Intervista a Pia Covre, Movimento per i diritti delle prostitute

concordo pienamente con l’articolo, e con la premessa.
il 13 sarò in piazza … non contro le Ruby e le veline, e non per una sorta di rivendicazione moralisticheggiante. sarò in piazza perche, paradossalmente, le ruby di turno sappiano con chierezza cosa stanno scegliendo e perche tutte le altre, tutte noi altre possiamo continuare a scegliere altrimenti. Grazie al lavoro, alle conquiste di libertà femminile, e perchè questo sistema e questa deriva di imbrabarimento culturale non le eroda del tutto.
Per questo vorrei le sex worker, ma anche le signore per bene, e la ragazzine in piazza perchè stanno erodendo il loro e il nostro futuro, il nostro presente, ora è l’ora di dire basta.
in modo unitario.
in egitto le donne con il chador e le ragazze che non lo scelgono protestano contro un malcostume governativo, antidemocratico … occorre aggiungere altro???
monica

Un’altra cosa: sulla sua pagina facebook, Isoke Aikpytanyi ha scritto: SE NON ORA QUANDO LE DONNE ITALIANE SI BATTERANNO APERTAMENTE ANCHE PER VITTIME DELLA TRATTA CHE, TRA LE DONNE SONO QUELLE CHE SUBISCONO PIU’ VIOLENZE E PIU DANNI ALLA LORO DIGNITA’ ?
Mi sembra molto importante. Mi ha stupito un po’ che di queste donne e ragazzine abbia parlato solo Rita Giaretta, una suora speciale impegnata da anni in una casa accoglienza per donne immigrate vittime di sfruttamento sessuale a Caserta. Di qualche giorno fa è la grave notizia dell’assoluzione del poliziotto che ha violentato Joy, ragazza nigeriana rinchiusa nel CIE di Milano. Sono loro le donne che pagano in modo più concreto e crudele il prezzo di questo sistema mercificante.

Intervento di rara lucidità….

