Ecco una bella LETTERA da BARCELLONA dalla ns corrispondente Giusi Garigali.
Grazie Giusi perchè il tuo articolo è pieno di spunti di riflessione.

Premessa fondamentale: questo post non ha la pretesa di esprimere alcuna valutazione sul Movimento 5 stelle, anche perché la situazione è in costante evoluzione. È solo un microtentativo di cogliere qualche analogia fra Italia e Spagna, tanto in relazione all’insipienza della classe politica di entrambi i paesi così come al conseguente scetticismo che pervade l’opinione pubblica.

Nel maggio del 2011 Marina Terragni mi chiese di raccontare, dalle pagine del suo Blog, cosa stesse accadendo in Spagna. Era appena esploso il movimento del 15M e in Italia c’era molta curiosità: si voleva capire e sapere.

Conservo un grato ricordo di quei due mesi in cui scrissi varie cronache da Barcellona, testimone diretta di assemblee, manifestazioni e occupazioni che si susseguivano incessantemente.

In questi giorni di vicende post-elettorali per l’Italia me ne son venuti in mente soprattutto due, di cui vi lascio i link di seguito, nel caso foste interessati a leggerli.

http://blog.iodonna.it/marina-terragni/2011/06/23/unassemblea-a-vila-de-gracia/

http://blog.iodonna.it/marina-terragni/2011/05/30/in-piazza-e-in-rete/

Quando scrissi questi post mi sentii particolarmente orgogliosa del lavoro svolto, perché mi sembrò di avere davvero colto il punto della critica mossa dagli Indignados al sistema e, in particolare, quale fosse l’intrinseca novità che gli permetteva di guadagnare sempre più popolarità fra la gente comune, mentre sui giornali italiani si leggevano solo cumuli di banalità al riguardo (così come ultimamente, in Italia, solo pochi giornalisti hanno avuto l’umiltà di provare a capire come mai un “comico” sia riuscito a catalizzare i voti del 26% degli elettori, senza pre-giudizi e senza scadere nella ridicolizzazione dei neo-eletti a 5 stelle).

Mi sono soprattutto ricordata di quei due post perché in essi denunciavo come una delle ragioni di discredito e di stallo delle democrazie avanzate (almeno in Spagna e Italia) si potesse individuare nella mancanza di comunicazione e nella distanza sempre maggiore tra cittadini e istituzioni e tra cittadini e classe politica. Nell’incapacità dei “politici di professione” – molto spesso solo funzionari di partito – di comprendere la rabbia, la frustrazione, le necessità e le difficoltà della gente semplice ma reale, che oltretutto proprio in quel momento cominciava ad accusare le conseguenze di una pesante crisi economica già in stato avanzato. Almeno questo era, in primis, ciò che gli Indignados lamentavano.

Vi raccontavo come il cittadino comune esprimesse, con la su indignazione, una sfiducia crescente nei confronti del “palazzo” della politica e di come gli abitanti del medesimo fossero invece del tutto incapaci di ripensarsi, perché annebbiati dalle loro logiche ottuse di gestione e visione tradizionale del potere, sideralmente lontani dalla vita vera.

Ricordo poi come, proprio nei giorni dell’occupazione della Plaza de Cataluña di Barcellona, Beppe Grillo si trovasse qui per uno spettacolo e fosse andato a fare un giro in piazza per parlare con la gente. Lo accompagnavano alcuni amici miei. Mi spiacque molto non essere stata lì con loro, perché tra l’altro – da quanto mi riferirono –pare che Grillo sia davvero una persona semplice, cordiale ed affabile (a mio modo di vedere dettaglio non da poco se paragonato alla supponenza della maggior parte dei nostri politici). Quella stessa sera, infatti, avevo scelto di partecipare ad un atto assai più “tradizionale” organizzato dal PSC (Partito Socialista Catalano), cui presenziava il sindaco di Parigi Delanoë. Erano giorni di campagna elettorale qui in Spagna: da lì a poco si sarebbero celebrate le elezioni amministrative, in cui si sarebbe confermato l’aumento inarrestabile della disaffezione e addirittura del disprezzo degli spagnoli per la politica.

Molti, fra commentatori e politici, attribuirono immediatamente la colpa della retrocessione della sinistra agli Indignados, che, secondo loro, “criticavano e distruggevano in maniera superficiale e demagogica senza proporre alternative serie e praticabili”.

Come già dissi, si trattava di un’analisi estremamente limitata, allora in Spagna come adesso in Italia (anche da noi la sinistra – anche se non solo la sinistra – ha perso consensi fagocitati dal Movimento 5 stelle, che è stato prontamente criticato per velleitarismo, superficialità, semplicismo, eclettismo ideologico etc. etc. etc.).

