Chirurgia Patriarcale

Ci sono diverse cose dell’articolo di Veronesi che mi provocano ribrezzo. La prima, più generale, è che l’articolo sembra tutto volto a gettare acqua sul fuoco per evitare danni d’immagine ad un business da milioni di euro. Niente di più sicuro, allora, che chiamare in soccorso un “grande nome” della medicina, legato alla lotta contro il cancro, che istintivamente dà fiducia. Se non che il medico in questione si concentra non sugli aspetti tecnici, liquidati in poche righe – la sicurezza delle protesi attualmente in uso, il lavoro ancora da fare per migliorarla, gli eventuali rischi per la salute – ma ci propone un pistolotto in cui assume una strana “posizione difensiva” e utilizza i classici argomenti di chi non ha argomenti (“demonizzazione delle protesi”, “cultura sessuofobica”, “essenza della donna”). Saranno 10 anni almeno che le protesi non sono demonizzate, anzi se ne parla in televisione nelle rubriche di “salute”, le ragazzine lo chiedono come regalo per la maturità… Ma di che demonizzazione parla Veronesi? L’unico argomento su cui potrei essere d’accordo è quando parla della “ricostruzione come dovere del medico” in riferimento però – attenzione – alla necessità di non trasformare un intervento al seno in una “mutilazione” fisica (e psicologica) permanente per la donna che vi si sottopone. Su questo non si può non essere d’accordo. Però non c’è assolutamente bisogno di scomodare frasi VERGOGNOSE come “Il seno racchiude in sé l’ essenza della donna: la sensualità da un lato e l’indole materna dall’altro”. Cosa c’entra “l’essenza della donna”? (ammesso che Veronesi la conosca) Perché se una donna (o un uomo) perde una gamba, un braccio o un occhio – alterando la simmetria del corpo – non si ricorre a una protesi senza scomodare “essenze”, “sensualità”, “sessuofobia” e altre boiate?
Proprio perché i chirurghi estetici vanno spesso in televisione, posso dire di aver ascoltato da alcuni di loro discorsi più sensati, che puntavano sulla necessità di capire le motivazioni che spingono la paziente alla mastoplastica additiva, spiegare che non è un “passepartout” per l’autostima, spiegare bene tutte le implicazioni dell’intervento e solo allora procedere all’impianto.
E a proposito di ciance sulla sessuofobia e sul fatto che comprare un seno più grande migliora la nostra vita sessuale perché ci vediamo più belle bla bla bla, mi chiedo spesso come mai nessuno dice che le protesi al seno diminuiscono la sensibilità alla stimolazione. In questo modo, dice Jean Kilbourne in un suo breve intervento molto misurato sulla questione, il seno viene trasformato da “soggetto” del proprio piacere in “oggetto” – eventuale – del piacere altrui. Secondo me ci sarebbe da rifletterci, parecchio. Senza per questo voler demonizzare alcun che, ma dicendo anche che ne abbiamo le palle piene – scusate, oggi sono un po’ scurrile – di tutta questa retorica sull’autostima che serve solo a oliare la macchina e a fare “advertising”.
Inoltre, assolutamente indegno è il paragone che Veronesi individua tra “seno piccolo” femminile – potenza sessuale maschile («Ad esempio una donna che ha poco o niente seno, potrebbe sentirsi inadeguata per un rapporto sessuale ed avere problemi seri con la propria autostima, come succede agli uomini che perdono la loro potenza»). Per ottenere un paragone calzante Veronesi avrebbe dovuto dire «come succede agli uomini che hanno un pene di dimensioni ridotte»… implicitamente suggerendo agli uomini non soddisfatti delle proprie dimensioni (e quanti sono?…) di correre domani stesso dal chirurgo per farselo allungare. A differenza dell’impotenza – o del vaginismo – avere il seno piccolo non compromette la fisiologia dell’atto sessuale, quindi stabilire un termine di paragone così “forte” è a) una castroneria; b) un’affermazione gravissima da parte di medico che non dovrebbe “cullare” le insicurezze altrui, ma aiutare a razionalizzare.

Mi chiamo Valentina, ho 31 anni ed ho un seno piccolo, non arrivo a una seconda piena. Durante l’adolescenza ricordo di vedere l’evoluzione e la crescita dei seni delle mie compagne di scuola ed amiche, mentre il mio seno rimaneva uguale. Ho dovuto lottare tanti anni con la sensazione di essere diversa, di essere considerata una “piatta”, di mettermi a confronto con quell’invasione di modelli corporei ritenuti perfetti, di sentire costantemente ragazzi e poi uomini lodare o forse ossessionarsi per un seno pieno, tondo, grande.

