Tempo fa pubblicavamo un post dal titolo Dalla Parte della Bambina sull’abuso di un sessantenne ai danni di una bambina, che veniva letto poi su fb da 100mila persone e commentato da moltissime/i. Allo sdegno e al raccapriccio della maggioranza si alternavano alcuni, pochi,  commenti di critica che sottolineavano come la nostra denuncia  fosse fuori luogo in quanto la Cassazione stava svolgendo bene il suo compito e dunque il nostro allarme era solo dovuto ad incompetenza su questo tema.

Ho aspettato a rispondere perchè il tema è complesso e necessità di tempo.
Il tema in oggetto, come avevo già espresso adeguatamente, è il linguaggio utilizzato nei tribunali. Se è vero, ed io ritengo  sia vero, che “la rivoluzione inIzia con il chiamare le cose con il loro nome” come sosteneva  Rosa Luxembourg, chiamare una bambina “ragazza” fa  una grande differenza che definirei discriminazione feroce in questo caso: infatti una ragazza può essere consenziente a fare l’amore, una bambina NO.
 La Cassazione riteneva  che  la Corte d’Appello non avesse  considerato nel suo giudizio elementi quali “il “consenso”, l’esistenza di un rapporto amoroso, l’assenza di costrizione fisica, l’innamoramento della ragazza.( qui la sentenza).
Nel mio post sostenevo che usare un linguaggio che ammetta, non affermi dunque ma anche solamente ammetta consenso, assenza di costrizione fisica, innamoramento tra un’undicenne e un sessantenne, non è accettabile perchè tali sentimenti, se presenti, sussistono solo attraverso la coercizione che l’uomo esercitava sulla bambina.
Tempo fa sono stata invitata dalla Corte d’Appello di Città del Messico a tenere una serie di relazioni sul tema della rappresentazione delle donne nei media,  nei Tribunali messicani.  Finora non ho trovato il tempo di recarmici, ma spero di poterlo fare presto.
Urge formare attraverso un linguaggio che racconti la realtà, urgono parole rispettose e vere.
Rigrazio la dott.ssa Margherita Giancotti, psicologa forense, studi al John Jay College of Criminal jusitce di New York e a Utrecht,  che mi scrive: “ il tema è il livello di training e di collaborazione tra psicologi e giuristi in campo di children’s testimony“e ci offre una sua articolata opinione:

Queste festività le ho passate non riuscendo a non pensare alla sentenza della Corte di Cassazione di cui si è molto parlato. Come donna, ma anche come psicologa forense ho cercato di analizzare a fondo il sentimento di profondo disagio che tale sentenza mi ha creato sin dal primo momento in cui l’ho letta.La vicenda ha suscitato (giustamente) un grande dibattito, e credo sia importante cercare di capire come, se da un punto di vista puramente giuridico tale sentenza sia corretta, altrettanto non possa essere detto per il linguaggio utilizzato e i concetti che indirettamente arrivano a chi legge. Ma procediamo con ordine.Il compito della Corte di Cassazione è quello di valutare se i procedimenti nei gradi di giudizio precedenti (in questo caso il processo d’appello), abbiamo seguito le procedure. Il giudizio della Cassazione non è un giudizio di merito, vale a dire, ad esempio,  che non si pronuncia sulla colpevolezza o meno di un imputato o sulla pena da infliggere, ma si concentra sulla validità procedurale e il rispetto delle leggi nei precedenti gradi di giudizio.Per quanto riguarda questo specifico caso, la Cassazione ha trovato un vizio nella procedura, valutando come nel non concedere le attenuanti, la Corte d’Appello abbia fornito un giudizio che ha esclusivamente preso atto dell’età della vittima e del non consenso e che non abbia tenuto conto delle circostanze che vanno vagliate in questi casi (la legge garantisce che per ogni reato commesso, anche il più grave, vengano identificati diversi gradi di danno inflitto). “La sentenza impugnata, invero, ha motivato questa statuizione in considerazione del fatto che l’atto sessuale consumato dall’imputato costituiva la forma più invasiva e, pertanto, più grave di lesione dell’altrui integrità psicofisica; mentre non rilevava che l’imputato non avesse adottato forme di violenza o coartazione verso la vittima.”. Leggere queste parole può suscitare sdegno; da psicologa ritengo che “violenza e coartazione”, nel caso di un abuso su una bambina di 11 anni, possano avere modalità e manifestazioni differenti dall’uso oggettivo della forza, dato che andrebbero tenuti in considerazione i sottili meccanismi psicologici (di bisogno, di attaccamento e di ricerca di cure e amore) che si innescano in relazioni di questo tipo e che sono, a mio parere, altrettanto gravi e lesivi (se non di più in alcuni casi, considerando le conseguenze a breve e lungo termine che causano nelle piccole vittime). Ma questa è una considerazione personale riguardo alla normativa di merito e alla necessità della diffusione di una più sensibile cultura dell’infanzia, che quindi ha poco a che fare con la specifica sentenza.Da un punto di vista prettamente giuridico, i giudici hanno cercato di sottolineare come fosse necessario fare una distinzione tra i reati. “L’attenuante è stata quindi esclusa sulla base di elementi in realtà non voluti e non previsti dal legislatore, nonchè di una giustificazione tautologica.”La Cassazione riconosce il reato, ma sostiene che andavano considerate più approfonditamente le circostanze per la concessione delle attenuanti:” Invero, esattamente il ricorrente osserva che il reato in esame indica senza dubbio un disvalore; tuttavia la prospettazione di una attenuazione in termini sanzionatori presuppone che, pur rimanendo fermo quel disvalore oggettivo, si possano ipotizzare ragioni mitigatorie attenuative, che certamente devono trarsi al di fuori di questo”. Se da un punto di vista giuridico la sentenza è corretta, credo tuttavia che ci siano delle questioni che vadano approfondite.Ritengo gravissimo e preoccupante l’utilizzo di un linguaggio che non tutela in alcun modo la bambina e che anzi la espone, attribuendole comportamenti e intenzioni che certamente non le appartengono per età e condizione di bambina bisognosa di cure e protezione. L’utilizzo di termini quali  “rapporto amoroso” , “consenso”è, a mio parere, grave perché attribuisce alla bambina (e non RAGAZZA come scritto, a 11 anni si è ancora bambini a tutti gli effetti) un’identità sessualizzata e adulta impropria. Se è vero che da un punto di vista giuridico l’utilizzo di questo linguaggio non comporta cambiamenti nella pena o nella sentenza (questo sarà stabilito nel processo d’Appello), tuttavia tale linguaggio avalla concetti che non dovrebbero assolutamente passare. Un minore vittima di abusi sessuali non è MAI libero di scegliere: parlare di rapporto amoroso, di assenza di costrizione fisica, rende in qualche modo la vittima partecipe attiva dell’atto.Ribadisco che probabilmente (mi auguro) i giudici di Cassazione non volevano attivamente avallare una compartecipazione della vittima, ma di fatto, leggendo le sopraccitate parole il rischio che si corre è quello di dare forma e valore a concetti che attribuiscono una volontà a chi dovrebbe soltanto essere protetto e tutelato in tutto.Questa sentenza dimostra come sia assolutamente necessaria una presa di responsabilità e consapevolezza a tutti i livelli. In questo caso, ritengo che i giudici, data la loro posizione autorevole e istituzionale, dovrebbero adeguarsi e prestare maggiore attenzione all’utilizzo di un linguaggio fruibile da tutti e non lasciarsi andare all’uso di un linguaggio improprio e, oserei dire, superficiale che lasci spazio a interpretazioni e fraintendimenti di questa gravità.Credo ci sia un profondo bisogno di formazione e diffusione di una cultura dell’infanzia. Come adulti abbiamo il dovere assoluto di rispettare e tutelare i bambini e a mio parere il rispetto passa attraverso una presa di coscienza collettiva che, partendo da un uso responsabile e chiaro delle parole, contribuisca alla possibilità di un cambiamento culturale profondo.PS Vorrei ringraziare l’amica Anna De Battisti, Avvocato, che mi ha aiutata ad approfondire e chiarire alcuni aspetti giuridici.”

