Ospitiamo la rubrica di Sabina Ambrogi, giornalista per il Manifesto e molto altro. Sabina è bravissima e arguta: in un altro Paese se la contenderebbero i migliori quotidiani: ci vuole molto a capire che è molto più frizzante e sferzante lei di molti tromboni mummificati che discettano di tv come cariatidi, pagati profumatamente e che non mollano la poltrona? Grazie Sabrina, noi ti apprezziamo moltissimo.

Marketing reazionario sul corpo delle donne

Uno degli argomenti più in voga nei palinsesti Raiset è la meta-tv, cioè la tv che parla di se stessa, benché partecipanti e “esperti” dovrebbero essere a loro volta oggetto di riflessione, e semmai di esilio dal panorama mediatico. Eccezion fatta per Tv talk su Rai 3 condotta con ricerca di onestà e approfondimento, parlare di tv e comunicazione è il modo classico per azzerare l’accresciuta consapevolezza da parte degli spettatori nei confronti della televisione, e con essa diluire il dissenso fingendo di mostrarlo, buttandola in applausi e zuffe, al netto di qualsiasi analisi seria. Uno dei temi più autoreferenziali e auto assolutori è quello del corpo delle donne, con relative precisazioni sulla morale e accalorati dibattiti su cosa sia. Argomenti che finiscono in rete dove si amplifica il discorso televisivo, e manco a dirlo sono ripetuti dalla politica.
In verità, la gestione politico-ecclesiastica del corpo della donna, così come il suo racconto suggerito dal marketing, portano a un gruppo di persone illiberali un grande vantaggio economico. E la paranoia del premier per l’orchìdea bellezza (solo femminile, come se alle donne non spettasse il giudizio estetico, magari su di lui) ricalca esattamente il percorso del marketing di saponette: il livello da terza elementare del cervello regressivo dello spettatore-consumatore richiesto dagli industriali all’industria culturale per indurre all’acquisito compulsivo. Salvo poi lamentarsi degli effetti come ha fatto Marchionne con grande senso dell’autocritica e della responsabilità: «in Italia si sono aperte le gabbie dello zoo». Come se gli spettatori-compratori massacrati ogni giorno da idiozie, su gentile richiesta dell’industria, non esprimessero anche una classe politica. Così reporter mediocri, spesso a spese pubbliche, veicolano e amplificano un’iperfemmina inesistente (piuttosto rappresentazione di un immaginario transessuale), generata dalle richieste ottuse del mercato, ma con la quale si censura il novanta per cento della popolazione femminile, che invece consumerebbe, se qualcuno sapesse indirizzarle un messaggio. Insomma si rischierebbe di andare verso la modernità. Come ha ben mostrato Riccardo Iacona, nella puntata di Presadiretta, «Un paese senza donne», si avrebbe un urgente bisogno di rappresentanza politica, di un ministero Pari Opportunità (non solo per la libertà delle donne islamiche), di carriere in posti apicali, di accesso ai posti di lavoro, di sostegno alla maternità (siamo il penultimo paese in Europa).A una simile resistenza retrograda, se ne aggiunge un’altra capziosa: il dirottamento della protesta sull’uso del corpo delle donne su di una questione di «morale», o peggio ancora di «libertà», e peggio che mai nell’indecente pastrocchio che fa Sgarbi che mescola, sempre in parterre culturalmente depressi, il sottosviluppo con l’arte.
Cosicché donne che hanno guadagnato un posto mediatico significativo pur andando controcorrente, come Lorella Zanardo nata proprio dalla rete, Michela Marzano e altre ancora, si ritrovano con ammirevole controllo di sé, a dover spiegare che no, non si tratta di stabilire quanto deve essere lungo l’orlo della gonna, e chi lo decide, ma che una donna raffigurata solo a forma di natiche e con un cervello a quel livello impedisce la percezione simbolica di orizzonti diversi, cancella un’identità culturale ricca, svia dalla riflessione su argomenti molto più urgenti riguardanti l’economia, o sulla fine che fanno i miliardi ricavati dalle pensioni delle donne, e se per caso verranno spesi, per fare degli asili, e consentire loro di fare figli e di lavorare, giacché in Italia una donna su due non lavora. Ma non fa nemmeno figli.

di Sabina Ambrogi