Nyotaimori, vassoi viventi per gustare il sushi «a pelle».
Nella retorica buffona dell’ identità “culturale” nordica, e nazionale in genere, hanno un posto decisivo la cucina (“no al cous cous”dice il manifestino di orgoglio leghista), e le donne. Si selezionano durante tutto l’anno le ragazze dai 17 ai 28 anni che si contenderanno il podio di Miss (razza) padana, rigorosamente nordiche, alle quali, per mostrare che le belle sono persino preparate, vengono fatte domande di nordicità varia e nordicità applicata alla cucina.
Se si sta disinvestendo in autentica cultura per arginare la devastazione televisiva che cancella ogni identità e ricchezza (Tremonti ha acutamente affermato : “di cultura non si mangia”), invece si potenzia la subcultura locale, che favorisce la contrapposizione con l’Altro, cioè l’immigrato che “violenta le nostre donne”, le “le maltratta”, “le costringe al velo”. Le lapida.
Attenzione però, l’equazione donna-da-salvare e cucina uguale identità non solleva sempre le stesse reazioni. Impazza al nord e sbarca a Roma, il giapponese Nyotaimori, o “donna-vassoio”, o anche body(fast)food. Si tratta di una riappropriazione burina dell’antica e triste usanza delle geishe, lavate, depilate poi distese nude, sul cui corpo venivano servite pietanze per il sovrano. Una cosina evoluta, altro che niqab o burqa. Questa bella importazione presenta un vantaggio, a parte far guadagnare l’esercente: non puzza di povertà e immigrazione come il cous cous. L’informazione in rete, per i clienti di oggi, è indicativa: “prima di trasformarsi in un vassoio vivente di sushi, la donna è addestrata per ritrovarsi sdraiata per molte …
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