Riporto qui di seguito il post di Amedeo, lettore del blog.
C’è dentro molto: il desiderio travolgente di essere una persona libera. Il coraggio di non nascondersi e faticosamente affermare chi si è all’interno della famiglia e della società. Il disorientamento, comprensibile per differenza generazionale ma non solo, della madre. Il desiderio di un ragazzo di affermare sé stesso pur amando la sua famiglia. Una società intorno che non aiuta ad esprimere la propria differenza e a valorizzarla e che nulla fa per incentivare il dialogo intergenerazionale.

Ma più di tutto c’è e torna il tema delle GABBIE  in cui spesso trascorriamo le nostre vite e  che ci immobilizzano. Gabbie da cui sarebbe possibile uscire ma che ci renderebbero…libere, liberi. E questo fa molta paura. C’è tutto da inventare per chi esce dalle gabbie, modi di vita nuovi che non si rifanno a stereotipi, che talvolta sono così comodi, uno ci si adatta,  ed è fatta. Fuori dalle gabbie invece, tutto predne avvio  da un filo diretto con un sé profondo che ci guida. Gran lavoro su sé stesse/i. Ma ritorna anche il tema della trasversalità del sentire: io donna adulta con figli, apparentemente così lontana da Amedeo, condivido con lui questa voglia incontenibile: La Voglio tutta la Libertà. Anni di differenza, sesso d’appartenenza, passato diverso, tutto viene abbattuto quando ad unirci c’è un comune sentire. Lo dico alle tantissime ragazze e ragazzi che ci scrivono dicendo il loro disagio per non trovare  simili nel loro cerchio di amicizie: andate, cercate altrove. Un altrove che spesso vi può essere vicino.

C’è di che discuterne.

Ieri sera rientro dopo un paio di giorni passati a Roma da Dario, con amici.
Parlo con i miei dell’eventualità di tenere qui per qualche tempo Cholo, il gatto di Vero e Mattia che loro non possono più tenere.
Durante la conversazione, mia madre: “Ma … MA STAI TRUCCATO?!”
Io, sorridendo: “E’ matita, mamma.”
Mamma, voce allarmata, quasi spezzata: “E dove l’hai presa?! Perché?!”
Io: “Da Dario, mamma. Ricordi? Lui ci lavorava … Non trovi sia un bell’effetto?”, il tutto cercando di restare tranquillissimo, zero imbarazzo e di mettere lei a proprio agio. Sorriso stampato. “Mi andava e mi sono messo della matita. E’ verde come gli occhi, visto? Sfumata di bianco! E l’ho messa da solo, hai visto sì che mano?! ;-)”
Mamma, faccia visibilmente angustiata: “Mh. Mah, è un po’ strano, no?”. Ridacchia imbarazzata.
Passa qualche minuto, io mi metto a cenare da solo. Era tardi, loro avevano già mangiato.
Lei si siede di fronte a me, per concludere riguardo al gatto. Finito il discorso, si lancia: “Io non te posso vede’ così. Me fai impressione”. Ma l’espressione del viso era molto più loquace: c’era schifo e tanta vergogna. Impossibilità di comprendere. Era offesa.
Io comincio a sentirmi a disagio, ma cerco di dissimulare. “Mamma, ti assicuro che sono lontano dall’essere l’unico. Dieci anni fa anche una ragazza che si rasava la testa faceva scandalo. Le cose cambiano, no? Non eri a tuo agio neanche quando io presi ad indossare bracciali, anelli e altri gioielli, poi ti ci sei abituata.”
Mamma, al massimo dello sdegno, a voce alta e seria: “Ah, perché: mi ci dovrei ABITUARE? Hai intenzione de truccatte tutti i giorni?”
Io: “No. Solo quando ne avrò voglia.” Sono incazzato nero, posso dirlo?
Non di certo per questa conversazione, ma per lo stato d’animo in cui mi getta.
Ieri sera, quando ero ancora a bere un tè con gli altri, la testa cominciava già a tornare a casa, ad osservare la scena, a capire come sfuggire agli sguardi di vergogna, a non subirli. A trovare, in ogni caso, una via d’uscita. Eppure, mi dico, sono piuttosto emancipato, ho fatto e faccio un grande lavoro su me stesso, ho raggiunto evidentemente una serenità e un equilibrio profondi.
Non c’entra nulla, purtroppo. Con l’esterno uno può mostrare una sicurezza e una capacità di osare – nonché di fregarsene – invidiabili, ma quando torni alle origini, le stesse origini da cui hai dovuto al più presto separarti e differenziarti, le cose si complicano.
Non è solo una questione di affetto. Io voglio bene ai miei genitori, anche a mia madre: non la considero un modello, una persona degna di stima, ma un buon genitore sì, di sicuro. Mi fa stare male l’idea di metterli in una condizione che non sanno capire, analizzare, esplorare, senza che siano in possesso degli strumenti critici e culturali per proporre, opporre, pensare qualcosa. E’ qualcosa che loro subiscono passivamente, e percepiscono me come il  carnefice, come l’alternativo a tutti i costi, il figlio che dà pensiero, senza capire che io sono in perfetta armonia e non ho bisogno di trasgredire nulla. Il mio è tutto un gioco. Ma non è solo questo.
C’è anche la consapevolezza che finché vivrò qui, in casa con loro – sebbene mia madre non manchi mai occasione di precisare come sia casa “loro” – dovrò, in parte, adattarmi. Qui non si tratta di convivenza, e quindi della necessità di trovare dei buoni compromessi volti ad un vivere felice insieme. No, qui si tratta della mia identità, della mia giovinezza, della mia libertà. Non sono libero, questo è.
So bene che ci sono situazioni ben peggiori, di cui non riesco neanche ad avere un’idea. So bene di essere stato e di essere fortunato, di vivere in un’atmosfera felice, ma io ho bisogno di tutta la mia libertà. Quel 5% che la loro presenza e la loro ignoranza mi toglie mi pesa, è schiacciante. Se la libertà non è totale non c’è. Non merito di vivere ore di ansia, seppur leggera e vacua, all’idea di tornare a casa mia e sentirmi in difetto, sentirmi colpevole, scapestrato, giudicato, percepito come una preoccupazione perché ho gli occhi bistrati.
Cercherò di farmela passare presto, e proverò a scrivere due righe a mia madre, nella speranza di portarla più vicino ai miei desideri, ai miei moti mentali e di ricerca. Speriamo bene.
Per il resto, certo che sì: continuerò a truccarmi. Solo quando ne avrò voglia.
Qui potete leggerlo sul suo blog.