1) Appoggio quanto dichiarato da Valentina S, soprattutto quando mostra che la dicotomia “sante” vs. “puttane” è solo apparente. Aggiungo però che anche in Covre e Azzaro ritrovo un’analoga divisione manichea, quando liquidano come “perbenismo”, o come “moralismo da sacrestia” il fatto che qualcuno possa LAICAMENTE pensare che la libertà sessuale delle donne sia altra cosa rispetto al “noleggiare” il proprio corpo per denaro, il che a mio avviso è piuttosto un’istituzione del patriarcato.
Per questo non posso concordare su frasi come «si vuole criminalizzare lo scambio sessuale», dove non si capisce che cosa s’intenda con “scambio”.
E, se da una parte non mi riferirei mai a una prostituta con termini scortesi, vedo tanta ipocrisia nell’adozione di parole come “escort” o “sex worker”, con la lingua inglese che serve quasi da velame, confermando per converso la realtà cruda che con quelle parole si vuole indicare.
2) Lungi da me l’intenzione di voler criminalizzare le ragazze coinvolte in questo scandalo: ho sentito un profondo senso di partecipazione emotiva nei confronti di Ruby, non tanto quando è andata da Signorini a recitare la particina da Santa Maria Goretti che le avevano scritto, ma proprio quando per cavarsi d’impaccio in questura ha immediatamente offerto al poliziotto che l’aveva fermata di trovare un accordo andando a letto insieme. Lì ho sentito davvero tanta tenerezza per i suoi 18 anni (io ne ho circa 10 di più), ho percepito la linea sottile fra “furbizia” (o presunta tale) e disperazione, con quell’offerta del proprio corpo quasi automatica, quasi un frugarti nelle tasche per vedere se ti rimane qualche soldo.
3) Azzaro dice una cosa inesatta quando dice che la manifestazione del 13 è contro Ruby. Così facendo il resto della discussione ne risulta falsata. La manifestazione è contro un’Italia che assomiglia sempre più al “modello Arcore” e che le donne hanno tutto il diritto di rifiutare.
4) Non escludo che alcune donne possano avere un atteggiamento di violenza verbale nei confronti delle prostitute. E, come ho detto prima, non condivido questo comportamento. Però credo che questa reazione nasca anche da una profonda situazione di stress psicologico. Non è facile subire tutti i giorni un modello di corpo (e soprattutto di identità) da «anatomopatologo» (Mariapia Veladiano), una donna ridotta alla somma dei suoi pezzi, da prendere, usare e buttare via. Sono convinta che un dibattito civile sulla prostituzione e sui diritti delle prostitute potrà svolgersi in maniera davvero civile quando il paese avrà estirpato le metastasi del sessismo che infestano ogni livello della vita sociale, politica e culturale (anche a sinistra).
5) La storia che “vendere un servizio di sesso a pagamento” non equivalga a “vendere il proprio corpo” non mi ha mai convinta. Chiunque lavori con il proprio corpo sperimenta giorno per giorno quanto instabili siano i meccanismi di “filtraggio delle emozioni” – di quelle emozioni che si trasmettono attraverso il corpo, per l’appunto. Fare una simile distinzione (vendita servizio vs vendita corpo), significa anche dare per scontato che tutte coloro che si prostituiscono lo facciano con estrema consapevolezza e «autoderminazione», sebbene molte ragazze siano spinte a farlo fin da ragazzine e spesso siano vittime di tratta e di abusi. Covre lo sa e lo dice più avanti nell’intervista. Un po’ di coerenza, insomma.
6) Scrive ancora Covre: «La costruzione del ruolo maschile si è sempre basata sulla forza, il potere, la negazione dei bisogni emozionali, la virilità. Questo influisce sul modo di vivere la sessualità da parte degli uomini […]. Le donne-madri devono lavorare molto con i loro figli». Giustissimo, ma – senza criminalizzare nessuno – possiamo dire nel frattempo che chi sceglie di prostituirsi LIBERAMENTE (alias senza costrizioni) non fa altro che perpetrare questo tipo di immaginario fittizio, fondato appunto sull’idea di dominio dell’altro e di «negazione dei bisogni emozionali»? Su questi ultimi 2 punti rimane ancora attualissima la keynote lecture di Andrea Dworkin a una conferenza sul traffiking del 1989.
http://www.youtube.com/watch?v=KL3RqTOOcP8
http://www.youtube.com/watch?v=sDJYvFZDucM&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=sZL-2dik0Lk&feature=related
Anche lei, prima di diventare un faro del movimento femminista, si era prostituita. Quindi anche degli aspetti emotivi e psicologici della prostituzione parlava con cognizione di causa.
Ciò detto, benvenuta sia la testimonianza di Covre e benvenuto sia il confronto.

