OH MARINA! Io leggo Marina da Sydney e mi emoziono. Penso a questa ragazza che a 22 anni parte sola per Sydney. Penso alla sua caparbietà, alla forza, alla determinazione. Penso alle lunghe giornate sola, che all’inizio si sa è così l’ho provato. Penso che poi ce la fa, lavora alla radio tv australiana e studia e si laurea. E in Italia di donne così ne avremmo bisogno. Penso che il nostro Paese ancora non capisce. E Marina freme, talvolta, temo, soffre.
Per ragazze così noi adulte qui ci impegniamo vero?

Cara Mamma Rai,
ti guardo da Sydney e mi vengono dei dubbi.
Sì io sto bene, sono stata a Dangar Island, un posto magico sull’Hawkesbury River in New South Wales. Nel weekend abbiamo trovato una costola di balena su una spiaggia, fatto il bagno sotto le cascate, nuotato tra le rocce rosse e gli alberi del te.
No, non mi servono soldi, sta tranquilla, il lavoro va bene, la casa pure, mangio abbastanza verdure…

Ma parliamo di te, mamma Rai.
Leggo dal tuo codice etico che nella tua qualità di concessionaria del Servizio Pubblico radiotelevisivo, ti assumi quali tuoi compiti prioritari una lunga lista di mansioni edificanti nei nostri confronti. http://www.rai.it/dl/docs/%5B1232098969253%5Dcodice_etico.pdf
Seguendo Sanremo 2012 a distanza di sicurezza, ho capito quanto ti sia difficile ricordarle tutte ai tuoi autori ogni giorno.
Allora, anche su suggerimento della mia amica Carla che ora vive a Berlino, ho pensato di farti un promemoria, un riassuntino per punti, facsimile bigino della maturità.
Lo puoi appendere sulle porte dei bagni, sotto a quello del divieto di fumo.

Ti cito, passo passo:

  1. Garantire la libertà, il pluralismo, l’obiettività, la completezza, l’imparzialità e la correttezza dell’informazione;
  1. favorire la crescita civile ed il progresso sociale;
  1. promuovere la cultura, l’istruzione e la lingua italiana;
  1. salvaguardare l’identità nazionale e locale;
  1. garantire servizi di utilità sociale;
  1. estendere alla collettività i vantaggi delle nuove tecnologie;

No Rai, dedicare un’ora di trasmissione su tre alla propaganda personale, politica e anticlericale di un cantautore non garantisce nessuna delle voci qui sopra da te elencate; a meno che tu non dia possibilità di replica seduta stante o, per tempo, in altra sede che non sia quella Santa.
Permettere che ci siano sempre più donne spalle, donne in ruoli che definire di co-conduttrici è generoso, donne mute che non conoscono la lingua italiana e pertanto zittite, o donne senza carattere, perché a parlare si lascia che siano i loro spacchi, non aiuta la crescita civile.

E contraddice le tue stesse parole, mamma Rai.
Al punto 2.10 del tuo codice etico proprio tu scrivi che il valore supremo della persona umana è riconosciuto da RAI, e che pertanto “l’immagine della donna non deve rispondere a stereotipi riduttivi o strumentali.”
Questo è stato un festival di giovani donne di talento.
Emma, Noemi, Arisa e Nina Zilli hanno portato all’Ariston l’immagine fresca e onesta della diversità femminile italiana.
Possibile che invece tu, Rai, ti ostini a preservare un’identità nazionale che è solo mediatica?
Quella di una società imbalsamata, fossilizzata negli stereotipi di genere?
Hai perso un’occasione, Rai. Forse anche tu ti eri pensata diversa in passato e poi ti sei persa.
Pensa a quanto sia più facile per noi, che ti guardiamo, perderci tra le farfalle di Belen e sognare un seno più grande, una vita meno intellettuale ma più sottile.
Sono tante le donne che pensano che non sia un nostro problema pensare alla programmazione Rai, perché, escludendoci, non ci rappresenta.
Come dice una delle mie amiche più capaci, se Ivana Mrazova, nel pieno delle sue facoltà mentali, decide di stare al gioco di una commediola sexy “all’italiana”, non è un nostro problema e non è discriminante per le donne che “non ci stanno”.
“A meno che,” continua la mia amica, “non si pensi che lei non sia in grado di scegliere e sia costretta?” No, di certo.
Ma il punto è che siamo sulla televisione pubblica e spazi per questo tipo di siparietti da bar di provincia non ci dovrebbero essere.

L’emittente nazionale australiano per cui lavoro, lo Special Broadcasting Service, ha un codice etico molto simile a quello della Rai. http://media.sbs.com.au/home/upload_media/site_20_rand_2138311027_sbscodesofpractice2010.pdf
In sintesi, i programmi devono mettere in discussione le opinioni comuni, sfidare l’audience, essere coraggiosi e proporre contenuti prima non esplorati; informare ed educare; analizzare questioni sociali controverse garantendo l’imparzialità dei conduttori e dei cronisti.
SBS, come la Rai, si impegna poi sulla carta a contrastare, nei suoi programmi, stereotipi discriminatori e umilianti.
C’è un’unica sola differenza: che tutto quello che è scritto viene rispettato e onorato da SBS con una programmazione radiofonica e televisiva inclusiva di ogni comunità etnica, genere, età e religione, dove non si vedranno mai inguini, seni e natiche se non in un servizio di inchiesta sugli effetti nocivi del botulino.
Ora mi chiedo perché in Italia non ci sentiamo in potere di richiamare la Rai all’ordine?
E’ la nostra emittente pubblica.

Sembra troppo chiederti Rai di rispettare un codice etico che tu stessa hai scritto?
Se ci sono troppe regole e non te la senti di istruirci più, dillo apertamente e potremmo scrivere insieme un codice con un’energia nuova.
Ma, ti prego, non mandarci più a scuola da Celentano, Morandi e Papaleo.
Ti ricordo Rai, che trasmetti in un paese che sforna ricercatori, artisti, letterati, filosofi che il mondo ci invida e che, spesso, ci rapisce; in una nazione che ama ridere, da madre qual è della satira e della commedia dell’arte.
Se volessi, con un po’ di amor proprio, ne avresti di cose da insegnare Rai, anche all’Australia.