illuminazione o amicizia divina, ma di questo non mi dispiaccio affatto e non me ne occupo. Ho lavorato sempre per mantenermi, con pochissime soddisfazioni che mi hanno insegnato la preziosa utilità della disillusione ma non a discapito della tenacia umile di chi desidera conoscere, a partire dai miei vent’anni quando iniziai a dire i miei primi incerti “no”, ai genitori per cominciare che amo profondamente per la loro limpida onestà ma che semplicemente non possedevano gli strumenti per accompagnarmi lungo la strada che avevo scelto. Ho sempre lavorato, mai con un contratto che coprisse interamente le mie ore lavorative, a volte in nero, quasi sempre a tempo determinato, talvolta con contratti a chiamata ossia solo quando servi, che vale a dire quando sei servo.

Sono cresciuta senza che qualcuno mi parlasse dei miei diritti e ho vissuto ingiustizie. Ho imparato come si fa grazie alla volontà di capire senza rassegnarmi e tenendo fede all’incorruttibilità del mio animo. Al recente scadere del mio ultimo contratto lavorativo mi sono ritrovata finalmente a poter dire chiaramente i miei NO. Ho detto no ad una datrice di lavoro dopo la sua infima domanda “…e quanti figli ha?” nonostante io figli non ne abbia, rispondendole che lasciavo volentieri il posto di lavoro disponibile ad una donna in difficoltà con prole da sfamare.

Ho detto no ad un lavoro di nove-dieci ore al giorno per 850 euro al mese in nero, nonostante io non viva a Barletta. Ho detto no ad una giovane coppia di futuri genitori che cercava accudimento a tempo pieno per la loro figlia che nascerà all’inizio del prossimo anno a partire dai suoi quindici giorni di vita, quando mi hanno fatto notare che il minimo sindacale per la collaborazione domestica, qualora avessi voluto il contratto, è di 700 euro al mese. Ho aggiunto andandomene cortesemente che visto la madre libera professionista, esisteva la possibilità del congedo parentale del padre col fine di prendere tempo a favore della piccola nascitura. Ho ridotto i miei seppur esili consumi, mi avvantaggio del dover bastare a me stessa, ho preso tra le mani un pezzo di argilla morbida e umida e ho deciso di cominciare a plasmare io il mio futuro lavoro ,vivendo di ciò che le mie mani e il mio animo saranno in grado di donarmi. Mi prendo del tempo e mi faccio il più grande regalo della mia vita ovunque mi porti accogliendo qualsiasi insegnamento ne deriverà, con l’intento di vivere della mia espressione.

Questo è il tempo di costruire, di praticare e camminare il cambiamento, io ho cominciato dai NO. Ieri viaggiavo su un treno verso Milano e ho assistito ad un grave atto discriminatorio nei confronti di un viaggiatore dalla pelle nera, nonostante il suo biglietto fosse regolare ma l’obliterazione non chiaramente leggibile, a causa del mal funzionamento delle apparecchiature apposite. Alla signora italiana seduta davanti con biglietto non obliterato è stato solo detto in futuro di raggiungere il Capo treno per la convalida, lo straniero è stato fatto scendere dagli agenti di polizia intervenuti dopo segnalazione del controllore che hanno ignorato, seppur preso i miei dati per un eventuale ricorso che probabilmente non ci sarà, la mia protesta che segnalava la veemenza del controllore che stava raccontando una bugia. Disse che era stato minacciato di un pugno, ma i miei occhi lo hanno visto pochi minuti prima chino a pochi centimetri dal viso dello straniero, munito di documento di residenza italiano, gesticolare animatamente e minacciare un manrovescio.
Ho protestato, nessun altro l’ha fatto, non la signora davanti, non la giovane accanto.

Io si, sono stata inascoltata, il viaggiatore fatto scendere dal treno e al suo ripartire ho letto lo sgomento e la rabbia negli occhi di chi per troppe volte ha dovuto subire senza possibilità di replica neppure in presenza di testimoni. Ho scritto all’azienda per segnalare il fatto gravissimo di discriminazione razziale avvenuto. Il controllore si è permesso poi perfino di redarguirmi “brava signora, brava italiana” ha esclamato. I miei occhi fissi nei suoi hanno risposto che da brava italiana non potevo dimenticare l’articolo 3 della nostra Costituzione e ho aggiunto “a lei non ho altro da dire”. Ho visto attorno a me la maleducazione e l’atroce presunzione di alcuni “bravi italiani” timorosi in verità perfino dell’oscurità della propria ombra, l’omertà dei pavidi, la perplessa incredulità mista a rassegnazione degli stranieri che ci osservano con fame, sospetto e rabbia, la stessa rabbia che ho provato ieri sul treno che ripartiva.

Questa è la padania, fatta ormai di baracche sotto i ponti della ferrovia, tende, materassi e cartoni, culle di emarginazione.
Fatta di province con le strisce pedonali su fondo verde, di agnosia ed ipocrisia.
Questa è la padania, dove risiede quell’ottusità che non permette di comprendere del grave danno che la discriminazione porta con se creando desertificazione e paura, dove l’abbondanza è negata nel suo nascere, dove non conta più che tu esista.
Questa è la padania e qui dove occorre creare, plasmare e costruire.
Ma questa è anche la Terra che desidera cambiare, e l’ultimo turno elettorale lo ha dimostrato, ora occorre tener fede e dare esempio, Milano questo lo può fare e forse lo sta già facendo, lo possono fare i tanti Comuni nei quali si è scelto di cancellare il fondo verde delle strisce pedonali perché il Codice della Strada non lo consente, togliendosi di dosso il marchio a fuoco di una millantata proprietà privata.
Non voglio andare via dalle mie radici perché esse raccontano altro. Raccontano di fertilità e di semi che germogliano fiorendo ogni primavera, di vento secco che ci porta il fresco e saggio profumo del nord, del sapore di accoglienza e della bellezza che risiede nella diversità e nella volontà di creare e costruire, insieme. Non mi conformo e lotto. Mi informo e racconto. Osservo e protesto.

Sono certa di non essere sola.
Dico i miei no, vado avanti a testa alta e ora so per certo come raccontare il disagio che spesso provo: non sempre occorre emigrare per sentirsi stranieri.

Emanuela Chiarini

“Non siamo sole e quello che facciamo non percorre cammini inediti. Altre li hanno seguiti prima di noi”
Vandana Shiva