Pubblichiamo con il solito piacere un nuovo articolo di Giusi Garigali in cui si parla di lavoro, idee, persone.

Piccoli dati di realtà sull’occupazione, che forse in parte ci sarebbe ma non c’è (per un brain-storming collettivo. Attendo i vostri commenti)

Non ho mai comprato volentieri dai cinesi. Ho sempre pensato che le loro merci fossero il frutto di uno sfruttamento della manodopera ai limiti dell’umano, che i materiali utilizzati (colle, inchiostri, tinture per tessuti etc.) fossero tossici e dunque pericolosi, che le procedure di montaggio dei manufatti non rispettassero le minime norme di sicurezza in vigore nei nostri mercati occidentali, che spesso si trattasse di oggetti di contrabbando entrati in Europa grazie alla protezione delle mafie, etc etc.…
Eppure due giorni fa, esasperata, sono entrata in uno di questi “bazar” cinesi che ormai da anni hanno invaso le nostre città (in Italia, come in Spagna) e ne sono uscita soddisfatta e senza il minimo senso di colpa. Tuttavia, questo sì, anche molto perplessa e preoccupata rispetto al nostro futuro e a quello dei nostri figli.

Dobbiamo velocemente cambiare la nostra mentalità.
Erano le 8:45 del mattino ed avevo urgente bisogno di una chiavetta USB Wireless, per la connessione wi-fi. Ho cominciato a girare come una trottola, ma nessuno dei negozi di IT gestiti da spagnoli / catalani era aperto. Qui a Barcellona i negozi aprono, normalmente, alle 10:00 del mattino e spesso sono chiusi già dal sabato pomeriggio. La domenica, guai a parlare di apertura: concetto tabù, neanche lontanamente formulabile.
Così uno si trova obbligato per non perdere tempo prezioso (perché mai avrei dovuto aspettare a vuoto fino alle 10:00 se io ero già per strada alle 8:30 del mattino?) ad acquistare presso i cinesi, volente o nolente.
Lo stesso dicasi dei supermercati pakistani, gli unici a restare aperti, qui a Barcellona, almeno fino alle 11:00 di sera, oltre che la domenica e i festivi.
Se all’improvviso ti manca qualcosa a casa (il detersivo, il sale, un po’ di insalata, il latte per tua figlia) o se tu stesso finisci di lavorare molto tardi come fai? Meno male che ci sono loro (i pakistani o i cinesi)! La mia (e di molti) personale salvezza.
Ricordo che nel lontano 1985, quando vivevo a Londra, rimasi affascinata dai supermercati “open 24 hours a day”, tutti inevitabilmente gestiti da indiani (almeno nella zona in cui abitavo io), mentre gli inglesi, a milioni, percepivano il sussidio di disoccupazione e soffrivano di seri problemi di depressione ed alcolismo.
Questi negozi mi sembravano la più pura reificazione della modernità, dell’energia e dell’efficienza: una vera città non può dormire mai e, a Milano, questo non esisteva proprio. Ero una provinciale che apriva gli occhi sul mondo.

Cambiamo scenario. Ieri, sabato, in negozio ci ritroviamo, all’improvviso, con un problema al frigorifero principale. Bisogna riempirlo di gas perché possa riprendere a funzionare a regime. Chiamiamo il frigoriferista: si tratta di un’urgenza, di un imprevisto da tamponare. Cosa ci risponde il frigoriferista locale? Che è sabato, che è in spiaggia, che non può venire. Ne chiamiamo un altro. Medesima risposta.
Vorrei tanto, in questo momento, poter chiamare un frigoriferista cinese o pakistano e presto, spero, ne esisteranno. Verrebbero senza tergiversare troppo e, forse, ci farebbero persino un prezzo meno predatorio di quello che sono soliti fare gli artigiani locali.
In fondo, mi dico, anch’io sto lavorando, non sono di certo in spiaggia. Non me ne lamento affatto, ma mi piacerebbe che attorno a me ci fosse una rete efficiente di persone altrettanto volonterose.
Se si vuole realizzare qualcosa, nella vita, bisogna anche essere disposti a fare dei sacrifici.
E poi penso a mio padre, medico ospedaliero, che per anni, quando era di guardia, veniva chiamato a qualsiasi ora, anche la notte, nei festivi (il Capodanno era un classico) per andare in ospedale ad operare d’urgenza…
Ci sono molte professioni che richiedono una disponibilità continua, a 360º. Pensiamo agli infermieri, ai pompieri, ai poliziotti etc etc?
Perché certe categorie dovrebbero restare esenti dal lavorare il sabato, la domenica, i festivi quando la richiesta di manodopera e servizi c’è, ed è evidente?

