Dal Brasile una nostra lettrice che ha studiato in Italia e che ci offre un punto di vista diverso, lo sguardo di una giovane donna straniera.
Grazie Carol!

Care amiche e cari amici,
mi chiamo Carol de Assis, ho 24 anni e sono brasiliana. Vi saluto da Rio de Janeiro, questa città magnifica e spaventosa, dove vivo già da sette anni. Sono nata e cresciuta in un paesino di tre mila abitanti a Minas Gerais – lo stato più bello e dove si mangia meglio in Brasile,  fidatevi! Mia madre, nata e cresciuta a Rio, si è trasferita a Minas a causa del suo lavoro. Potete immaginare una donna forte e indipendente, che se la cavava da sola ai vent’anni e che esce da una città come Rio per trasferirsi ad un paesino di campagna ai confini del Brasile nel 1980? Lei allora girava in motocicletta ed era una delle poche donne che lavoravano fuori casa; dieci anni dopo, si è divorziata da mio padre, giacché era una delle poche donne nel paese che non vedevono il matrimonio come un ergastolo.

Vi ho raccontato un po’ di mia madre perché la sua storia e la sua personalità sono fondamentali per capire chi sono e di che sono fatta. Siamo cresciute, mia sorella più piccola ed io, in una comunità cattolica, tradizionale, conservatrice, mentre a casa avevamo un modello che non apparteneva a quel posto e che ci spingeva sempre ad andare oltre, oltre ciò che ci dicevano di essere il “giusto”: il modo giusto di vivere, di vestirsi, di parlare, di comportarsi. Ça va sans dire che i modi “giusti” di fare le cose sono piuttosto imposti alle donne, anche di più in un contesto di opressione e repressione, com’era (e lo è fino ad oggi) il mio paese.
Così sono finita a Rio: sono riusciuta ad accedere ad una delle università più prestigiose in Brasile e ci sono venuta, facendo il percorso inverso di mia madre (l’abbiamo notata presto, l’ironia). Da bambina mi affascinavano i libri, la letteratura, i linguaggi, ma anche la storia, la politica, le culture. Ho deciso dunque di studiare Scienze della Comunicazione; volevo fare la giornalista, raccontare la complessità umana, i diversi modi di vivere, provare a cambiare il mondo con la penna e il taccuino in mano. Non ridete, dai; avevo solo sedici anni…

All’università ho avuto una grandissima delusione: ho scoperto che al solito i giornalisti non cambiano il mondo. Anzi, la grandissima maggioranza dei giornalisti lavora in modo di mantenere il mondo così come si trova adesso, con tutte le sue ingiustizie e violenze. “È come scoprire come