Sembra incredibile: stanno per finire i cinque mesi siberiani.E pensare che avevo paura di annoiarmi, di voler tornare prima … Acqua.
Tutto è andato alla velocità della luce: ricordo perfettamente i primi giorni, i disagi, le scomodità, le perplessità mie e dei miei compagni di viaggio, e allo stesso tempo le ricordo appena. L’immagine della Siberia che mi resterà in mente sarà di sicuro la neve, insieme al Bajkal, eppure a volte, mentre cammino, dimentico di averci vissuto in mezzo. Ormai mi circonda solo un bel sole e, purtroppo, quest’anno parecchia pioggia.

Ci tengo a scrivere un terzo e ultimo resoconto siberiano, è un modo per allentare la tensione, per prepararmi alla partenza, che sarà tra una settimana per la Mongolia e tra tre definitivamente per Roma, per fissare con semplici parole ogni ricordo.

Questi mesi sono stati incredibili, così pieni di facce come mai mi era capitato prima. Facce ovunque, facce sempre diverse, ai miei occhi sempre straniere e sempre indagatrici, perché io tra gli stranieri sono il primo. Potrei dire che ho flirtato con metà della popolazione! Seduti in maršrutka, in uno spazio minuscolo dove di regola non si accettano passeggeri all’impiedi ma dove in realtà ci si stringe tutti un po’ per far sedere l’ultimo che sale, gli sguardi sono dentro di noi: io guardo te, e penso che non sei russo, mi sa che sei buriato, che strana lingua parli!, e tu guardi me e ti chiedi perché un ragazzo debba portare i capelli così lunghi, e ricci, poi!, e una sciarpa così colorata, nel frattempo la signora russissima due sedili dietro di noi si domanda io da dove venga, e nel frattempo guarda brutto la ragazza accanto a lei che per passare le si schiaccia addosso, dal fondo, intanto, un’altra signora mi fissa serissima, rigida, neanche una ruga si muove, poi per un caso fortuito le sorrido e lei ancora serissima, ma poi, magari, sente che sono italiano e allora lo sguardo cambia, si fa curioso, sospetto ma curioso. E’ tutto un gioco di sguardi.
Io mi sento sempre fuori luogo, fuori casa, qui, e insieme nel posto giusto. Ho come l’impressione che gli spazi pubblici, in Russia, siano pubblici nel senso di vuoti, abitati di vuoto: tu attraversi la piazza, la strada, entri nel negozio, sali sull’autobus, fai un salto al mercato, e questi sono tutti spazi di nessuno ma che tutti usano. Usano, ecco, ma non sentono propri. Non appartengono alle persone, queste si limitano ad usarli nella loro funzione, e poi li lasciano. E non è un caso se poi commercianti, farmaciste o cassiere non ti salutino affatto: loro lavorano, svolgono il servizio richiesto e tornano all’anonimato. Ma presto ti abitui, e non ti offendi. Capisci.

Spazi piccolissimi dove l’intimità si azzera. Gli spazi intimi, condivisi-bili sono altri, mi pare. Come la casa.

Io resto straniero in Russia, tuttavia ho assorbito tantissimo.
Mi sono sempre sforzato di osservare i piccoli gesti, e senza accorgermene mi sono ritrovato a contare come i russi: a mano semiperta, con il palmo rivolto verso l’alto, chiudi le dita ad una ad una, a partire dal mignolo, per ogni unità che conti. E non so più contare in altri modi. Quando ci faccio caso mi emoziono sempre un po’.

 Non è stato sempre facile, no.