Epperò c’è un’altra accezione, che le donne ben conoscono, in cui la cultura maschile adopera la parola “puttana”: è quella che indica le donne che non si adeguano al ruolo della “donna che sta dentro casa e serve un uomo”, e che si muovono nella società, nello spazio pubblico, vivendo in modo autonomo ed indipendente anche le loro relazioni affettive e sessuali. Anche quelle vengono, o preferibilmente venivano, definite “puttane”, pur non svolgendo tecnicamente un ruolo che comporti lo scambio di sesso per altro che sessso non sia. E’ evidente perché le donne siffatte (be’, ormai tutte noi?) vengono, o venivano, definite così: dato che non rientravano in uno dei due ruoli che la cultura maschile aveva previsto per loro (moglie-e-madre), dovevano per forza rientrare nell’altro (prostituta); se le caselle che una donna poteva occupare erano solo due, uscire da una di esse comportava di necessità dover rientrare nell’altra. Non era contemplata la possibilità che le due caselle potessero essere messe in discussione, demolite, distrutte: questa demolizione l’ha compiuta il femminismo, quando ha detto “noi, negli schemi previsti per le donne dalla cultura maschile, non ci stiamo e non ci vogliamo più stare”. Quindi: né sante, né puttane. Ed è questo il senso della Poesia Puttana linkata anche qui (http://www.ilcorpodelledonne.net/?p=47429) da femminismo-a-sud: in questa accezione di scardinamento dei ruoli che fino a poco tempo fa, per non dire finora, erano previsti per noi, tutte possiamo riconoscerci, è fin troppo ovvio. Se questo è il senso, aderisco con convinzione; ma siccome la parola “puttana”, come abbiamo visto non è affatto univoca, mi chiedo se ci è utile rivendicare una parola che, in primo luogo, definisce uno dei due unici ruoli che la cultura maschile ci ha imposto.
Cerco di spiegarmi meglio, per evitare che qualcuna pensi ad un giudizio etico su quelle (poche?) donne che, in piena autonomia e libertà, svolgono l’attività di “sex workers”. Un post molto arrabbiato di ladyradio (http://ladyradio.noblogs.org/post/2011/02/01/le-signorine-perbene-non-si-prostituiscono/), il cui testo è molto bello e che consiglio di leggere, presenta in apertura uno striscione con lo slogan: “Io sono una puttana e dico basta… posso?” riferito alle polemiche di cui parliamo, di cui un esempio è la discussione che segue l’articolo di Elisabetta Addis in http://senonoraquando13febbraio2011.wordpress.com/2011/02/05/vi-siete-proprio-sbagliate-noi-andiamo-in-piazza-anche-per-ruby-non-contro-di-lei/. Edda Billi, nell’ultima risposta all’articolo linkato, taglia corto: “se quarant’anni vi sembran pochi”, cioè (mi sembra), se di queste cose abbiamo riflettuto e approfondito ed elaborato per quarant’anni, possono bastare. Appunto, che ne è stato di tutto quello che abbiamo pensato? Io negli anni ’70 sono stata adolescente, il che equivale a dire che la mia formazione femminista si è svolta in quegli anni, prima che nel successivo decennio. E lo slogan né santa né puttana, mi appartiene. E proprio per questo, a me lo striscione spiritoso e arrabbiato di ladyradio mi fa lo stesso effetto che se ci fosse scritto: “Io sono una casalinga e dico basta… posso?” Certo che puoi, grazie a dio nessuno può impedirti né di fare la casalinga, né di dire basta, ma tieni presente che stai rivendicando con orgoglio uno dei due unici ruoli in cui le donne sono state ingabbiate dalla cultura maschile. Vogliamo rivendicare il nostro consapevole adeguamento ai ruoli previsti per noi dai maschi? o vogliamo evaderne? Certo, so benissimo che la scelta di fare la casalinga, molto spesso non è affatto una libera scelta, ma una scelta obbligata: non lo sarebbe se in Italia ci fosse un sistema di assistenza allo svolgimento dei compiti di cura e di educazione che ricadono, invece, sulle donne; se ci fossero gli asili, il tempo pieno, gli uomini che accettassero un’equa ripartizione dei compiti domestici, i permessi genitoriali retribuiti e paritari per entrambi i genitori. Se i periodi dedicati allo svolgimento del ruolo genitoriale dall’una o dall’altro dei genitori fossero paritari, e se non si ripercuotessero negativamente sulle loro attività lavorative, a partire dal licenziamento per finire alla perdita di occasioni nella carriera. Certo, che fare la casalinga è una scelta in molta parte obbligata, ma rimane una scelta che ci inchioda ad uno dei due ruoli, in questo caso quello di “santa” (moglie-e-madre). Lo stesso discorso per l’altro termine del binomio. Sono entrambe scelte che comportano un adeguamento a ruoli che sono stati pensati per noi migliaia di anni fa, e che ci hanno imprigionate. Non siamo stanche? Io si, e preciso che, per quanto mi riguarda personalmente, se questi due ruoli fossero ancora gli unici possibili per le donne, mi risulterebbe molto difficile, per non dire impossibile, adeguarmi sia all’uno che all’altro dei due. E questo per evitare equivoci di tipo “moralistico”. Comunque, molta parte del dibattito si può seguire su femminismo-a-sud e su Il Paese delle donne on line (http://www.womenews.net/spip3/ ). C’è ancora un altro spunto interessante: la cultura di massa creata dal berlusconismo mi sembra che abbia proprio codificato l’ineluttabilità dei due ruoli, nel senso che la donna che vuole “uscire di casa”, rinunciando a “sposare un miliardario”, deve mettere a disposizione il proprio corpo ad un fruitore maschile, che può essere un soggetto singolo: datore di lavoro, premier, intermediario di lavoro; oppure collettivo: quando si tratti di esibirsi in attività mediatiche, compresa evidentemente l’attività politica. Ma con questo torniamo al tema centrale del Blog. Scusate per tutto o spazio che ho occupato, spero che non abbia ecceduto la capacità di sopportazione delle lettrici e dei lettori più tenaci.
P.S. Leggo adesso l’intervento di Ilaria, bello. Io penso che andrò con la mia sciarpetta arcobaleno.

