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La TV spagnola: lettera da.. Barcellona (4)

La TV spagnola: lettera da.. Barcellona (4)

Ben ritrovate/i tutte/i Questa volta mi piacerebbe raccontarvi qualcosa sul servizio radiotelevisivo pubblico e privato qui in Spagna e sulla rappresentazione della donna nei media spagnoli. Penso possa essere utile per stabilire un confronto con l’Italia e per capire se qui la situazione è un po’ migliore che da noi. Si deve innanzitutto premettere che in Spagna non esiste quella volgare sovraesposizione del corpo femminile, cui cominciò ad abituarci Mediaset negli anni ’80 – propugnando la falsa idea di voler spronare la società italiana ad uscire, con ironia, da una situazione di presunto “puritanesimo” – e a cui la Rai si adeguò presto, peggiorando inesorabilmente la qualità della propria produzione / programmazione. A differenza che in Italia qui in Spagna, e anche in Catalogna, il servizio pubblico ha continuato a svolgere decorosamente il proprio compito, indipendentemente dalla tipologia dell’offerta delle televisioni commerciali (che comunque non sono mai arrivate a mostrare l’indegno mercato della carne nostrano), mantenendo un palinsesto che mi sento di definire più che dignitoso. Tanto per intenderci: nessun canale pubblico televisivo, spagnolo o catalano, trasmetterebbe mai un “reality” demenziale come “L’Isola dei Famosi”, cosa che, invece, come ben sappiamo, ha purtroppo fatto reiteratamente Rai2. Inoltre, tanto la televisione spagnola come quella catalana, per quanto non esenti del tutto da controllo politico, provano a dimostrare sempre un certo equilibrio nella scelta e nella presentazione delle notizie, cosa impensabile da noi in Italia (e non mi riferisco solo al Tg1 di Minzolini, dato che a mio parere tutte e tre …

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Lettera da.. Sydney (4)

Lettera da.. Sydney (4)

Quarta corrispondenza di Marina Freri dall’Australia e anche da Lodi…

Questo è un post iniziato a Sydney e finito a Lodi, un post a metà, proprio come mi sento in questo momento in cui sono seduta alla scrivania su cui ho fatto i compiti del liceo e studiato per gli esami dell’università. Nel giro di trenta ore ho lasciato Sydney, i suoi parchi, le sue spiagge e l’estate per ritrovarmi a casa con i miei genitori: erano 19 mesi che non tornavo. Non me l’ha prescritto il medico di emigrare in Australia, ne sono consapevole, è stata una libera scelta fatta credendo nelle opportunità che avrei potuto trovare, una scelta che rifarei domani, ma che ha cambiato radicalmente i rapporti con le persone che amo. Dall’Australia non si vola in Italia per il weekend con un biglietto low cost. E questa condizione rallenta il ritmo del vivere quotidiano e delle emozioni. Non è facile assistere alla vita della propria famiglia in moviola, vedere il loro presente sempre in replay, a 8 o 10 ore di distanza di fuso orario, in qualche minuto di telefonata.

In 19 mesi succedono un sacco di cose. Mio fratello ora vive in una casa che non ho ancora visto, mia cugina ha avuto un bimbo che ho conosciuto solo ieri, Leonardo, di 15 mesi, i miei nonni non abitano più nella casa in cui ho fatto colazione fino alla laurea, le mie amiche invece si sono laureate e provano a tenersi con i denti lo

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Seconda Lettera da.. Parigi

Seconda Lettera da.. Parigi

Ecco la seconda lettera da Parigi. Seguo con passione Giulia Camin, mi piace come scrive e come si rapporta a Parigi città dove anch’io vissi 3 anni e da cui ho imparato molto. Grazie Giulia e buona lettura a tutte!

Care amiche,

sono passate soltanto due settimane da quando vi ho scritto, eppure i colori intorno a me sono già diversi. Qualche pioggia insistente ha dato inizio all’autunno, la temperatura si  abbassata, golfini e giacche sono tornate protagoniste di una buffa coreografia collettiva. Un frenetico “metti e togli” tipico delle settimane di mezza stagione e necessario soprattutto a Parigi, dove il tempo cambia continuamente. Ho letto da qui le principali notizie che riguardano l’Italia, cogliendo le perle di grande poesia che ci sono state offerte; penso all’ignobile barzelletta sullo stupro delle suore consenzienti pronunciata dal ministro (lo scrivo con la minuscola) sacconi, alle dichiarazioni di un certo premier che se ne vuole andare “da questo paese di merda” e che definisce Angela Merkel una “culona inchiavabile”. Questi gossip (non chiamiamole notizie) che sembrano provenire da un imbarazzante mondo alieno, fatico a giustificarli ai miei nuovi connazionali che mi chiedono un commento. Ma questo sarà tema di un’altra lettera; oggi vorrei parlarvi di precariato e accesso al mondo del lavoro, e nel farlo vorrei aprire una riflessione collettiva, un confronto fra le vostre esperienze e le mie.

Inizio dunque dalle mie: una mia candidatura è stata accolta, ho passato una selezione e ho ottenuto il posto. Si tratta di un

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Lettera da.. Sydney (3)

Lettera da.. Sydney (3)

Marina Freri da Sydney ci invia i dati sulla nuova emigrazione in Australia, dati freschi! Da lei elaborati anche per la sua tesi. Interessante per me. Voi non avete mai pensato di emigrare in Australia? Io molte volte e trovo i post di Freri coinvolgenti perché del Paese dove vive qui da noi, non si parla mai. Buona lettura.