Mi sono laureata in Lingue e Letterature Straniere e se davvero devo pensare a quale è stato l’insegnamento o il profitto più grande ricavato da quei quattro anni si studio posso dire con certezza che è stato l’incontro con il mondo letterario ed il pensiero critico di una grande scrittrice inglese, Angela Carter. Mi sono addentrata così a fondo che ho deciso scrivere la tesi di laurea sulla sua opera. “In the demythologising business: sessualità, identità e genere nell’opera di Angela Carter” (ancora ricordo il titolo). Ricordo quell’anno della tesi come un periodo di ricerca intenso. Ho investigato tanti concetti da me sconosciuti: identità, sessualità, genere, transgender…partendo dalla nascita della sessuologia nella psicoanalisi, quindi Freud, Lacan, Foucault; poi il femminismo francese e infine Judith Butler e la queer theory. È stato un periodo di presa di coscienza, di tanta consapevolezza sulla costruzione della figura della donna dallo sguardo maschile, ma anche da quello femminile.

È stato un lavoro che ho continuato a fare nel mio quotidiano, trovando lungo la mia strada uomini che mi hanno detto che il mio seno era piccolo, dunque poco appetibile, ed altri uomini, e pure una donna, che hanno amato profondamente quelle mie tette che io stessa ho definito “piccole, ma oneste”. E soprattutto, al di là dello sguardo esterno, sono stata io che ho accettato il mio corpo, che mi sono vista nuda allo specchio e ho visto tanta verità, tanto potere del femminile, tanta bellezza. Ho lasciato l’Italia 6 anni fa e ora vivo a Barcellona. Certo non è il paradiso in quanto a parità di generi, ma purtroppo ho sentito un grande respiro di sollievo. In Italia mi sentivo soffocare da quell’immaginario senza tregua di corpi svuotati d’anima.

Caro Dottore Veronesi, ho il seno piccolo e non è la misura di una parte del mio corpo quella che mi fa sentire inadeguata in un rapporto sessuale. Ho dovuto lottare, conquistare la mia stima, che non è nemmeno stima, piuttosto consapevolezza di chi sono, del mio corpo, della mia voce cantata, della mia creatività, del mio dovere lottare ogni giorno come donna che sono contro tutti i patroni culturali maschilisti che ogni giorno ci bombardano, che non permettono rapporti sani di coppia, che riducono la nostra idea di sessualità, sensualità, femminilità a una zona limitata del nostro corpo, senza nemmeno fare appello all’anima, alla psiche, al nostro sentire profondo. Ho conquistato, dopo tante battaglie, la mia libertà di essere quello che sono, di sentirmi donna, fatta di carne, sesso, seni, natiche, spirito. Da allora la mia sessualità è diventata molto, ma molto più sana, piacevole, consapevole.

E a voi, lettori e lettrici, vorrei lasciarvi una frase di Angela Carter (davvero ve la raccomando!) dove parla della sessualità in termini che vanno molto più in là dell’incontro fisico di corpi (nel caso del Dottor Veronesi corpi perfetti secondo i canoni estetici maschilisti):

“no bed is free from the de-universalising facts of real life. We do not go to bed in simple pairs; even if we choose not to refer to them, we still drag there with us the cultural impedimenta of our social class, our parent’s lives, our bank balances, our sexual and emotional expectations, our whole biographies-all the bits and pieces of our unique experiences”

“non esiste alcun letto libero dai de-universalizanti fatti della vita reale. Non andiamo a letto in due; anche se scegliessimo di non fare riferimento a loro, noi ci trasciniamo l’impedimento culturale che ci viene dalla nostra classe sociale, la vita dei nostri genitori, i nostri conti bancari, le nostre aspettative sessuali ed emozionali, le nostre biografie complete-tutti i pezzi e le parti delle nostre esperienze che sono uniche.”

