Riceviamo e pubblichiamo:

La prima volta che andai con una prostituta fu anche l’ultima. Era il 1992, avevo 20 anni e non mi avevano mai interessato. Sentivo, anche da ragazzo con poca esperienza di vita e di sesso, che la cosa più eccitante nel rapporto fisico con una donna fosse conquistarne il desiderio, che questa con il corpo e anche con la mente mi volesse. Quella volta ero in giro con un amico ed altri ragazzi, che decisero di concludere la serata con un rapporto a pagamento. Non ne avevo alcuna voglia ma non riuscii a dire di no alla loro insistenza e ci andai anch’io. Ero teso e imbarazzato, pur cercando di non darlo a vedere. Avrei voluto aver fatto la corte a una delle tante ragazze che avevamo incrociato nei locali di quella sera. Invece andai in una camera fatiscente con quella giovane argentina, che nonostante i sorrisi era chiaramente lontana da ciò che avrebbe realmente desiderato dalla vita. La conseguenza fu che dopo un approccio non convinto ci mettemmo a parlare: niente di importante o profondo, solo quello che ci si dice quando ci si incontra per la prima volta. Se non ci andai a letto non fu per compassione, non mi facevo alcun problema per lei. Fu perché una cosa mi mancava in quella situazione: essere voluto.

E’ stata una esperienza di solitudine. Ho constatato che per molti uomini è invece proprio il fatto di pagare, e dunque dominare, la fonte di eccitazione. Avere, non essere voluti. Ma ho comunque vissuto per molti anni della mia vita una dimensione della relazione con le donne simile a quella di chi compra le persone. Pur non desiderando donne a pagamento, nelle mie fantasie è sempre stata forte l’idea di ridurre la donna ad oggetto d’uso sessuale, privandola della sua individualità, riconducendola ad un meccanismo uniforme. E’ stato faticoso vivere questa condizione nella realtà dei rapporti: ne deriva una solitudine opprimente che lascia poco spazio a qualsiasi condivisione, fosse anche solo quella del piacere fisico, della ricerca di esperienze. Certo non ritengo che il problema sia la ricerca del sesso, anche quello più oscuro. Ritengo che il problema sia la brama di affermare il proprio potere sugli altri, in questo caso sulle donne.

Va da sè quindi che non mi considero migliore di chi con le prostitute ci va, né portatore di alcuna particolare verità. Solamente sono stato colpito dal discorso avviato dall’associazione Maschile Plurale, di riflessione sui problemi degli uomini in quanto maschi. In particolare la sensibilizzazione da loro avviata su ciò che è oggi realmente la prostituzione: schiavitù, tortura, rapimenti, finanziamento dei peggiori criminali, come ognuno può sapere infomandosi un minimo. O nel migliore dei casi, da sempre, umiliazione.

Se scrivo qui queste cose è perché vorrei che si provasse a parlare di una realtà, la prostituzione, che troppo spesso si liquida con luoghi comuni o facendo finta che riguardi solo chi la frequenta. E non parlandone noi uomini è come se volessimo restare soli. Una solitudine spesso colpevole.

V.