L’esodo degli Italiani in Australia in pillole, per evitare le palle della stampa. Questo è il titolo che darei al mio nuovo pezzo, se posto per un titolo ci fosse. Ho letto con un misto di amarezza e stupore l’articolo apparso su Il Fatto Quotidiano che, nell’attesa delle dimissioni del premier Silvio Berlusconi, pubblicava cifre record di arrivi in Australia: “In un anno sono arrivati in 60 mila,” diceva con sensazionalismo. Calma non scherziamo, dicevamo noi di SBSItalian che ce ne occupiamo da tempo, anche con ospiti come Beppe Severgnini (qui trovate un podcast al programma radio http://www.sbs.com.au/yourlanguage/italian/highlight/page/id/192027/t/Escape-from-Italy/). Uno studio del 2010 di Confimprese, citato da IlSole24Ore, e raccomandatomi dal giornalista di Radio24, Sergio Nava, che da anni si occupa di fuga dei cervelli, stima che siano circa 60 mila gli italiani che ogni anno lasciano il nostro paese. Dovremmo allora forse assumere che tutti questi si mettano in viaggio per l’Australia? A giugno ho deciso di dedicare la mia tesi di laurea proprio all’argomento, chiedendomi se la crisi finanziaria e politica italiana stesse incoraggiando una nuova fetta di italiani, soprattutto giovani della fascia 20-35, ad emigrare in Australia, ripetendo una

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Lettera da.. Rio De Janeiro (2)

Lettera da.. Rio De Janeiro (2)

Ecco la seconda corrispondenza di Carol De Assis, in cui ci racconta di politica, donne e informazione in Brasile.

Care tutte e cari tutti, nella mia prima lettera ho parlato un po’ di me e della mia ricerca sulle donne in politica in Brasile e la loro rappresentazione nei media. Vi voglio parlare ancora un po’ della mia passione su questo argomento e di come se la cavano le nostre sindache, deputate, ministre e presidenta.

Inizio proprio da queste parole: sindaca, deputata, ministra, presidenta. Sono queste le parole che mi hanno portata qui. Una volta Lorella ha chiesto cosa serviva perché in Italia queste parole non facessero più ridere. Nella sua ultima lettera (stupenda!), Livia, da Berlino, ha parlato del peso delle parole, in italiano e in tedesco. Qui in Brasile, sin dal primo gennaio del 2011 abbiamo una presidenta. Non presidente, come ci siamo abituati a dire in portoghese, ma presidentA – se la lettera A è quella usata nella nostra lingua per segnalare il femminile, io la voglio usare per segnalare la mia identità di donna, ha ragionato Dilma Rousseff. Lei si è sempre presentata come la futura presidenta del Brasile. La parola è diventata una vera e propria rissa tra i suoi sostenitori/e e i suoi oppositori/e, ed è pure un modo di sapere se uno/a simpatizza o meno con la Rousseff: basta osservare se si riferisce a lei come ‘presidenta’ o ‘presidente’. Come femminista e professionista della comunicazione, ho sempre fatto molta attenzione al modo in

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Lettera da.. Lisbona (2)

Lettera da.. Lisbona (2)

LISBONA! Che succede in PORTOGALLO? Del Portogallo non si legge mai nulla. Ritengo sia una fortuna avere lo sguardo di Chiara Baldin sulla realtà lusitana, un modo diretto per essere informate. Grazie Chiara! Le foto sono di P.N.

Ci vuole coraggio a restare, a scavare dentro se stessi

per cercare la forza per combattere,

scarnendo le proprie carni, sentendone il dolore

e sopportandolo con fierezza. Ci vuole coraggio ad andare.

A voltare le spalle a ciò che conosciamo

e ci è familiare per l’ignoto. Ci vuole coraggio a essere italiani.

Nel restare, così come nel partire.

E questo, per me, dovrebbe essere per tutti profondo dolore. A. Vitaliano

Soffro di vertigini da quando sono piccola. Ricordo le volte in cui salivo sulla cassapanca della cucina per prendere le matite da una scatola: quando guardavo giù mi veniva la nausea. Qualche settimana fa un mio collega di scuola mi ha proposto una scalata sulle rocce di montagna, una delle attività sportive più praticate dai portoghesi: ovviamente ha risposto la mia incoscienza, accettando l’invito con entusiasmo. Ammetto che scalare è sempre stato un mio grande desiderio, ma ogni volta è mancato lo slancio giusto per buttarmici. Quel sabato è stato un giorno indimenticabile: immersa nella natura e nell’aria lusitana, tra spiegazioni in portoghese sui moschettoni e incomprensibili dialoghi ad “alta” quota, ho scalato due rocce di dieci metri ognuna. Mi sentivo così piccola e fragile lassù: creatura un po’ italiana, un po’ tedesca, un po’ europea sopra una roccia portoghese. Sarebbe bastato

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Lettera da.. l'Europa

Lettera da.. l’Europa

Ci colleghiamo al blog di Giovanna Cosenza per questa puntata dove incotriamo Nevena che ha fatto esperienza a Londra e in Germania.…

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