“Eto – Rossija”, “Questa è la Russia”, la formula con cui si manda a benedire qualunque cosa non vada o non funzioni, dall’autobus che non passa ai pestaggi per strada. Questa è la Russia. Detto dai russi. Fa male, ma fa pensare. Come se la Russia avesse scritto nel DNA di non funzionare bene o di non essere onesta e democratica, come se via di miglioramento non ce ne fossero, se non sperare in un bombardamento di civiltà – che poi non sanno neppure loro da dove dovrebbe venire, questa civiltà.
Proprio in questi giorni il governo del paese è tornato all’attacco con la proposta di ufficializzare ovunque la legge definita “antipropaganda omosessuale”. C’è da restare basiti, oltre che impauriti. E credo che siano molto i/le giovani a dissentire, ma se provi a parlare con loro la risposta è bocca storta e poi la frase-bomba succitata. Quello che noto, anche nei giovani, è una profonda sfiducia nella volontà sia del singolo che della massa. Sono molti gli aspetti che lasciano scontenti i/le giovani, a partire dalla fino agli sfinenti problemi burocratici per chiunque voglia uscire dal paese – ottenere un visto per l’America è, oggi, roba da film. Eppure non credo di aver mai sentito qualcuno/a che proponesse, che avanzasse ipotesi, critiche. Mai. Questa è la Russia. E dopo qualche rapida spiegazione, si cambia discorso. Un po’ come nel magnifico film “Insalata russa” (traduzione infelice, come spesso accade), dove è condensata, a mio avviso, un’ottima immagine di ciò che viene definito “fatalismo russo”: di fronte al degrado sociale di una Russia allo sbaraglio, siamo agli inizi degli anni ’90, i pietroburghesi che fanno? Saltano. A turno saltano su una rete in piazza, come quella per i bambini. Saltano e si distraggono, non pensano, guardano oltre i problemi, sospendono l’azione critica. Prima o poi qualcosa o qualcuno arriverà e cambierà, e se non ci starà bene di nuovo, aspetteremo di nuov

Ho pensato spesso di implodere, io che sono abituato a tartassare di proteste tutto ciò che non mi va, ma quando ti metti in ascolto delle loro ragioni, capisci un po’ di più.

 Ma la Russia non è solo difficoltà. La Siberia nemmeno.

Il clima è puro, chi soffre il freddo si abitua facile. Non è vero che ti trovi gli orsi nel cortile e non è vero che i russi sono “gente fredda” – quelli caldi invece sono? Gli spagnoli, bravi. Credo che, tornato in Italia, avrò mal di testa ogni volta che racconterò di quest’esperienza o mostrerò foto e video, tanto è stato lo sforzo di salvare tutto nel cervello, dai colori alle incazzature prese. Non ho voluto perdere neppure una briciola di questa opportunità.
Ritrovarsi in condizioni estranee, dover usare strumenti che non sono scontanti ma che richiedono sforzo, la lingua prima di tutto, è esaltante. Questa volta mi sono obbligato a non procedere con ordine, a non pretendere di imparare x entro x tempo. No. Ho parlato con tutti il più possibile, dei più svariati argomenti, nelle più svariate situazioni, con i più svariati errori. Di fronte ai momenti no – crisi del terzo mese all’estero: vera; crisi di fine soggiorno: verissima – ho accettato il no, ho fatto tutti gli errori che dovevo fare e poi via, si ripartiva meglio di prima. Non ho bruciato quella settimana di singhiozzo che mi serviva per riciclare le conoscenze e far emergere il nuovo.
Questo è stato il periodo più lungo in cui io abbia vissuto in Russia. Giunto al termine, confermo che non è un paese in cui vivrei sereno, a cui affiderei la vita mia e della mia famiglia.Ma non appena mi concedo quello spazio di cui ho bisogno, quella mia distanza di sicurezza, mi rendo conto di come la Russia resti, per me, un universo tutto da scoprire. Posso solo immaginare cosa sia stato viverci quaranta, cinquanta, settant’anni fa, e so che è uno sforzo indispensabile per decifrare anche i minimi comportamenti. Però poi c’è tutta la Russia di oggi, tutto il futuro che la aspetta, e so che io potrò esserci, potrò partecipare, potrò raccontarlo quando sarò vecchio, e questo mi riempie di orgoglio. Vedere cosa diventano oggi le piazze, in Russia, come si muove la gente, come vive, cosa si può avere dalla Russia e cosa, invece, ci sorprende. Tornerò presto a Roma, e sarà bello così. Ma so già che seduto sui gradini di fronte al Pantheon,sotto un pesco di via Nomentana o su una poltrona di un teatro romano, guarderò la città della mia vita con un azzurro un po’ diverso negli occhi.