grazie, veramente grazie a tutte per contribuire in modo eccellente a sciogliere questo pericolosissimo nodo che si era creato.

@donasonica, cito dal tuo post: “spegniamo i giornali che non parlano in modo corretto, le televisioni che non ci rappresentano, usiamo media alternativi e creiamone di nostri, subissiamo di proteste ben costruite chi abusa del suo potere, interrompiamo un circuito di sfruttamento che continua a usarci come merce di scambio.”
E’ giustissimo, e sono cose che qui dentro e altrove si stanno già facendo. I media che non ci rappresentano però più che “spegnerli” vanno criticati pubblicamente e direttamente, perché i media alternativi arrivano a pochi. Grazie comunque, e teniamo vivo il confronto.

le donne che il 13 saranno in piazza a manifestare non manifesteranno contro altre donne ma contro un sistema che priva la donna della sua vera identità rinchiudendola in una rappresentazione grottesca del femminile totalmente avulsa dal reale. Forse anche Pia Covre è stata vittima dell’inganno e invece di ascoltare la protesta dalla voce delle donne, ne ha raccolto la versione mediatica alterata che, fin dall’inizio di questa vergognosa vicenda ha cercato di spostare l’attenzione dall’essenza del problema, il comportamento e le responsabilità del nostro presidente del consiglio, alle ragazze (prostitute o no) che frequentavano le famose cene del premier

P.S., a proposito, trovo disgustosa, per i motivi di cui abbiamo a lungo parlato, la locuzione “mignottocrazia”, non a caso coniata da un ex berlusconiano ma che, credo, molti uomini di sinistra non rifiuterebbero, non riuscendone a capire l’intrinseco contenuto sessista. Appunto, andiamo, prima di tutto, noi, in quanto donne consapevoli, magari diversamente consapevoli tra loro, e litighiamo pure, confrontandoci, ma non facciamoci disperdere. L’alternativa sarebbe peggiore di qualsiasi scontro e di qualsiasi incomprensione.

