“Sentinella, a quanto della notte, a che punto è la notte?”
“La notte sta per finire ma l’alba non è ancora arrivata. Tornate, domandate, insistete”
(Isaia 21,11-12)

Vacillo e non devo. Vacillo e non posso. La quotidianità in cui sono immersa non mi piace più da tempo. Lontani i tempi creativi del documentario, ora migliaia di notizie da smistare, parole da misurare, donne, noi donne, mai contente e litigiosissime. Ci si scanna sull’uso corretto o meno di femminicidio: chiamatelo come volete, problema a mio avviso di lana caprina, il punto è che le donne vengono ammazzate. Ci si massacra  per chi si definisce o non si definisce femmminista: definiamoci come vogliamo, il punto è lavorare per pari diritti, uguali opportunità, valorizzazione delle nostre differenze. Stanca io, stanche moltissime di voi.  Si lavora per sopravvivere, per non essere violentate, per non tornare dalla mammana, per non essere licenziate quando incinta. Cose così. Sterili di vita. Depredate della nostra fertilità. Facciamo attenzione che ci hanno lasciato un osso scarno e ci accaniamo sul misero osso. “Quand sera fini, l’infini servage de la femme, elle sera poete, elle aussi”.
La notte non è ancora finita, ma dell’alba non si scorge il chiarore. Torno, domando e insisto, come Isaia che era uomo, anche se profondamente sento, che è altro che servirebbe ora. Invidio l’inconsapevolezza delle tante e dei tanti che continuano la loro vita incuranti del buio che li circonda. Invidio i bambini e le bambine sorridenti al mondo, così come è giusto che sia: loro, con la vita di cui nulla ancora sanno che li attende e il potere intatto di poterla ancora determinare.
Noi che lavoriamo perchè la notte sia breve, partite con l’entusiasmo delle coraggiose e temerarie, male avevamo calcolato i tempi.
Che la notte fosse lunga non potevamo con certezza prevederlo, e che la notte prevedesse questa miseria quotidiana, forse, ma non se ne avevamo la certezza.

Se arrivasse ora il momento nostro, se venisse ora il nostro turno e dovessimo dire finalmente! come è il mondo che vogliamo? Temo resteremmo ammutolite, prese come siamo dal nostro quotidiano servaggio, che in parte dannatamente ci procuriamo.

“Qual’è il tuo desiderio?” mi chiede a bruciapelo l’amica. Resto muta.

Negli anni ho imparato che il Nuovo e il Tanto Desiderato, necessita di vuoto, silenzio, tempo e fiducia per manifestarsi. Come un figlio o una figlia che ci cresca nella pancia.
La sentite l’urgenza di creare spazio,di lasciare che possa accadere?

Dipinto di Luigi Scrosati Museo Bagatti Valsecchi, Milano