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Perché ne vale la pena

Matteo è stato chiarissimo nel dare indicazioni, ma io distratta come sono, ho lasciato la sua mail con la piantina di Nave a casa.

Ci aggiriamo, Cesare ed io, nella provincia bresciana, quella operosa fatta di piccole fabbriche e di una ricchezza che, fino ad ieri, aveva portato benessere diffuso quasi a tutti. E  qui la Lega ha attecchito un po’ ovunque.

Siamo stanchi, questi sono giorni densi di impegni, ieri eravamo in una scuola ad un dibattito con 250 studenti. Che è bello e faticoso allo stesso tempo. I ragazzi vogliono spiegazioni e ti sgamano subito se non sei “vero”. Alla fine di incontri così sono esausta, mi sento svuotata, cerco di dare tutto ciò che posso ma devo imparare a dosare le energie.

Siamo sempre in giro, molto in Toscana, Umbria, Lazio, Emilia.

Noi siamo di Milano ma dalla nostra città riceviamo pochi inviti; le ragioni sono tante, la prima delle quali probabilmente è da imputarsi ad un malinterpretato significato dato alla parola politica.

Le scrivo perché a Nave organizziamo dei cineforum tematici e da quando abbiamo scoperto il vostro documentario abbiamo pensato che sarebbe bello inserirlo in un ciclo misto di film e conferenze per riflettere sui mass-media. Ci piacerebbe molto poterla invitare in occasione della proiezione del documentario per riflettere con lei sulla televisione” mi ha scritto a dicembre Matteo, “i cineforum di cui le parlo sono organizzati dall’oratorio ed in particolar modo dal curato stesso, Don Enrico e da alcuni collaboratori, tra cui io

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La Realtà

“Sono una manager, non una donna” grida stizzita Margareth al suo assistente, buttando a terra il fiore che quest’ultimo le aveva porto durante una convention.

“La Dott.ssa Santi è una donna con le palle, per questo l’abbiamo assunta” dice il direttore presentando la nuova manager al consiglio di amministrazione.

Accadeva anni fa, accade tutt’ora.

In una società dove “se non lavori non esisti”, intendendo lavoro come unica possibilità di affermazione di sé, molte di noi hanno deciso di lavorare come uomini per esistere, per diventare visibili.

Il prezzo è stato altissimo.

Non c’era scelta: tempi e metodi di lavoro erano declinati al maschile e noi li abbiamo adottati. Che altro si poteva fare? Chi entrava e si trovava ad essere unica donna tra una moltitudine di uomini non aveva scelta: bisognava adottare stili di comportamento maschili. Quelli delle donne erano però diversi, né meglio, né peggio.

Ci siamo adeguate.

E, come bene scrive Marina Terragni nel suo libro “La scomparsa delle donne”, il rischio è che noi donne si stia scomparendo o che come, dico nel documentario Il Corpo delle Donne, sia  in gioco la sopravvivenza della nostra identità.

La più potente responsabile dei casting di Mediaset è stata per anni una donna. La vedete anche nel film di Erik Gandini Videocracy. E’ un lavoro terribile: non si tratta di selezionare ragazze graziose che sappiano ballare. La scelta viene fatta con criteri maschili: “chinati, fai vedere il culetto, fai boccuccia.” La prescelta sarà quella che alzerà l’audience, quella …

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Sogno?

Bologna, 4 gen. (Labitalia) – Sul posto di lavoro, le donne, storicamente più capaci di comprendere gli altri, le loro motivazioni, i loro bisogni e in grado di stimolare spesso un comune desiderio di migliorarsi, stanno diventando sempre più ‘fredde’ e calcolatrici. A dirlo è una ricerca ‘sul campo’ condotta, tra il 2001 e il 2009, da Cofimp, società di alta formazione e consulenza di Unindustria Bologna. L’indagine è stata condotta su un campione di 1.200 soggetti (660 uomini e 540 donne) di età media di 39 anni (minima 20, massima 65), a cui è stato somministrato un apposito test sviluppato da RH Comportement di Parigi sulla base di un’esperienza di coaching nel campo dell‘Intelligenza Emozionale che dura dal 1991. Lo strumento è stato concepito per la rilevazione di 5 fattori che rappresentano l’ossatura della nostra ‘intelligenza emozionale’: empatia, maturità emozionale, sensibilità, cordialità ed esteriorizzazione dei sentimenti.

