“Durante il diciottesimo e il diciannovesimo secolo gran parte delle proteste dirette contro l’ingiustizia sociale furono in prosa. Si trattava di argomentazioni ragionate scritte nella convinzione che, con il tempo, la gente avrebbe messo la testa a partito, e che, in definitiva, la storia fosse dalla parte della ragione. Oggi la cosa non è affatto chiara. Gli esiti non sono affatto garantiti. Le sofferenze del presente e del passato hanno scarse probabilità di essere redente da un’era futura di felicità universale. E il male è una realtà costante non estirpabile.
Ciò significa che la soluzione-il venire a patti con il senso da dare alla vita-non può essere differita. Del futuro non ci si può fidare. Il momento della verità è ora.
E sarà sempre più la poesia, non la prosa, ad accoglierla.

La prosa è molto più fiduciosa della poesia: la poesia parla alla ferita aperta.

Traggo questo  brano mozzafiato per la sua attualità,  dal volumetto dal titolo meraviglioso “E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto” di John Berger critico d’arte e poeta, ed Bruno Mondadori. Berger è il volto stupendo dell’immagine in homepage che ci riporta alla memorabile dichiarazione di James Hillman “Invecchiando io rivelo il mio carattere dove per carattere devo intendere tutto il vissuto che ha plasmato la mia faccia, che si chiama faccia perchè l’ho fatta proprio io...” Faccia da innamorarsi  perdutamente nonostante i tanti anni di Berger, credo ne conveniate.

So che tra chi ci legge vi sono numerose poete e poeti, e me ne compiaccio.

Ma chiedo a  chi tra voi non avesse  consuetudine con la poesia, a chi tra voi la trovasse una forma d’arte elitaria e lontana, di provare a fidarsi  quando dico e scrivo che la poesia può salvare la vita, propio perchè la poesia “parla alla ferita aperta, al nostro cocente  temere che il male sia appunto “una realtà costante non estirpabile”.
Mai come oggi, lo pensate anche voi? il momento della verità si è vertiginosamente avvicinato e non è più procrastinabile il senso che vogliamo dare alle nostre vite.
Queste poche righe che qui sopra riporto mi appaiono come lo specchio della mia vita negli ultimi mesi, e mi chiariscono azioni a cui non riuscivo a dare una soddisfacente interpretazione.
Ogni ambiguità in questi tempi di tragedia, cede il passo ad un bisogno di verità talvolta durissimo.
“Il Fatto Quotidiano” riferendosi  al triplo suicidio nelle Marche titolava stamane :” Omicidio di Stato” ed io ho pensato ”  è vero ed è stato  da noi condiviso” e non ho più dunque avuto titubanze nel definitivamente allontanarmi da altri giornali che stamane dedicavano solo un angusto spazietto  all’orrenda tragedia, certo l’accadimento più importante delle ultime settimane.
Il momento della mia Personalissima Verità mi si è ormai avvicinato da qualche tempo e mi sta imponendo scelte dolorose, amiche e amici che  dolorosamente non riesco  più a ritenere tali perchè nel mio oggi l’amicizia richiede  fondamenta più vere e crude che in tempi di pace,   profonde e interroganti.

Montale, alla morte della amatissima moglie non vedente, scriveva ” Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, e ora che non ci sei, è il vuoto ad ogni gradino” e quel vuoto non solo ci racconta ma ci riporta all’esperienza fisica della mancanza avvertita dal poeta; e se la sofferenza  ha scarse possibilità di essere redenta da accadimenti futuri,  è  dunque  la poesia capace di raccontare, a noi che leggiamo, di un dolore che non si placa.

La poesia non è una forma elitaria di comunicazione, tutt’altro. Non mi permetterei oggi  di introdurre forme di resistenza elitarie.
Scrivo ne “Il Corpo delle Donne” del mio incontro con giovani rapper e delle loro sfide  che avvenivano in cantine nella periferia milanese: poesie, vere poesie che spesso prendevano  avvio  da esperienze durissime di vita vissuta e che, attraverso i versi e il ritmo trovavano una via di redenzione, di catarsi, disopravvivenza.

I blog possono talvolta essere zattere. E le zattere avvicinarsi alle  isole. E le isole unirsi  alla terraferma.
Se avete da parlare alle nostre ferite aperte, qui c’è lo spazio.