MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI(di Giulia Montanelli, corrispondente dall’Olanda)
Il 6 febbraio è stata la giornata internazionale per la lotta alle mutilazioni genitali femminili.
Secondo le Nazioni Unite sono tra i 100 e i 140 milioni le bambine e le donne nel mondo che hanno subito questa pratica e sono circa 3 milioni le bambine a rischio ogni anno. Sono maggiormente convolti alcuni paesi dell’Africa, dell’Asia e del Medio Oriente e secondo l’UNICEF circa un quinto di queste donne e bambine vive in Egitto. Ma in un mondo che mai come oggi ha visto flussi migratori così consistenti, gli spostamenti di fasce di popolazione rendono di fatto quella delle mutilazioni una questione transnazionale: sono coinvolti anche gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e l’Europa e il Parlamento Europeo stima che sono circa 500 mila le donne e le bambine coinvolte dalle mutilazioni genitali femminili che vivono sul territorio europeo, altre 180 mila sono a rischio ogni anno.
Le mutilazioni genitali femminili hanno gravissime conseguenze sul piano fisico sia immediate (con il rischio di emorragie, infezioni, shock) sia a lungo termine (dolore cronico, parti ad alto rischio di complicazioni, inibizione del piacere sessuale, ristagno del sangue mestruale, fistole, calcoli, incontinenza) e sul piano psicologico.
La convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC) riconosce ad ogni bambino e adolescente il diritto alla protezione da ogni tipo di abuso sfruttamento e violenza; stabilisce che ogni essere umano avente un’età inferiore a 18 anni deve essere tutelato contro ogni forma di violenza, perpetrata nei suoi confronti da parte di chi dovrebbe averne cura (genitore/i, tutore/i, altra persona che ne abbia affidamento) e richiede l’impegno degli Stati al fine di tutelare i bambini e gli adolescenti contro ogni forma di sfruttamento pregiudizievole al loro benessere.
Il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia, organo di monitoraggio dell’applicazione della CRC e dei suoi Protocolli ha pubblicato nell’aprile 2011 il suo Commento Generale n.13 appositamente dedicato a “Il diritto del minorenne alla libertà da ogni forma di violenza” e attualmente sta lavorando con il Comitato ONU sull’eliminazione delle discriminazioni contro le donne (CEDAW) su un Commento generale congiunto sull’eliminazione delle pratiche dannose (che includono le mutilazioni genitali femminili) che colpiscono le ragazze al di sotto dei 18 anni e che affondano le radici in stereotipi di genere e pregiudizi.
La Convenzione di Istanbul è stato il primo trattato a riconoscerne l’esistenza in Europa e la necessità di affrontare il fenomeno in modo sistematico e a livello comunitario.

Parlando dei due paesi a cavallo dei quali vivo, in Italia le donne coinvolte dalle mutilazioni genitali sono 35.000. Quelle a rischio almeno 1.000; in Olanda le donne coinvolte dalle mutilazioni genitali sono 29.000 e si stima che siano tra le 40 e le 50 le bambine a rischio ogni anno. (si tenga conto che la popolazione olandese è circa dieci volte inferiore a quella italiana)

In entrambi i paesi sono previste pene detentive fino a 12 anni di reclusione e pene accessorie (decadenza della potestà, interdizione perpetua da qualsiasi ufficio di tutela e pene pecuniarie) e sono previste le medesime aggravanti (minore età della persona coinvolta o fini di lucro) per chi infligga una mutilazione genitale a donna o bambina, naturalmente anche nel caso in cui venga praticata all’estero.

Soprattutto sono previsti programmi di prevenzione e sensibilizzazione sul territorio, attraverso associazioni e operatori locali. In Italia la prevenzione fa capo al Dipartimento delle Pari Opportunità, in Olanda al Ministero della Sanità che agisce principalmente collaborando con i rappresentanti delle maggiori comunità di migranti (somali, sudanesi, etiopi ed eritrei) in sei grandi città (l’Aia, Utrecht, Tilburg, Amsterdam, Rotterdam e Eindhoven), avvalendosi della collaborazione del Consiglio per la Protezione dell’Infanzia, della polizia, dei centri di ostetricia e del centro studi sulle disparità nella salute (PHAROS), cui è stato affidato in particolare il piano d’azione per mettere fine alle mutilazioni genitali femminili nei Paesi Bassi.

Uno degli interventi più riusciti in Olanda risale al 2011 a ha visto protagonisti i consultori pediatrici: tutti i bambini e le bambine fino ai 12 anni sono in carico al medico di famiglia, ma fanno controlli specifici e accedono alle vaccinazioni solo attraverso i consultori pubblici con una serie di appuntamenti prestabiliti – ai quali non ci si può sottrarre pena la segnalazione ai servizi sociali – e non esistono specialisti ai quali ricorrere privatamente. Nel 2011 nei consultori pediatrici è stato distribuito un opuscolo che spiegava in dettaglio i rischi e le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili, sottolineando inoltre che in Olanda esse son considerate un grave abuso di minore, con tutte le conseguenze di legge del caso. Il consiglio che veniva dato alle famiglie valutate a rischio era di portare questo opuscolo nei propri paesi di origine e utilizzarlo come difesa dalla pressione sociale per la mutilazione delle bambine. La valutazione di rischio della famiglia si basa principalmente sul paese di provenienza e sulla presenza nella famiglia di donne già sottoposte a mutilazione.
In questo modo le famiglie che ormai vivono in Olanda, che spesso sono state seguite dal punto di vista medico e psicologico a causa delle mutilazioni subite nei paesi d’origini dalle donne ormai adulte appartenenti al nucleo familiare, e che non possono sottrarsi ai controlli delle figlie minorenni da parte di consultori e medici di base, hanno avuto un forte incentivo ad allontanarsi da tali pratiche e hanno avuto un argomento importante da spendere in difesa delle proprie figlie di fronte alla grande pressione esercitata dalla famiglia allargata ancora residente nei paesi di provenienza.
Per le donne presenti sul territorio olandese già vittime di mutilazione genitale, è infatti prevista una formazione specifica per i centri di ostetricia e psicologia, in modo che esse possano essere curate e aiutate nel modo migliore e che si possano informare nel modo più efficace possibile le famiglie dei rischi che corrono le loro figlie se sottoposte a questa pratica.

Resta aperto un punto importante, in Italia come in Olanda: la necessità di non considerare le mutilazioni genitali femminili non solo come lesioni personali o abuso di minore, ma di considerale una violenza di genere; il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili non può essere separato dalla condizione di donne e bambine nella società.