di Chiara Baldin
“L’egoismo non consiste nel vivere come ci pare ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi.
”Oscar Wilde
Nella mia parentesi australiana ho conosciuto tante persone e tante vite. Soprattutto ho vissuto diverse storie di donne. Posso anche dire: sulla mia pelle.

A Sydney, grande culla che raccoglie in sé le più svariate culture del mondo, si vive come mai ho vissuto. La multiculturalità, i colori dei quartieri, le lingue sparpagliate per strada danno la sensazione che il mondo sia veramente piccolo e tutto lì, compresso in poche centinaia di chilometri.
Nelle strade si vive abbastanza liberi da preconcetti. La gente non ti fissa attonita se sei a manina con una persona dello stesso sesso, né se baci sulla bocca una persona che ha la pelle di una tonalità diversa dalla tua. Si gira scalzi o trasvestiti da super eroi a qualunque ora del giorno. Si sorride e si saluta chi s’incontra per strada.
Per le vie di Sydney tutto sembra molto rilassato e in pace con l’universo.
Tuttavia anche qui le disparità e le ingiustizie esistono.

Non conosco a fondo la situazione femminile nella realtà sociale, lavorativa ed economica australiana. Non ho avuto occasione di approfondirne il tema perché il mio soggiorno qui è limitato. Tuttavia ne ho parlato spesso con l* mi* collegh* riscontrando opinioni molto contrastanti.
Dalla mia minuta e superficiale esperienza, posso dire che ho percepito qualche ingiustizia e subdola discriminazione nei sei mesi vissuti in una scuola privata di lingua inglese. Al college siamo la maggioranza (si reitera che l’educazione è fatta al femminile…). Dieci donne, cinque uomini. E, guarda caso, le posizioni più alte della gerarchia sono… di uomini! Inoltre la scuola ha alcune sedi sparse per l’Australia occidentale e, con stupore si può notare che vi si ritrova la stessa situazione. Coincidenze?

M. è una delle mie colleghe più vicine e intime. Ha ventinove anni e viene da Antalya: una città che, mi racconta, ha paesaggi speciali e grandiosi. La Turchia è una terra molto ospitale, allegra e gioviale. Ha alle spalle una storia occlusiva, conservatrice e poco aperta alla novità. M. mi mostra la sua carta d’identità in cui è ben evidenziata la religione professata: musulmana. E se laggiù non vuoi avere problemi di persecuzione o maldicenza, ti conviene dichiarare che sei amic* dell’Islam nel tuo documento.
M. tuttavia si dichiara liberale e si dissocia dalla società turca in molti aspetti.
Non crede nell’Islam e non usa jiab. È una donna moderna e molto bella.
Si è innamorata di un ragazzo Aussie (come si definiscono gli australiani) di Sydney. Si sono conosciuti ad Antalya qualche anno fa e dopo essersi sposati qui, M. ha deciso di cambiare totalmente la sua vita e trasferirsi da quest’altra parte dell’emisfero. Mi dice che è felice, che le piace questa vita. Vive in un quartiere a un’oretta dal centro: vicino a una laguna, si sveglia con il rumore degli opossum sul tetto e le cacatue che migrano. Un piccolo paradiso di cui va fiera.
Eppure nei suoi occhi castani truccatissimi di blu, non va tutto bene.
Spesso mi chiede in prestito qualche dollaro per comprarsi il pranzo. Non ha “cash” in tasca, solo la carta di credito che suo marito le permette di usare. Ogni mese D. il marito, le dà una “paghetta”. M. non può accedere al conto in banca che hanno in comune né gestire i suoi soldi; e quando è il giorno di ricevere il nostro stipendio, D. lo trasferisce subito nel conto risparmio. Le dice che devono risparmiare per il futuro e per futuri figli.
M. si è trovata molto male a lavoro. Non riesce a sopportare il nostro capo e altre pressioni che deve vivere ogni giorno. Ha deciso di rescindere il contratto con la scuola e se ne vuole andare. M. desidera trovare un lavoro part-time, avere un po’ di tempo per coltivare le sue passioni, come l’arte e la storia, e vuole riprendere a studiare: è interprete qualificata con quattro anni di esperienza all’ONU, tuttavia in Australia la sua laurea non è riconosciuta…
D. si è infuriato. Le ha detto che è una donna viziata, che ogni adulto deve lavorare full-time e non si può permettere di oziare tra le sue passioni. Che M. deve pensare ai figli futuri e che non è assolutamente giusto che lui debba sudare tutto il giorno mentre lei si fa i fatti suoi.
M. vuole rifarsi il seno. Dice che le piacerebbe averlo un po’ più grande. A me piace com’è, in realtà. D. glielo ha proibito. Non vuole che si trucchi, ma in questo M. vince: si stra-trucca perché le piace e si sente più bella.
Ad aprile M. e D. dovranno lasciare la casa vicino alla laguna perché scade il contratto. M. ha proposto di trasferirsi in un nuovo quartiere, giusto per cambiare aria e per avvicinarsi al centro di Sydney. D. si è di nuovo infuriato sbottando che non avrebbe cambiato la sua vita e non si sarebbe mosso di lì, dove tutta la sua famiglia e i suoi amici vivono, solo per soddisfare uno sfizio di M.   …
M. accetta. A volte reagisce e cerca di affrontare D. Tuttavia accetta ogni suo comportamento con poca voglia di arrabbiarsi.
Dice che da quando mi conosce, si sta rendendo sempre più conto del sottile sessismo esistente dappertutto. Io, nella mia discrezione, le do la mia opinione e le esprimo sensazioni di disappunto.
So che per cambiare mentalità e reagire a simili ingiustizie, ci vuole molto coraggio e determinazione. Probabilmente l’amore che prova per D. è tanto grande da accettare anche queste discordanze.
Eppure a me turba. Mi preoccupa e m’intristisce.
Sto leggendo un libro che è diventato una delle mie bibbie e che mi sta letteralmente cambiando la vita: Emotional Intelligence. Daniel Goleman, autore e psicologo americano, parla di discriminazione e sostiene che il preconcetto come il razzismo sono radicati nella persona e nella società, dunque difficili da sradicare. Ciò che ognuno può fare invece è cambiare atteggiamento nei loro confronti. Reagire, smuovere, parlarne, strapparne il silenzio. È precisamente l’atteggiamento di chiudere gli occhi o incrociare le braccia che permette alla discriminazione di espandersi.

Quante storie simili ci circondano ogni giorno. Quante donne simili stanno zitte a questi spiacevoli comportamenti. E quante parlano o reagiscono.
Io vorrei veramente che ognuna di noi avesse il coraggio di ammettere le quotidiane ingiustizie come anche le innumerevoli conquiste.
Mi piacerebbe che insieme si riuscisse a vivere serene e senza paura. Mi piacerebbe che donne come M. vivessero il matrimonio come una parità di decisioni e scelte. Perché io sono convinta che il matrimonio sia equilibrio e linee condivise, non la prevalenza di una voce sopra un’altra. È solidarietà, complicità e sostegno. Non è egoismo né possessione. È un grande atto di amore e speranza.