E a testimoniare la sempre maggiore tendenza di donne ‘sergenti di ferro’ sul posto di lavoro ci sono il calo registrato, sia nel loro livello di empatia sia nella loro sensibilità. A preoccupare è anche il loro livello di cordialità visto tendenzialmente al ribasso. Secondo i parametri utilizzati da Cofimp, in dieci anni la sensibilità delle donne è passata da un punteggio di 7 a 1,3; mentre la cordialità è precipitata da 8,1 a -0,7. Per contro, la sensibilità degli uomini è salita da -0,1 a 5,7 e la cordialità è crollata da 0,7 a -3,3. E confrontando i risultati del test realizzato …

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Il Sogno

Oggi ho messo le catene.

Un fatto apparentemente banale.

Nevicava, sono scesa dall’auto,

ho lasciato che i bambini continuassero a litigare

e con calma ho disteso sotto la ruota la prima catena.

E’ stato allora che ho sentito come un fastidio tra le cosce.

Non un dolore, un semplice fastidio.

Più tardi a casa,

mentre spalavo la neve che i bambini ributtavano prontamente

dove l’avevo tolta,

ho risentito quel fastidio

quasi un intrusione  là, vicino al pube.

Poi ho cucinato, dato da mangiare ai bambini,

riassettato, insegnato a mio figlio la tabellina del 9,

messo il pigiama ai mia figlia.

Ho poi preparato il lavoro da consegnare al cliente  per il giorno dopo,

dato un’occhiata ai conti della banca

riordinato le bollette,

stirato due camicie.

E’ stato solo verso mezzanotte, mentre cercavo di riparare il videoregistratore,

che ho risentito quel fastidio a cui non avevo più avuto tempo di badare.

Mi sono abbassata piano gli slip,

temendo o sperando di scoprire ciò che già presentivo.

Sopra il pube si ergeva una piccola protuberanza

Un’escrescenza che se ne stava ritta ed impettita.

Un pene!

Un piccolo pene eretto!

Non mi stupii più di tanto.

Era quella l’età dell’acquario?

Il nuovo femminile?

Accarezzai il nuovo venuto come si fa con un figlio

E ripresi ad aggiustare il video.

Fuori nevicava.

Domani avrei rimesso le catene.…

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MASLOW E IL BURQA

Questa è la scala di Maslow

Rappresenta i nostri bisogni. Primari: mangiare bere respirare ecc; Secondari: come l’autorealizzazione e via via fino ai bisogni spirituali. Non significa che questi ultimi siano meno importanti: semplicemente se non ho da mangiare o non posso respirare, difficilmente mi tormenterò chiedendomi se sia meglio studiare filosofia o matematica: prima dovrò trovare ossigeno, altrimenti morirò.

L’altro giorno è uscito un articolo di svariate pagine su Repubblica che trovate qui.

Raramente ho visto dedicare tanto spazio ad un tema che riguarda noi donne da parte dei quotidiani.

Credo che sia indispensabile ripassare la scala di Maslow.

E poi riguardare con attenzione queste immagini:

che, ricordiamo, vanno in onda in trasmissioni preserali con molti bambini tra il pubblico.

Viaggio molto, moltissimo. Mi sarà capitato in Italia di vedere 5 donne con il burqa in un anno in giro per l’Italia.

Invece mi è capitato di vedere centinaia di immagini offensive, vergognose, insultanti per le donne sulle reti pubbliche e private italiane.

