Dalla nostra corrispondente Marina Freri uno sguardo, e un’intervista, sulla vita dei giovani australiani alle prese con studio, lavoro e progetti per il futuro:

Mi prendo una pausa da una settimana di cronaca locale dominata da incendi di portata gigantesca, che hanno distrutto oltre 200 case e che, al picco massimo, si sono estesi su un perimetro di 1600 chilometri in New South Wales, lo stato dove vivo. I bushfires, come li chiamano qui, sono una costante delle estati torride ma quest’anno sono arrivati in anticipo, in piena primavera.

Ne parlavamo in casa in queste sere, mentre il cielo era arancione e il fumo di un incendio, divampato a settanta chilometri da Sydney, si faceva strada anche nel nostro quartiere di palazzine e case col giardino, con una scuola elementare e un paio di negozi detti “convenience store” (i nostri alimentari) che vendono pane, latte e uova al carato – ci ho lasciato 15 dollari per un pane a fette, una busta di prosciutto cotto e un litro di latte.

Tornando agli incendi, certe cose qui, se ci sei nato, sono normali e le avverti – prezzi dei convenience stores a parte, a quelli non ci si abitua neanche col passaporto australiano.

Una collega della mia coinquilina Federica a mezzogiorno del 16 ottobre, ancora prima che ne parlassero i giornali, era uscita sul marciapiede del bar dove lavora e, guardando in su, aveva profeticamente annunciato: “Bushfires…”

Io ne ero rimasta affascinata e pensavo già di chiederle indicazioni sul mio futuro prossimo –Che tempo farà domani? – prima che Federica intervenisse col suo pragmatismo veneto: “Ma è come quando noi, d’inverno, guardiamo dalla finestra e diciamo ‘C’è aria di neve’”.

In casa da febbraio viviamo in tre. Federica è chef e Lola, australiana, è iscritta a una laurea specialistica in diritti umani mentre nel weekend – come dice – fa la “schiava” in un bar alla spiaggia.

Ci siamo conosciute quattro anni fa nel bar, dove anch’io ho lavorato quando andavo all’università e iniziavo a familiarizzare con questo paese.

Oggi, ricevo in media cinque email a settimana da parte di ragazzi, figli di amici di parenti, conoscenti che vogliono partire per l’Australia, così ho pensato di chiedere proprio a Lola, 24 anni, e al suo ragazzo Kyle, 26, che qui sono nati, di raccontare come si vive e come si lavora in Australia da cittadini.

Ho scelto loro perché rientrano nella fascia d’età dei ragazzi italiani che vorrebbero partire e perché hanno una formazione in materie umanistiche, come molte delle persone che mi contattano.

Spero sia utile, anche solo per soddisfare una curiosità. Come vivono i nostri coetanei dall’altra parte del mondo?

  1. Dove vivi e con chi?

K: A Redfern, in una casa in condivisione con cinque coinquilini che hanno dai 23 ai 26 anni.

L: A Bellevue Hill, con due coinquiline in un appartamento.

  1. Che cosa fate nella vita?

K: Lavoro come video producer e studio all’Australian Film Radio and Television School.

L: Studio per un master in diritti umani e lavoro come cameriera in un bar di Bondi Beach.

  1. In Australia, si può studiare all’università e mantenersi? Gli orari lo consentono?

K: Si ce la facciamo tutti e due, senza dover chiedere aiuto ai genitori. È impegnativo, si finisce ad avere cinquanta ore alla settimana da dedicare allo studio e al lavoro.

L: La retta universitaria si può coprire con un mutuo governativo che si inizia a ripagare una volta che si guadagnano almeno 48mila dollari l’anno. Ma è una possibilità aperta ai soli cittadini. Il mio master costa 20mila dollari, se avessi scelto quello in legge mi sarebbe costato 90mila.

  1. E come valutate questo sistema universitario? Vi spaventa il debito che dovete contrarre?

K: Non ci penso, perché lo voglio fare. Certo quando penso che in paesi come la Finlandia si paga poco o nulla, penso che il nostro sistema potrebbe essere migliore.

  1. Quando avete finito la laurea triennale vi sentivate pronti per il mercato del lavoro?

K: No, il mio indirizzo di studi era troppo vago, non c’erano materie che portavano ad avere competenze precise, fai conto che era una laurea in comunicazione con indirizzo scrittura e studi culturali.

L: La mia laurea era in studi socio-legali. Alla fine avevo sicuramente una buona preparazione, ma non sentivo di avere competenze per affrontare un colloquio di lavoro.

  1. Veniamo agli stage, come funzionano in Australia? Sono un periodo formativo?

L: Gli stage organizzati dall’università funzionano bene, hanno una durata prestabilita e richiedono 1-2 giorni la settimana.

K: Sì, se lo stage è garantito attraverso canali ufficiali, allora è un’esperienza formativa, ma quando ci si rivolge direttamente alle aziende, non ci sono tempi stabiliti, ti tengono a oltranza. Succede soprattutto nei campi della moda, delle comunicazioni e del giornalismo, perché sono troppi quelli che vogliono lavorarci.

  1. Qual è il problema più urgente di cui vorreste che lo stato si occupasse?

L: Il mercato immobiliare è ridicolo.

K: Sì l’immobiliare, nessuno può più permettersi di comprare casa.

L: Ma anche l’affitto è da pazzi

K: Soprattutto a Sydney

L: No, tutte le città maggiori sono così

K: l’affitto dovrebbe essere un quarto dello stipendio, invece oggi è metà. Una stanza costa in media 200-250 a settimana.

  1. Quando pensate al futuro, vi sentite ansiosi o fiduciosi?

L: Sono più sicura oggi che in passato che riuscirò ad avere un lavoro; anche se devo ammettere che tanti dei miei amici adesso fanno fatica a trovare lavoro. Forse questo nuovo stage che sto per fare mi darà altre opportunità.

  1. Qual è un artista australiano che secondo voi dovremmo conoscere anche in Italia?

L: Il fotografo aborigeno Mervyn Bishop.

K: Il regista aborigeno Ivan Sen.