Sono di sicuro discorsi molto complessi, che non si può certo liquidare in uno scambio sulla partecipazione a una manifestazione, ma richiedono tanto approfondimento. Mi limito ad aggiungere qualche riflessione:
“il fatto che qualcuno possa LAICAMENTE pensare che la libertà sessuale delle donne sia altra cosa rispetto al “noleggiare” il proprio corpo per denaro, il che a mio avviso è piuttosto un’istituzione del patriarcato.” Condivido questo passaggio di Renata.
Non capisco perché si dimentichi sempre che la prostituzione è comunque nata col patriarcato, insieme all'”angelo del focolare”. Oggi, lungi dal criminalizzare le scelte che compie ogni donna (tra l’altro il disprezzo della donna che si prostituisce è piuttosto strutturale del sistema che la sfrutta e di molti clienti) credo che dobbiamo anche dotarci del coraggio per guardare avanti, per proporre quello che è, a mio avviso, il presupposto basilare per cominciare a parlare di una qualche libertà delle donne. Avere un’indipendenza economica, una libera sessualità, senza dover subordinare il proprio mantenimento alla convivenza con un marito magari maltrattante o al sottoporsi allo sfogo sessuale unidirezionale a pagamento di una pluralità di uomini. Tanto più che oggi è possibile ripensare l’intera relazione uomo-donna, come ad esempio fanno gli uomini di Maschile plurale, che considerano il modello dominante maschile portatore di “miseria” e non di libertà sessuale. Dobbiamo guardare avanti, a mio avviso, anche prendendo atto che oggi molti uomini impegnati nella riflessione di genere rigettano come ripugnante residuo patriarcale l’idea di una sessualità unidirezionale, come quella vissuta da un cliente. E perché proprio noi donne dovremmo invece poterla pensare ancora come forma di libertà?
C’è anche una cosa più importante. Parto dal link che ha segnalato Paola in uno dei suoi interessanti interventi e da questo brano: “Dissento in modo assoluto circa la leggerezza con la quale viene liquidata la questione prostituzione; il video di Lorella Zanardo ha messo a tema il preciso disegno culturale che, in margine alla vittoriosa realizzazione degli intenti della Loggia p2, ha sdoganato il corpo femminile come accessorio utile per l’incremento del fatturato, autorizzando quindi la cosiddetta libera scelta di giovani donne a saltare ogni passaggio per costruirsi una autorevolezza basata non sulla vagina ma sul sapere, la cultura, la passione per il sapere fare.” Diceva una mia amica insegnante, leggendo un po’ il dibattito di questi giorni: cosa devo dire alle mie alunne? Che in fondo prostituirsi o vivere del proprio corpo esposto come merce per sguardi maschili può essere anche una scelta emancipatrice e liberatoria, e dunque perché non farlo? Dobbiamo stare attente, a mio avviso, a non foraggiare anche noi questo clima, che mi sembra ben più all’ordine del giorno del tanto paventato “moralismo”, che spesso è solo la superficie sotto cui si muovono interessi ben più concreti al corpo delle donne come mezzo per l’incremento del fatturato.
Mi pare che spesso si dimentica che lo scenario è molto cambiato anche rispetto a trenta o persino a venti anni fa: c’è un preciso disegno del capitalismo globalizzato intrecciato alle mafie di tutto il mondo per guadagnare ingenti fortune sul corpo delle donne. Questi interessi economici, come ricorda la grande Lydia Cacho (giornalista e femminista messicana, che ha affrontato tortura e carcere per denunciare importanti imprenditori del sesso del suo paese legati alla mafia e con importanti agganci politici, dediti a sfruttamento della prostituzione, tratta di esseri umani, pedo-pornografia e che nel suo CIAM si occupa di accoglienza di donne maltrattate e sfruttate a Cancun) stanno cercando anche di spingere verso normalizzazione e banalizzazione della prostituzione, facendola percepire come un lavoro tra gli altri, in modo da rendere più facile il reclutamento di donne, ragazzine, bambine e il loro sfruttamento, persino nutrendosi e approfittando del dibattito pur comprensibile sulla “libertà di scelta” delle donne. Chiediamoci un attimo se è giusto che, mentre un capitalismo sempre più selvaggio e la crisi finanziaria globale diffondono la povertà sul pianeta, alle donne si debba sempre più offrire come unica possibilità di sopravvivenza (o successo, arricchimento) lo scambio sessuale, che in molti casi porta con sé gravi conseguenze fisiche o psicologiche. Ci sarebbe tanto da dire su questo discorso.
Mi limito a dire che è importante secondo me dare voce non solo alle donne riunite in comitati impegnati nella lotta per la regolamentazione della prostituzione, ma anche a quelle – troppo spesso ridotte al silenzio – che pagano con gravi violenze o con la vita il fatto che nel XXI secolo sia ancora possibile uno sfogo sessuale a pagamento su corpi umani. Lydia Cacho – molto equiilibrata e che riporta tutti i pareri del dibattito – cita Somaly Mam, ad esempio, ex prostituta cambogiana che trova che l’abolizione della prostituzione nel suo complesso, raggiunta con gradualità e con un’ampia opera educativa e socio-culturale più ancora che con leggi, sia l’unica possibilità per le bambine dei bordelli thailandesi o cambogiani di aver rispettato il loro diritto all’erotismo e spesso alla vita (e ragazzine e quasi bambine sono trafficate anche nel nostro Paese). La regolamentazione non risolve davvero i problemi, come comunemente si crede, anzi in molti casi li aggrava, soprattutto per le immigrate senza diritti perché clandestine.