Occuparsi oggi in Italia del problema del burqa equivale a volere arrivare ad uno dei gradini piu alti della scala di Maslow, quando non si ha  nemmeno l’acqua da bere.

Siamo in uno stato di degrado culturale terribile, intere generazioni sono state lasciate sole davanti alla tv, centinaia di migliaia di ragazzi crescono in Italia con questa  tv come balia: è veramente  urgente un’indagine su come gli italiani si rapportano a pochissime donne con il burqa? O è piu urgente occuparsi di creare una Authority …

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Donne e TV: Un nuovo modo di guardare all’identità femminile

Pubblichiamo qui di seguito l’adesione de Il Corpo delle Donne all’appello alle Istituzioni in occasione del rinnovo al Contratto Rai ,di cui vi avevo gia parlato in un post passato. Non è in corso una raccolta firme ad oggi. Vi faremo sapere gli esiti di questa iniziativa

Sottoscrivo con molto piacere l’appello alle istituzioni di Gabriella Cims e sostenuto dalla campagna Donne e TV lanciata da Key4biz.

Il Corpo delle Donne è il titolo del nostro documentario di 25′ sull’uso del corpo della donna in tv.

Siamo partiti da un’urgenza.

La constatazione che le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante.

La perdita ci è parsa enorme: la cancellazione dell’identità delle donne sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti ma senza che vi sia un’adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime.

Da qui si è fatta strada l’idea di selezionare le immagini televisive che avessero in comune l’utilizzo manipolatorio del corpo delle donne per raccontare quanto sta avvenendo non solo a chi non guarda mai la tv ma specialmente a chi la guarda ma “non vede”.

L’obiettivo è stato interrogarci e interrogare sulle ragioni di questa cancellazione, un vero ” pogrom” di cui siamo tutti spettatori silenziosi. Il lavoro ha poi dato particolare risalto alla cancellazione dei volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno di passaggio del tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione.

Da quando il

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L’Italia l’è malada. Discutendo di legalità, una sera d’inverno, con Salvatore Borsellino

Pubblichiamo il testo del discorso introduttivo di Silvia Buzzelli, professoressa associata di procedura penale europea e sovranazionale all’università di Milano Bicocca, all’incontro pubblico con Salvatore Borsellino svoltosi a Monza il 19 gennaio.  Silvia Buzzelli  l’ho incontrata alla presentazione del libro intervista di Piero Scaramucci a Licia Pinelli e mi ha subito interessata con la passione che comunicava, con il suo “metterci la faccia” nelle attività di cui mi raccontava. L’altra sera a Monza avrei dovuto esserci anch’io ma, un contrattempo me l’ha impedito. Andremo noi  appena possibile a cercare Salvatore Borsellino per un’intervista al blog.

Buona lettura e buona settimana.

Da dove partire, caro Salvatore? Era il 1882 quando, nelle campagne di Rovigo e del mantovano, iniziò il primo grande sciopero: fu un’agitazione senza precedenti, una lotta durissima – fatta di arresti, persecuzioni, processi – che si estese nel lodigiano, nel parmense, in tutta la nostra Pianura Padana, insomma. “La boje, la boje e de botto la va fora”, bolle, bolle e, all’improvviso, trabocca: questo era il grido dei braccianti che, nel Polesine, cantavano “L’Italia l’è malada”. Bisognerebbe, forse, imparare la dignità di quelle donne e di quegli uomini (uniti nelle leghe e nelle società di mutuo soccorso); bisognerebbe – chissà – intonare di nuovo “L’Italia l’è malada”.

Perché ” L’Italia l’è” ancora ” malada” (o no?), e quali sono i sintomi?

“L’Italia l’è malada” perché si propone di intitolare una strada a un latitante (perdonate, uso le categorie del codice di procedura penale, le sole che conosco), un condannato …

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