Be the change you want to see in the world.

M. Ghandi

Cara Nonnuccia,

ti scrivo da un ottavo piano e due finestrone luminose. Sbircio dall’alto lo stadio verde della squadra Sporting, l’insegna intermittente di un ristorante e la città in dormiveglia. Il vento sta urlando, stonato e minaccioso, da ormai diversi giorni.

Stasera compio una settimana nella nuova casa. È il quinto trasloco in 12 mesi. E come se non bastasse, nell’ultimo anno di vita ho cambiato pareti di tre Paesi diversi: a volte mi chiedo come faccio a non sentirmi spaesata quando apro gli occhi la mattina. Ho ancora le valigie chiuse e non so quando avrò la forza di disfarle.

Anche domani la sveglia sarà alle 6.

Alle 6h30 non sono mai sola a prendere la metro, nemmeno l’unica a stropicciare gli occhi in cerca di un posto vicino al finestrino per poter appoggiare la testa e svegliarmi con più calma. Se da una parte mi tranquillizzo perché noto che tante persone si alzano e vanno a lavorare (significa che hanno un lavoro?), dall’altra mi preoccupo. Sembra che ogni giorno che passa, la crisi aumenti: stiamo entrando sempre di più nel fango economico. Anche le mie scarpe ne sono ormai un po’ sporche.

Una delle mie più grandi paure è la cecità. Anche quella di non riuscire a vedere una luce alla fine della piaga che molti chiamano crisi economica.

Sono una funambola. In bilico da diversi anni, nonostante un buon curriculum.

Da piccola sognavo di diventare insegnante di inglese.

Al liceo, la mia amica del cuore Valentina mi aveva detto che sarei diventata come Frau Bauer: insegnante di tedesco.

Io, da grande, vorrei insegnare. Ma non insegnare per dettare conoscenze. Vorrei aiutare, imparando ad insegnare. L’ho imparato da alcuni professori (di età differenti) incrociati nella mia Strada. Questa è una delle poche certezze che questo mondo mi sta offrendo.

Io, da grande, vorrei poter svegliarmi con il sorriso, alzarmi con il sorriso e andare a lavorare. Con il sorriso. O per lo meno… andare a lavorare.

 

Sì. Anche qui poco lavoro. Estrema lacuna a Lisbona. Giovani poco considerati, come scarsa volontà di credere in loro. Poche opportunità. Poco di tutto.

La gente se ne va dal Paese perché non trova di che vivere. Lo capisco… lo sto capendo.

Ma sto tentando, dato che da nessuna parte ora riesco a vedere una via nitida.

Qui sto bene. Nonostante le continue e creative difficoltà, sto bene. E per ora sono anche un po’ stanca di andarmene.

Ho iniziato a cercare dopo aver concluso un progetto europeo di insegnamento in una scuola pubblica qui a Lisbona, con la ferma speranza che «in ogni luogo di lavoro c’è bisogno di persone che sappiano parlare lingue diverse…». Ho conosciuto nuove fatiche fisiche e nuove delusioni.

Ho fatto un colloquio un giovedì di qualche mese fa. Sono entrata in quell’hotel che avevo paura di un’ennesima delusione. Candidata come Receptionist. Due ore di analisi, domande ed impressioni presentate e spiegate in portoghese, inglese, francese e italiano. Il tedesco, il direttore non lo conosceva.

Guance rosse e mani che si tenevano nervose ma pacifiche.

Uscita dall’hotel, il direttore mi ha detto che il martedì successivo avrei ricevuto una telefonata, sia questa positiva o negativa.

Tornata a casa, nuovamente preoccupata, mi sono tuffata in un croissant di cioccolata.

Non era passata nemmeno un’ora che il telefono ha squillato. Era lo chef della Reception di quell’hotel. «Salve Chiara… le telefono per chiederle di iniziare a lavorare con noi. Al direttore è piaciuta talmente tanto che intende darle una possibilità nel nostro hotel».

La mia divisa è molto bella. Lavoro in tennis. Sudo ogni volta che cambio lingua. Sorrido, tanto. Non ho voglia di piangere mentre faccio la receptionist. Lavoro quaranta ore settimanali, per pochi, pochissimi soldi. L’hotel macina euro, ma il personale è quotidianamente sfruttato e sotto pagato. Voglio che sia un’esperienza di passaggio. E intanto cerco un’altra occasione per concretizzare il mio sogno professionale.

Prima di alcuni mesi fa non avevo mai lavorato in hotel: so che di me è piaciuta l’umanità che regalo e che respiro, la volontà di aiutare e sorridere a chi incontro. C’è sempre più bisogno di umanità. Vivo ciò in cui credo. Ringrazio, ogni giorno, per tutto ciò che mi rende viva e lotto per rimanere viva.

In questo sistema marcio, in questi giorni di giovani difficili, nella realtà traballante, poco nitida, barcollo, NonnUccia.

Non passa giorno in cui non mi senta in difficoltà, insicura, afflitta e spaventata.

Urlo perché mi infastidisce la sensazione di soffocamento che ho ogni giorno. Non riesco a fare progetti che possano durare. Soprattutto in un paese che non crede in me, in noi.

Tutto è stantio, non lascia respirare. Provo a costruire qualcosa in cui credo solo io. O pochi intorno a me.

Sogno di creare una famiglia e trovare un lavoro che gratifichi gli anni di studio, di fatiche e soddisfazioni.

Sogno di avere un po’ di rispetto in ciò che faccio.

Sogno di costruire un mondo diverso da quello che sto vivendo.

Penso spesso che ti vorrei qui, vicino a me, come quando da piccolina mi cantavi “ninna dodò, ninna dodò” per addormentarmi e tranquillizzarmi. Tu che, da 27 anni, sei un pilastro di vita e sorrisi. Tu che, diversi anni fa, avevi votato per un’Italia democratica, sono sicura che allora pensavi al nostro futuro. Al futuro di qualche generazione che anche tu avresti potuto costruire. Hai sempre pensato agli altri, sei sempre così generosa. Hai visto cosa sta succedendo? Perché non vogliono credere in noi? Ci stanno prendendo in giro, nonna.

Ci hai provato… lo so. Ma un grande problema del mondo umano è che da soli non si è ascoltati. Bisogna unirsi, consolidarsi, stringersi e credere in ciò che si grida.

È anche per questo che continuo a scrivere e credere in ciò che SGUARDI mi sta offrendo… perché credo nella determinazione e nei diritti genuini. E perché credo che al mondo esiste ancora una buona fetta di persone buone e capaci di cambiare il mondo.

Chiara Baldin