Ricevo dal primo giorno di apertura del blog moltissime mail di gay, lesbiche, transgender, queer che mi raccontano di loro. Io sono felice come una pasqua di questa apertura, e ripeto il mio motto “Apriamo le gabbie” che ci impediscono di librarci in volo. Io comprendo, mi emoziono e mi commuovo leggendo ciò che mi scrivono. Giacomo qui ci propone il suo punto di vista, ci siamo conosciuti con l’autore  ventenne che qui scrive, ad un convegno e abbiamo socializzato. Lui mi apre mondi, io mi ci addentro.
Io mi sento donna e femmina fino al midollo :-). Sarà generazionale. Ma di fronte alla proposta di Giacomo Tirelli non mi ritiro, indago e rifletto.
Altri approfondimenti seguiranno.

 

“Uomini e donne. Lui e lei. Men and women. Maschietti e femminucce. Proprio non ci si riesce a distaccare da questo modo binario di contrassegnare due individui di sesso opposto. Queste distinzioni vengono create a livello mentale attraverso il linguaggio proprio di una cultura, determinando ciò che qualcosa è da quello che non è infatti si viene a generare una diversità tra uno e l’altro. Dire ‘il mio amico nero’, per esempio, già sottolinea l’attribuire inconsciamente importanza a una caratteristica propria dell’individuo che spesso diventa oggetto di contrasto con il mio ‘essere’ in questo caso bianco. Quindi categorizzare chi è uomo e chi è donna solamente in base alle loro distinzioni fisiche (come il colore della pelle così il corpo) è da ritenersi sbagliato. Come si è visto con il movimento femminista e si sta riscontrando ora, il categorizzare individui in base alle loro differenze è estremamente rischioso. Il considerare uomini e donne universi opposti ha infatti portato ad una differenziazione non più solamente fisica (corporea) ma ideologia e funzionale, vedendo fin da subito la donna come essere inferiore e sottomesso all’uomo.

Recentemente, la donna e l’uomo appaino liberi dai vincoli naturali nei quali erano intrappolati, con l’introduzione della pillola anticoncezionale sul mercato, si è dato avvio alla liberazione del corpo femminile dalla catena della riproduzione e dando via a forme di narcisismo delle quale vennero fin da subito utilizzate come pretesto per vendere cosmetici, prodotti per la cura del corpo e di moda. Nonostante le donne abbiano conquistato maggior rispetto nel corso degli anni, e importanti passi in avanti come ad esempio il diritto al voto e la possibilità di abortire, spesso manca in modo concreto un effettivo riconoscimento di dignità e vero valore della persona. Spesso infatti il sesso femminile, seppur apprezzato nel suo ruolo da casalinga e velina, rimane soprattutto oggetto di desiderio di maschi particolarmente desiderosi di sfogare i propri desideri sessuali.

Ciò che emerge infatti è come ogni individuo e sua azione sono prodotti della nostra cultura e società. La pubblicità, e i mass media in generale, rispecchiano quindi i valori già presenti nell’opinione pubblica. La cultura occidentale ha infatti fin da sempre delineato la netta distinzione tra sessi. Basti pensare alla rappresentazione della donna come oggetto passivo e colei che appare che guarda farsi guardare mentre l’uomo come l’essere che agisce e che guarda.

In Italia questo fatto è particolarmente presente nella tradizione cristiana. Qui la distinzione uomo-donna è estremamente delineata, basti pensare alla figura della Vergine, madre e donna di casa, la cui unica funzione è quella di riproduzione della specie. Nell’episodio della Genesi, per esempio, Adamo ed Eva si accorgono di essere nudi e dopo aver visto sé stessi in modo diverso, decidono di coprirsi imbarazzati. La donna viene resa colpevole e punita per aver colto la mela, frutto del peccato, e viene così resa sottomessa all’uomo. Il senso di vergogna da parte di Eva venne subito riproposto in dipinti a partire dal rinascimento, dove la donna è consapevole di essere un oggetto visto da uno spettatore ideale, enfatizzando la sua sottomissione al potere e al piacere dell’uomo.

 Nel libro ‘Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere’ l’autore americano John Gray, attraverso un insieme di stereotipi e constatazioni puramente non provate descrive il mondo femminile e quello maschile come opposti e contrastanti. In realtà, studi recenti hanno dimostrato come l’idea di ‘gender’ non è una categoria fissa e immutabile, ma è anzi un flusso che insieme con l’identità è soggetto a cambiamenti e trasformazioni. Nessun individuo è quindi regolato in un sesso per natura, infatti, citando Galimberti, “l’ambivalenza sessuale, l’attività e la passività, per non dire la bisessualità e transessualità, sono inscritte come differenze nel corpo di ogni soggetto, e non come termine assoluto legato a un determinato organo sessuale” (2009: 23).

Sono gli organi sessuali a stabilire questa differenza di generi, dando origine al mito dell’identità sessuale socialmente prodotta in accordo con la cultura presente, facendo passare per naturale quello che è solamente stato ‘naturalizzato’ attraverso la cultura e creando così basi solide su cui poter dar ‘senso’ al mondo.

La distinzione tra maschietti e femminucce appare quindi essere non più biologica ma ideologica, derivante dalla cultura predominante in un determinato paese. Infatti, “i sessi sono meno diversi di quanto si pensi, anzi tendono a confondersi se non a scambiarsi, perché nessuno di noi è ‘per natura’ legato a un sesso” (Galimberti. 2010: 38). In questo modo tutta la distinzione ideologica tra uomo e donna condivisa dalla maggior parte delle persone crolla.

In molte città europee, con il proposito di annullare le barriere tra i due sessi, hanno dato vita a bagni pubblici cosiddetti ‘gender-less’, ovvero strutture che prevedono accesso a uomini e donne indistintamente e supera l’idea di divisione tra generi. Un passo in avanti che sottolinea come piccoli atti possano portare alla riduzione, e infine annullamento, delle distinzioni ideologiche tra uomini e donne.

È proprio partendo da azioni come queste e la partecipazione dei cittadini a contribuire alla diminuzione del ‘gender-gap’, che purtroppo in Italia risulta ancora essere preoccupantemente elevato.

Spesso ci si dimentica che la televisione, così come le pubblicità e il resto dei media, son state create da uomini come noi, forse vicini di casa o sicuramente persone che vivono nelle stesse nostre città. Il loro modo di ‘considerare’, ‘usare’ la figura della donna, per esempio, riflette quindi un atteggiamento non unico ed estraneo, ma bensì un qualcosa di ben radicato e comune nella società in cui viviamo.

L’annullamento degli stereotipi su qualsiasi categoria ‘debole’ deve quindi partire dalla società stessa che li produce, solamente così si potranno avere dei media più ‘giusti’ nelle loro rappresentazioni.

Eliminando le barriere tra generi, si potrà così contribuire alla presa di coscienza dei cittadini e dei futuri lavoratori nei mass media che potranno poi produrre contenuti di qualità. I media oltre che specchio della società, al posto di perseguire modelli sbagliati e rappresentazioni non giuste dovrebbero proporre figure positive di donne, ma anche di stranieri, omosessuali e altre minoranze, in modo da creare una società democratica dove tutti i suoi cittadini possano essere equi e uguali per davvero.

 

 BIBLIOGRAFIA:

    Berger, John. 2008. Ways of Seeing. London: Penguin Classics.

    Galimberti, Umberto. 2009. I miti del nostro tempo. Milano: Feltrinelli Editore.

    Galimberti, Umberto. 2010. Le cose dell’amore. Milano: Feltrinelli Editore.