Invito dunque  i tribunali italiani ad organizzare seminari di comprensione  di children  testimony per creare cooperazione tra psicologi e avvocati.Mi pare urgente.
Ciò detto, ho altro da dire e di ancor più importante.

Tutto il lavoro svolto finora sul Corpo delle Donne ha un unico obbiettivo: sgomberare il campo da false rappresentazioni che ci depotenziano, per affermare finalmente il Femminile in modo autorevole.
E’ un tema complesso che in parte ho già trattato nei miei libri. Parafrasando Luce Irigeray, non ci interessa essere la copia del maschile, ma essere due.
Che in questo mondo urga  l’autorevolezza del Femminile, credo non abbia bisogno di dimostrazioni.
E dunque trovo che ci sia ancora molto cammino da fare per alcune  donne che   trascorrono il loro tempo prezioso a dimostrare al mondo che sono brave “come uomini”.
Lo sappiamo, ma non basta più.
La querelle sorta dal post in oggetto lo dimostra: un’ansia da parte di alcune di dimostrare che conoscono  leggi , decreti, codici quasi a scongiurare il pericolo di sentirsi dire dagli uomini ” siete delle poverette, non avete studiato cosa dice la cassazione, l’Appello.”
Dunque la paura di non essere all’altezza che fa divenire molte donne più maschi dei maschi.
Nessun giudizio, l’ho vissuto ma, permettetemi ora siamo al TIME OUT.

E dunque a volte qui sono costretta a spiegare che sto provando ad andare oltre. Rassicuro alcune insicure lettrici ricordando che ho una formazione di tutto rispetto che può rassicurarle.
Ma ora c’è bisogno di altro.

E dunque  mi rivolgo a queste donne, ve lo dico con tutto l’affetto, non proiettate le vostre insicurezze su di me.

Dopo avere letto le sentenze, dopo avere frquentato i master, dopo avere avuto voti e giudizi superiori a quelli dei vs colleghi maschi, serve agire la nostra forza di Donne. Serve capire che se io metto in  homepage la foto (di archivio) di una bambina che ci guarda dritto negli occhi, non è una scelta casuale, significa che quella bambina CI STA INTERROGANDO,  ci sta chiedendo di  rispettare il PATTO INTERGENERAZIONALE, ci sta dicendo ” ascoltatemi,  aiutatemi,  fate veloci  le vostre  verifiche,ma fate presto,poi alzate  forte e chiara la voce e dite  che state  dalla MIA PARTE”

Sono costretta ad essere dura ma il vostro bisogno continuo di approvazione da parte degli uomini di un PAese al 71esimo posto del gedner gap, non può essere a prezzo di disonorare il patto intergenerazionale su cui si basa la coesione sociale.

Ci vuole coraggio. Questo è un Paese di pavidi. Guardate le riviste femminili: non un reportage  fatto bene in questi anni in cui si raccontasse della rivoluzione che hanno fatto le donne: direttore di giornali impaurite di perdere investitori pubblIcitari che tanto hanno perso ugualmente.

L’ho già scritto: avere oggi, come donne,  l’approvazione degli uomini che gestiscono il potere significa non stare  facendo bene il proprio lavoro. Perchè quegli uomini hanno creato una delle culture più misogine in Europa.

Lavorate sul vostro bisogno di approvazione, liberatevene.
Quando è uscito il post in oggetto, prima di Natale, una ragazza mi ha scritto indispettita” ma come mai qs notizia non l’hanno data i giornali autorevoli?” E quali sono i giornali autorevoli? le ho risposto rispolverandole la ns sessantesima posizione della libertà di stampa. Io oggi non  conosco  giornali autorevoli in Italia. Non quelli che mettono le donnine nude nella sidebar a dx nelle loro homepage.

Termino e la domanda è solo una: : io sto dalla parte delle bambine con grandissima autorevolezza. Voi?