Cambiamo ancora di scenario. Il nostro falegname, bravissimo, disponibile, volenteroso è delle Mauritius. Sarà un caso? Perché i giovani spagnoli (disoccupati ufficialmente quasi nel 40 % dei casi) non recuperano anche questi bellissimi offici? Il lavoro artigianale dà grandissime soddisfazioni ed è molto richiesto, ma pare che i giovani “occidentali” non lo prendano più in considerazione. Eppure è creativo e i risultati sono tangibili (grande antico privilegio annullato dall’organizzazione del lavoro post rivoluzione industriale).
Quando mi chiedono cosa vorrei che facesse mia figlia da grande rispondo sempre che, naturalmente, vorrei potesse perseguire i suoi sogni, ma che soprattutto mi piacerebbe sviluppasse la sua vena creativa del “fare con le mani”, che non frequentasse un inutile corso universitario che in pochissimi casi ti prepara davvero per un lavoro.

Conosco molti italiani che, qui a Barcellona, si danno da fare. Lorella mi ha chiesto di raccontarvi di altre esperienze (oltre la mia di cui vi ho parlato un mese fa) che mettono al centro la “creatività”, l’iniziativa personale, lo spirito di intrapresa. Di scrivere di altri tentativi di persone che reagiscono alla crisi economica mettendosi in gioco in proprio, smettendo di aspettare la manna dal cielo e cercando, invece, di utilizzare le proprie qualità, le proprie inclinazioni, il proprio ingegno.

Vi cito dunque Alina, una lettrice del nostro Blog che, pur avendo un lavoro “fisso”, qui a Barcellona, si dedica anche alla progettazione e realizzazione di borse “artigianali”, sue creazioni, semplici e di buon gusto, che poi vende via Internet.
Ha creato il suo marchio, il suo stile, le sue collezioni. Certo costa fatica essere impegnati su due fronti, ma Alina è giovane e fa bene ad investire il proprio tempo in qualcosa di personale, che le dà senz’altro più soddisfazione del semplice lavoro “salariato”.

Vi parlo poi Giulia, che ha aperto, con una socia, un laboratorio / negozio dove recupera, rivisita e rivende bellissimi mobili “Vintage”. E la cosa sta acquisendo, via via, sempre più importanza.

Vi racconto di Davide, il mio preferito, per la simpatia e l’entusiasmo. Un giovane di 32 anni, pieno di energia, che mi ha contagiato con la sua vitalità. Da Roma è arrivato a Barcellona alcuni anni fa e il suo ultimo progetto (già portato a termine) è stato la realizzazione e stampa di una pubblicazione su Barcellona (di quelle mensili che si regalano per strada, free press tanto per intenderci) di qualità superiore a quanto fino ad oggi veniva già distribuito in città: belle foto, bella grafica, carta di una grammatura superiore, copertina più rigida… Insomma: un prodotto di qualità, frutto della creatività made in Italy. Una guida di Barcellona pensata e realizzata da un team italiano. Non male, vero? Ha investito i suoi risparmi e il suo tempo, ma dà da lavorare a tante altre persone, e non si ferma mai. E quando gli altri la sera vanno a “divertirsi” lui esce, ma per promuovere il suo prodotto, il suo lavoro.

Voglio infine parlarvi di Alex e Fabio e della loro idea. Magari già sfruttata in Italia, non so, ma di certo buonissima e che si presta ad essere ripresa anche nel nostro Paese, se già qualcuno non ci ha pensato.
Ovviamente, loro l’hanno sviluppata su Barcellona, dato che vivono qui, ma in Italia potrebbe essere perfettamente “riciclata” nelle moltissime città d’arte che si trovano sul nostro territorio.
Infatti, l’Italia è l’unico paese che, nel mondo, possa contare su tanti inestimabili tesori artistici, gastronomici, culinari, legati alla moda e al design.
Mi piacerebbe che anche Marina Terragni leggesse di questo, lei che sempre batte e ribatte il chiodo del recupero territoriale e della valorizzazione del nostro patrimonio artistico come una delle potenzialità da sfruttare in Italia come leva per creare occupazione.

Cosa hanno fatto, in sintesi, Fabio ed Alex? Hanno deciso di affittare ai turisti degli I-pad con uso Internet illimitato e provvisti di guida turistica di Barcellona da loro elaborata, con incorporati suggerimenti e “tips” su cose da fare, locali dove mangiare, cenare, bar, discoteche e quant’altro… Il locale si chiama Tab to let!
Hanno naturalmente affittato un locale (nell’immagine ne potete vedere l’ingresso) nel pieno centro turistico di Barcellona, dove i turisti possono recarsi “fisicamente” a prelevare la loro guida virtuale.
Hanno appena aperto, ma mi piacerebbe, in un futuro prossimo, poterli intervistare e mettervi al corrente di come sta andando questa loro nuova attività.
L’idea mi piace tantissimo e mi inorgoglisce: altri due italiani, due stranieri, che vendono “Barcellona” ai turisti.
Perché non provare a fare lo stesso con i nostri gioielli in Italia?

Un abbraccio e buone vacanze a tutti voi