E se quel film si fosse chiamato “ Papà ho perso l’aereo?” E se Edoardo Bennato avesse scritto “ Viva il papà”?
I giovani europei sparsi nel mondo, pure quelli della generazione Y, quelli di cui ci parlava Livia nella sua ultima lettera, gli stessi che fanno community ma che moriranno sotto i ponti perché non hanno lavorato abbastanza ( o solo in nero) per poter riscuotere una pensione dignitosa, mostrano nonostante tutto con discreto ottimismo una certa capacità alla filiazione. Intorno a me piovono gravidanze, e mi sembra una bella notizia! E’ arrivato il turno dei genitori post35enni, quelli che bofonchiando metteranno nelle mani del figlio neonato l’I-pad con un bel cartone da guardare su youtube per farlo smettere di frignare e che vivranno con terrore l’era del cyber-bullismo cercando di difendersi e di difendere come possibile.

 Guardo con un pizzico di astrazione, curiosità quei tanti giovani uomini intelligenti che, pur non definendosi femministi, manifestano almeno a parole una certa apertura in campo di tematiche di genere. Non so quali siano le vostre esperienze, ma alle cene degli ultratrentenni di oggi a cui sono invitata non è più la donna in cucina a preparare da mangiare, non è stata necessariamente lei a fare la spesa o a passare l’aspirapolvere e soprattutto non è soltanto l’uomo ad essere stanco morto per avere avuto una settimana pesante a lavoro. Il primo banco di prova della parità è forse proprio quello : si lavora, si guadagna in due ? Si pensa alla casa in due. Mi sembra a grandi linee che questo concetto inizi ad essere abbastanza diffuso, qualcosa forse sta effettivamente cambiando. Ma c’è però purtroppo una grande e importante prova che, quando si presenta,  porta a rovinose cadute di stile e coerenza persino gli amici o conoscenti più insospettabili : la paternità.

 Ne discutevo qualche sera fa con N., amica coetanea francese. Insieme abbiamo constatato come, anche in ambienti socio-culturali apparentemente sensibili al raggiungimento della parità, fra persone che hanno viaggiato studiato letto e visto tanto e che magari si dicono pure “di sinistra”, capiti  raramente di vedere un papà alzarsi per andare a cambiare un pannolino o preparare le pappe. Ci siamo confidate di assistere impotenti ai cambiamenti radicali che investono le vite di alcune delle nostre amiche più care, amiche stravolte, che vacillano alla ricerca di equilibrio e gratificazioni, schiacciate dal peso di una vita quotidiana scandita da ritmi infernali, responsabilità e una buona dose forse di frustrazioni professionali non comunicate perché spesso dolorose e comunque private. A parità di percorso e livello di studi, la ricerca della tanto amata parità e divisione equa delle faccende domestiche al momento della  rivoluzione che la maternità porta nella vita quotidiana il sistema si inceppa ulteriormente;  inoltre, se in generale le donne sono più precarie e più povere degli uomini, la maternità (soprattutto in Italia) diventa per le mamme un ostacolo ulteriore, superabile forse soltanto con un dispiego di mezzi economici considerevoli e con un esercito di nonni stuntman pronti a tutto.

 Ricordo di essermi stupita quando, lasciata l’Italia  nel 2008,  mi capitava di incrociare per strada a Berlino o a Parigi  orde di uomini con passeggini e bimbi al seguito magari fare la spesa o aspettare chiacchierando fuori dalle scuole proprio come di solito fanno le mamme . Riflettevo sulla percezione della paternità in Italia proprio perché pochi giorni fa è stata la festa del papà e io che a mio padre voglio molto bene da bambina mi ricordo di avere sofferto nel vederlo lontano, distante a causa del lavoro, anche se mia mamma insiste nel dire che quando eravamo piccole io e mia sorella lui desse prova di grande capacità, empatia e intraprendenza paterna.  

 Mi dico che i giovani papà europei dovrebbero riflettere, anche quelli che credono di essere consapevoli e attenti perché nelle nostre vite riproduciamo spesso anche inconsapevolmente modelli che ci sono stati trasmessi, modelli culturali che a volte possono essere combattuti proprio come maledizioni da spezzare in quanto nuocciono alla salute di tutti, uomini e donne.

 C’è uno strumento, che manifesta un atto di parità e di amore direi al contempo, che purtroppo non viene utilizzato abbastanza, è uno strumento di democrazia, raramente ne sento parlare e non conosco nessuno che ne abbia fatto uso. Questo strumento si chiama congedo di paternità. Non posso in queste poche righe addentrarmi in un tema che, detto sinceramente, non conosco in modo approfondito, ma sarei curiosa di sapere se tra coloro che seguono questo blog c’è qualcuno in grado di fornirci maggiori delucidazioni in materia (in contesto italiano e anche europeo).

 Vi segnalo inoltre questo breve video, realizzato dal gruppo femminista francese “Osez le féminisme”  per il progetto, blog e libro Vie de meuf (Vita da ragazza) http://www.viedemeuf.fr/ . Credo che, anche per chi non parla francese, la dinamica del video e dello scambio di ruoli sia chiara http://www.dailymotion.com/playlist/x205by_Stefanink_Bertrand_vie-de-meuf/1#video=xiwccu

 PS: non abbiate paura di far giocare i vostri figli con le bambole. Il massimo del rischio che correte è che diventino degli ottimi papà!
( Giulia Camin corrsispondente da Parigi)