Ricevo da Francesca, 21 anni, e pubblico volentieri

Inizia uno dei primi tirocini professionalizzanti col camice. Si tratta di quelle occasioni in cui i propri sogni , spesso sotterrati con notti insonni, schemi, dispense e arrabbiature, riprendono aria, tornano a  galla, si riscoprono e ti danno la conferma vera di esserci ancora . E’ un momento catartico, quella famosa unione tra teoria e pratica,  un pubblico incontro con se stessi , le proprie ambizioni e a volte anche i propri limiti. “Buongiorno signorina” è la frase con cui inizio di solito la mia giornata. “Buongiorno dottore” è la frase che si sente pronunciare il mio collega di corso, altrettanto  non laureato. Stesso camice, stesso sorriso beffardo, stesso sonno mal camuffato per la brutta alzataccia. Siamo insieme nello stesso ambulatorio ed è a volte chi entra saluta lui e lascia un rapido bozzo di saluto a me, di volata,uscendo. Parlo di normalissimi pazienti, per la verità, la maggior parte delle volte piuttosto attempati. Entrano, vedono me e lui  insieme ed  un istinto primordiale gli suggerisce che quel ragazzo deve essere il medico ed io per forza un aiuto, un supporto, un qualcosa di indefinito che lo aiuta nel suo lavoro. Il fattore età per valutare la mia possibile qualifica professionale viene messo in gioco: è una ragazza, sarà troppo giovane per avere già un’etichetta. Quello del mio collega no. Lui lì dentro è quasi sicuramente già un medico, anche senza cartellino identificativo. Il fatto di avere un’aiutante donna in qualche modo suggella la loro identificazione: non può che trattarsi di un mio superiore.  Il loro istinto primordiale è un carattere costitutivo, di cui loro si fanno espliciti portatori inconsapevoli ma che investe a tutti i livelli la società odierna. Ed i loro atteggiamenti cosi naturali e spontanei, danno il termometro della profondità della convinzione ed anche insieme della bonaria ingenuità, con la quale ci si appresta a darne manifesta dimostrazione. Nessuna di quelle frasi di saluto o di quei sguardi identificativi era fatto con l’ implicita volontà di mancarmi di rispetto o di darne di più al mio collega: erano atti naturali, conseguenti a questo germe che si insinua nelle menti e che si radica talmente a fondo, da non riuscire neanche a mostrare le appendici su cui fare forza per tirarlo fuori. E’ lì, in tacito accordo con il resto della materia grigia. Potrei ritornare ai classici esempi di modelli di donna presentati nel mondo televisivo per cercarne di dare una giustificazione. Ma per una volta mi piacerebbe indagare più a fondo ed arrivare a tutti quei  “le bambine non si toccano neanche con un fiore” propinati li, alla stregua di un “mangia che si fredda” in abbondanza, ai maschietti già dall’asilo, da non so quante generazioni. Dai dati sul femminicidio in Italia nell’ultimo anno, direi che questi futuri adulti siano colpiti da qualche deficit dell’udito o che forse qualcosa nella trasmissione del messaggio non funziona. Ed infatti c’è qualcosa che non funziona. E’ sottovalutata la potenza che certi messaggi dati già dalla tenera età possano produrre nella vita che sarà poi in seguito. C’è un’epoca in cui la materia grigia di cui sopra è splendidamente plastica, modellabile, pronta ad accogliere di tutto. E se si riuscisse a mettere allora una protezione, per cui quei germi primordiali  non si infiltrassero potenti e crescessero con noi fino all’età pensionabile,parte del problema troverebbe una sua soluzione. Parte della comunicazione carente è amputabile al fatto che certi messaggi, vengono forniti senza nessuna particolare cura ed attenzione, senza essere seguiti nel tempo nei loro risultati, senza riuscirne a dimostrare pratica applicazione, senza nessuna enfasi. Passano all’orecchio , insieme a qualsiasi altra cosa, come una litania  indistinguibile rispetto ad un qualsiasi altro richiamo alla bellezza  del bambino o all’ordine nella sua camera da letto. E la colpa in questo