@ Paola, @Valentina S. @Ilaria @ laura a. @ tutte

Grazie davvero per i preziosi contributi e per i riferimenti che mi avete fatto scoprire (Lydia Cacho, ad esempio).
Sul post della Lipperini – che leggo sempre volentieri – vorrei solo aggiungere che non dobbiamo meravigliarci più di tanto. La manifestazione di domenica è contro un modello di rappresentazione della donna (e dei rapporti uomo-donna) che non ci piace e che impronta la QUASI TOTALITà dei media nazionali, a prescindere dagli orientamenti politici. Ma – non dimentichiamolo – è anche contro una persona che CONCENTRA nelle sue mani un incredibile potere mediatico, politico, economico. Davvero credevamo che, dopo aver delegittimato con tutti i mezzi possibili ogni voce di dissenso, gli “stink-tank” di Berlusconi si sarebbero fermati proprio davanti a una manifestazione di donne? Davvero pensavamo che le onorevoli del PDL ci avrebbero battuto le mani, magari con il capo coperto di cenere?
Ma la domanda vera è: BASTA QUESTO A FERMARCI? La storia del femminismo è stata una storia di mobilitazioni permanenti, in cui l’entusiasmo ha sempre dovuto fare i conti con la delegittimazione, la ridicolizzazione continua delle persone coinvolte nel movimento e delle loro rivendicazioni. Chi l’ha vissuta può raccontarlo meglio di me. Il prezzo è alto, e cominci a pagarlo già nel privato quando i tuoi amici (magari anche il tuo ragazzo) cominciano a guardarti in modo strano, non capiscono perché tutt’a un tratto cominci a notare cose che prima ti sembravano scontate, cominci a non ridere più alle solite battute a sfondo sessuale. Magari dentro di loro pensano “non sta bene, è stressata, ha bisogno di una vacanza”. Ma la cosa più difficile è continuare a lavorare e incassare i colpi senza perdere l’equilibrio, il sorriso, il senso dell’umorismo, la gioia di vivere. Questo lo dico, idealmente alla Lipperini. Già ci hanno rubato la “sensualità” – imponendone un modello esclusivo, fasullo, chiuso al pluralismo e ai desideri autentici delle persone. Non lasciamo che ci rubino anche la gioia, anche se ci tocca conquistarcela giorno per giorno, con grandi sforzi. Il prezzo è alto, ripeto. Ma il premio è incommensurabile.
Ci vediamo domenica.

le donne soffrono di uno stupido complesso che le umilia e che impedisce loro di fare un cambaimento vero del loro status. le donne devono sempre sentirsi coinvolte le donne devono sempre sentirsi offese le donne si lasciano rappresentare dal primo culo televisivo e si alzano su indignate invece che lasciare la singola alla sua scelta e operare così nella considerazione del libero arbitrio un vero cambiamento di mentalità che negli uomini è semplicemente sempre esistito. chi dice che se vedo una che agita il culo in tv io debba essere come lei? chi dice che mi rappresenti chi dice che io mi debba sentire offesa dal suo comportamento chi dice che lei non sia contenta di farlo perchè consapevole di prendere più soldi di me finchè il suo culo solleverà gli ascolti?la pubblicità opera continuamente questo meccanismo sapendo della sua esistenza gioca con l’immagine della donna sapendo che una donna basta a farne incazzare un milione e a far ricordare lo spot a vita. siamo deboli e insicure sembra che dobbiamo andare avanti con lo stesso passo e spalleggiandoci a vicenda. la solidarietà femminile a prescindere mi da la nausea come l’invidia gratuita personificarci come donne è una sovrastruttura che insulta la mia individualità e la mia intelligenza. il vero femminismo parte dalla risoluzione degli sfruttamenti senza partire da questa ridicola costituzione a parte civile di un genere che non può essere rappresentato da nulla e da nessuno.