Non commento la prima parte dell’articolo: tutto sommato, epurato da tremendi scivoloni e ridotto all’osso, l’incipit di Veronesi non mi pare eprimere delle assurdità. Che il seno rappresenti e richiami e la sensualità e la maternità è pura verità – anche perché, detta così, non si fa alcun riferimento al dover piacere all’uomo (o alla donna).
Già dalle prime righe, tuttavia, qualcosa stona.
– “Essenza della donna”? Non voglio ripetermi. Mi limito a sottoscrivere ciò che è stato detto sopra al riguardo. Sono convinto che l’identità, l’essenza – ciò l’essere – di una donna sia l’essere della sua persona: i suoi comportamenti, il suo pensiero, il suo lavoro, le sue relazioni, e anche il suo corpo, ma così com’è, come si presenta in un dato momento. Deformato, pure.
– “indole materna”? Ma stiamo ancora a scomodare la natura? Sono d’accordissimo nel parlare di capacità procreativa – di allattamento, in questo senso. Ma indole materna proprio no.
– “potenza” maschile? Non posso pensare che Veronesi usi parole a caso; che poi, pure fosse stato il caso a parlare, di certo l’esito non sarebbe diverso. Dire potenza vuol dire potere, autorità, e non capacità erettile o riproduttiva. Quella, Veronesi, si chiama IMpotenza. So essere di uso comune questa formula di “potenza sessuale” – ma la trovo davvero sgradevole. A questo proposito, ringrazio Renata per lo straordinario commento.
Nessuno si aspetta – e forse neppure vedrebbe di buon occhio – che un uomo si allunghi il pene se molto corto – e, lo sappiamo tutt*, ne esistono a iosa. In veste di amic* o compagn*, gli si insegna e consiglia di guardare al proprio pene e al proprio corpo con ironia, con serenità, ci si scherza su, facendogli capire che non è quello a fare la differenza. Perché per le donne questo non vale? Perchè voi dovete sgonfiarvi e ringonfiarvi? Essere così performative (magari nel senso inteso da Judith Butler!)

Concludo.
Credo di aver già raccontato di mia cugina: quasi 40 anni, tre figli, bellissima donna. Dopo l’ultima gravidanza si rifà il seno, una dignitosissima 3, per non vedersi più pelle flaccida arrivare quasi all’ombelico con appesi i capezzoli. Ammetto che era piuttosto strano. Nessuno, nessuno davvero nota che si tratti di una protesi. E’ rimasta la stessa persona ignorante e diseducativa al massimo che era prima – a Verone’, magari le tette avessero portato una nuova essenza, guarda! – ma è più self-confident.
Perciò: d’accordissimo sulla libertà di intervenire sul proprio corpo, ma con consapevolezza. Se diventa un’esigenza – fenomeno – sociale, beh, c’è da farsi due domande.

Ultima cosa.
Cosa c’entrano i piercing? Qui ciò che si contesta è l’ennesimo accento posto sulla se(n)sualità richiesta alla donna, non sul suo intervento sul corpo – che, se fosse libero, vivremmo tutt* meglio.

Mi sorprende ogni volta, nonostante l’ormai non più verde età, l’arroganza con la quale alcuni uomini parlano e dichiarano per nome e per conto delle donne, assolutamente certi di quello che le donne vivono, sanno, sentono e vogliono. Addirittura questo signore, perché ha una laurea in medicina, parla di “essenza”. “Antiquato”? Che bell’eufemismo!
Ad una persona così nota, i cui “autorevoli” pareri sono citati come sinonimo di “certezza scientifica” ecc ecc non perdono tanta grossolana arroganza. Ha detto quello che può affermare qualsiasi avventore in un bar di un qualunque paesino di provincia, semplicemente usando una terminologia più sofisticata.
Ho letto qui alcuni bellissimi e interessanti commenti ai quali l’esimio luminare non sarebbe capace di arrivare neanche montando su una scala. Grazie.

Che bel dibattito che si è sviluppato!!

Per inciso, visto che il prof. Veronesi dice che non ci sono rischi per la salute, vorrei sapere cosa pensa di questa notizia fresca fresca: l’arresto di un produttore di protesi cancerogene:

http://www.internazionale.it/?p=79524&utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter

credo che la frase di Veronesi potrebbe essere presa “alla leggera”, come espressione retorica volta a tranquillizzare l’audience, un esistente audience medio che si intende tenere a bada con miti retrivi (l’essenza del femminile, l’essenza del maschile: qualcuno sa esattamente cosa siano e ne ha inserito la definizione nei dizionari?). oppure, volendo essere un po’ più cattivi, potremmo dire che Veronesi sfrutta un sentimento probabile e comprensibile (la sensazione di sentirsi mutilati da una malattia, che potrebbe esserci davvero e quindi non dovrebbe “vergognarsi” chi l’avverte)per ribadire, da “vecchio signore” partriarca e paternalista, l’identificazione del tutto con la parte. una donna è un seno, o ancora peggio è un’unghia laccata, un gluteo, un’espressione bovina e seduttrice. o magari un paio di mani che lavano i piatti. la visione delle donne scissa, utilitaristica, che somiglia tanto a quella scissione tipica dell’immagine pornografica