caso  non è di chi riceve. I termini su cui ragionare di questi aspetti non devono essere di maggiore o di minore, ma di paragone, di razionale parallelismo congenito e strutturale. Senza avere paura ed in modo franco ed aperto, già da subito. La “bambina che non va toccata neanche con un fiore” non è un modello più condivisibile. Nessuno dei tuoi compagni va toccato con niente, siano essi maschi, siano essi femmine. I divieti basati sul nulla, forniscono dei messaggi sbagliati, ci fanno intendere che ci sia qualcosa di non specificato nelle bambine che le rende in pericolo dal punto di vista fisico,rispetto a te.  Ma rimane misterioso, taciuto, non detto. E quello che non viene spiegato,prende poi i significati che la propria testa e le proprie esperienze vogliono dargli. Si forse, quel qualcosa c’è, ed è imposto dalla propria costituzione. Le differenze tra maschi e femmine non vanno quindi presentate nell’ottica di un divieto, di un rimbrotto magari successivo a un pizzicotto rifilato alla compagna di asilo: sono invece un capitolo importante della formazione di un bambino e meritano la considerazione e il rispetto che viene assegnato alla riconoscenza dei propri genitori o di se stesso.  Il “modello della bambina e dei fiori” non è condivisibile neanche perché è rivolto unicamente al bambino maschio. E qui veniamo al secondo grande deficit nella comunicazione. Il problema della diversità fisica tra maschi e femmine non è appannaggio esclusivo della cultura maschile. La bambina che nasce femmina ha tutto il diritto di essere informata con la stessa responsabilità e la stessa scrupolosità del suo compagno maschio su ciò che l’accumuna e su quello che invece la Natura ha pensato in maniera diversa per lei.  Niente gare, posizioni maggiori o minori, solo conoscenza ed informazione. Il problema non è unicamente delle donne, come non è unicamente dei maschi: semplicemente non esiste un problema, ma si tratta di una semplice accettazione di differenze costitutive. Accettazione che deve passare prima per un’ informazione corretta e monitorata che renda possibile che entrambi collaborino attivamente  per dare modo alle differenze di uscire, vivere alla luce del sole, proliferare , maturare nelle esperienze vissute insieme. Ed ecco come il sedere pronunciato delle donne sia da non ridicolizzare in Tv: perché allo stesso modo appare insensato deridere la barba incolta di un uomo. E non va smesso di ridicola rizzare in Televisione” poiché trattandosi di un mezzo potente poi ci contagia tutti”. Il processo è inverso, in Tv finisce il  prodotto che funziona. E la donna statua, la valletta muta, il nudo ostentato non devono più essere considerati prodotti di cui il telespettatore beneficia. La logica della prostituzione intellettuale per cui io ti guardo il programma e tu mi delizi con due belle paia di tette deve essere disinnescata: e si deve partire dalla mente del consumatore. Quello non è un prodotto che funziona, è ciò che distingue una lei da un lui. Tutelata la soglia della consapevolezza radicata, poi il libero arbitrio e le sue conseguenze esulano dalle responsabilità sociali ed invadono quelle personali ed a volte penali. Il problema della Tv ed in generale dei mass media è che alimentano, infondendolo di certezze, quel gap di disinformazione che aleggia attorno al bipolarismo maschio-femmina lasciato alla propria individualità già dalla più tenera infanzia. Ed ecco che il germe cresce, si radica, si rintana nutrito di tutto ciò che gli è necessario e trovandolo non ha neanche motivi per liberarsi di chi ha colpito.  Poi un bel giorno, te lo trovi al tirocinio, e lo tocchi con mano: anzi lo saluti, lo visiti, lo informi, lo guardi. Non è neanche troppo temibile, è solo cristallino ed infrangibile e troppo presente. Finisce che passi oltre,d’altronde gli altri non se ne sono neanche accorti. “Arrivederci signorina”.

Arrivederci anche a lei, in fondo ha ragione, non sono neanche laureata.