Chiara Baldin, la nostra giovane corrispondente da Lisbona, raccoglie  con grande comprensione una testimonianza di malattia. Che potrebbe accadere qui o altrove. La morte è rimossa dalla nostra società. Credo che sia dovuto in parte a cio’ che Catherine Mayer definisce amortalità, dove la “a” è privativa. Generazioni che rimuovono la morte dal proprio percorso. Grazie Chiara. Il tuo post è la prova del  filo che lega le donne di diverse generazioni.
“Il cancro è il nemico numero uno delle malattie: meno si nomina e più si pensa di evitarlo.E il motivo di tanta paura è che, legata alla parola cancro, c’è la parola morte. E nel nostro sistema, nella nostra civiltà, non si muore.Morte è sconfitta.

Morte è vergogna e perdita di dignità.

Abbiamo paura di morire ma guai a dirlo. Lo fai solo se stai lì lì per. Altrimenti, meglio evitare: non si sa mai che porti sfiga. E poi, la morte? Il cancro? Capita agli altri. A me no.

Ma è vero, di cancro si muore.

Una diagnosi di cancro abbraccia sempre una riflessione sulla fragilità della vita, sulla sua imprevedibilità e sorpresa. Alcune diagnosi più di altre. Per esempio, la mia. Tuttavia grazie ai miei figli e nipotini, sono stata richiamata alla vita. E la percepisco ogni volta in cui sono sveglia e lucida.

Sono consapevole che ho dentro di me un “caso terminale”. Che non c’è cura che lo abbatterà. Che morirò prima di quando avrei voluto morire.

Tuttavia non mi spaventa morire. Mi spaventa invece lasciare i miei nipotini, non vederli crescere e non poterli coccolare. Anche quelli che nasceranno tra un paio d’anni. Mi spaventa abbandonare mio marito. Mi spaventa il dolore, la perdita di dignità che fa strada al dolore fisico. Sono spaventata dalla sofferenza che mi accompagna fin dal primo momento in cui ho sentito il cancro dentro di me.

Ma non temo di finire all’inferno. Mi dissolverò, come tutti. Dato che la morte è l’unica certezza della vita umana e fa parte della stessa onda. Spero almeno di andarmene sorridendo nonostante il garantito e doloroso martirio che vivrò.

La mia prognosi va da uno a due anni di sopravvivenza. Dipende da come reagirò alla radioterapia, dicono. Il cancro è partito dal seno sinistro e ha felicemente viaggiato fino a toccare la pleura del polmone sinistro e il pericardio. Evidentemente ancora non gli piace la destra. Un po’ comunista.

Mi hanno esportato quasi tutto il seno sinistro. Ne hanno lasciato solo un pezzetto, che col tempo si è gonfiato. Ora ho un disegno abbastanza strano tatuato sulla mia pelle. Le volte in cui riesco a guardami allo specchio, produco una smorfia. Ogni volta diversa. Non sono più simmetrica. O non lo sono mai stata? Hanno tirato una parte di me. Simbolo di qualcosa di molto grande, dicono. Mi hanno tirato la femminilità? Non sono più madre né donna? Sono una vergogna, ora? Deformata? Senza seno? Senza donna?

Qualche giorno fa la mia nipotina mi ha detto: «Nonna, a destra sei morbida. A sinistra ti manca qualcosa!».

Ho cinquantun anni e sto perdendo i capelli. Mio figlio mi ha comprato due foulard per coprire la testa. Certo: perché una donna senza capelli è imbarazzante. Perde pudore e delicatezza. Esteticamente brutta ed evidentemente malata. Li lascio cadere guardandomeli addosso. Due settimane fa ho chiamato la parrucchiera in ospedale: me li ha tagliati corti. Dicono che sto bene e non ho nemmeno voglia di non crederci.

Perché la pelata degli uomini è comprovata e accettata e nelle donne fa audience? Tutti si girano a guardare se per strada passa una donna senza capelli. Sarà che si dà troppo valore a tutto ciò?

Poi penso che non riuscirò mai a farmi il nodo al foulard da sola… che dovrò dipendere anche per un nodo da mio figlio. Avrò il coraggio di lasciare la testa nuda quando uscirò da qui?

Penso che vorrei fare un corso di cucina. L’avevo pensato appena arrivata a Lisbona. Quando ancora speravo di risolvere i dolori costanti. Penso che dovrei andare a trovare mia madre un giorno. Mi manca tanto. Penso che vorrei vedere mio figlio sposato con quella ragazza e padre di due gemelli. Penso che non vedrò quei due gemelli. Penso al lavoro che manca ai miei figli, al nuovo asilo nido che avevo progettato. Poi penso che la vita è di chi resta e che non posso tenere tutto, tantomeno il futuro di chi amo, sotto controllo. Penso a cosa dovrò mangiare stasera, rinchiusa in questa stanza d’ospedale. Da qui si vede un tramonto favoloso, degno di un dipinto a olio.

Nei momenti in cui ho un briciolo di lucidità e non sono sedata dalla morfina, mi guardo intorno e vedo loro. Loro che tacitamente mi stanno accompagnando verso la fine. (Che fine sarà? Sarà una fine?) Loro che non ne vogliono parlare, sdrammatizzano e hanno una paura tremenda della morte.

Ma la morte è da amare.

E amare è anche saper lasciare andare…”

 A., 51 anni, Lisbona

Liberamente ispirato da esperienza vissuta

all’Istituto Champalimaud e alla Cruz Vermelha di Lisbona

che ringrazio

 I numeri del tumore al seno in Portogallo

5000 (approssimativamente) i nuovi casi di tumore del seno all’anno

1 su 10 donne svilupperà tumore al seno nell’arco della sua vita

11 su 13 donne al giorno a cui sarà diagnosticato tumore al seno

1500 (approssimativamente) donne uccise da tumore ogni anno

4 donne muoiono ogni giorno, vittime di tumore

90% (approssimativamente) dei tumori al seno sono curabili se presi “in tempo” (fase iniziale) e curati correttamente

Il tumore al seno è il tumore con maggior tasso di incidenza in Portogallo.[1]

 

Il 30 ottobre è stato il giorno nazionale della prevenzione del tumore al seno.

Sono stati lanciati cinquemila palloncini rosa in cinque città lusitane (Lisbona, Porto, Coimbra, Funchal, Angra do Heroismo).

Ogni palloncino rappresenta ogni nuovo caso di tumore al seno diagnosticato annualmente in Portogallo.[2]