A mio modo di vedere, infatti, più che merito di Grillo o degli Indignados è stato il demerito di Lorsignori a condannarli ad una sconfitta, poiché hanno stremato l’opinione pubblica, con la loro statica e anacronistica alterigia e con una maniera sempre più clientelistica, miope, autocentrata e fuori dal tempo di gestire e interpretare il potere, perlopiù incapace di autocritica. Credo invece che Beppe Grillo, abbia saputo mettersi in relazione con la gente comune (cosa che un tempo la sinistra era capace di fare: capire le difficoltà e i bisogni della gente). Ha saputo arrivare alle persone, toccando le corde giuste. E questo non può essere velocemente liquidato come “populismo” o demagogia. Penso che Grillo, a differenza dei tanti palloni gonfiati che usano la scorta persino per spingere il carrello all’Ikea, sia stato l’unico capace di stare con e in mezzo alla gente, di mettersi veramente in sintonia. Come mi raccontarono i miei amici; come fece quella sera di maggio del 2011 in una piazza Cataluña occupata, affollata da migliaia di persone. Il simbolico ha il suo peso, anche nelle faccende minute.

Da allora, qui in Spagna, le cose vanno di male in peggio, anche se non si è mai palesato all’orizzonte un Grillo capace di dar voce, in maniera più strutturata, al malcontento.

Fra gli Indignados già a suo tempo aveva prevalso il culto dell’orizzontalità, l’assenza quasi dogmatica di un leader, l’esaltazione della pratica della “democrazia diretta” e il movimento aveva dunque perso forza inabissandosi in tanti rivoli carsici.

Torneranno a farsi sentire gli Indignados? È molto probabile: infatti il malumore permane ed è molto, molto forte, alimentato anche dai numerosi casi di corruzione che ogni giorno assurgono agli onori della cronaca. Neanche la famiglia reale è rimasta indenne. Il genero del Re Juan Carlos, Iñaki Urdangarin, marito dell’Infanta Cristina, è al momento sotto processo per un caso di malversazione e traffico di influenze, e in molti vorrebbero che anche l’Infanta venisse indagata, perché convinti che non fosse estranea ai traffici orditi dal marito (non si parla di briciole, si parla di milioni di euro).

Tutto lascia presagire che il disagio tornerà a farsi sentire. La maggior parte delle questioni e delle richieste poste a suo tempo dagli Indignados non hanno, infatti, trovato risposte. Non mi sembra che i due partiti principali – Partido Popular e Partido Socialista – siano stati capaci di invertire la rotta. Anzi: la distanza fra partiti e persone comuni è sempre più grande, anche a causa, come dicevo, di casi di corruzione e finanziamenti illeciti che in maniera super partes colpiscono a destra e a sinistra.

Sul País del 6 di marzo http://politica.elpais.com/politica/2013/03/06/actualidad/1362567269_424019.html

leggiamo che secondo il CIS, (Centro de Investigación Sociológica), già a fine 2012 l’85,7% dei cittadini spagnoli riteneva la situazione politica generale in Spagna negativa o molto negativa, per il 93% uguale o peggiore di un anno prima e, secondo il 77,6%, non destinata a cambiare, almeno nell’anno successivo.

Il CIS sottolinea poi di nuovo la distanza fra i cittadini e la politica e l’erosione della fiducia nei rappresentanti eletti. Il 70% degli spagnoli ritiene che, nell’ultimo dibattito sullo stato della nazione, si siano trattati “poco” o “per nulla” i temi che realmente preoccupano la gente comune.

Vi lascio con un estratto del primo dei miei post linkati. Vi invito a leggerlo. Non cogliete infinite analogie con le istanze poste dal movimento 5 stelle e la sordità della nostra classe politica? Queste cose le scrivevo 2 anni fa.

Quello che gli indignati stanno chiedendo alla politica ufficiale è di tenere conto anche di loro in un modo diverso e di includerli nella vita politica, ascoltando. Questo è ciò che chiedono quando rinfacciano ai politici di non rappresentarli. Di qui il tentativo di dare vita a pratiche politiche diverse, tanto nel loro modo di stare in rete quanto di riunirsi. Di qui l’ossessione per l’orizzontalità del movimento, ribadita all’estremo, quasi fosse un mantra rassicurante, che ti protegge da quell’altra cosa orrenda, tipica della politica seconda, e cioè la verticalità, che allontana i rappresentanti dai cittadini. Da qui quella affermazione continua della prematurità di prendere decisioni, perché bisogna ascoltare la voce di tutti e le discussioni-fiume, di ore, per individuare solo poche parole-chiave che incarnino e NON interpretino in maniera definitiva, il malessere dei cittadini. Da qui il costante divenire del movimento.

Per alcuni, infatti, quello che è interessante è proprio il processo, non il suo fine ideologico, nel processo c’è già un significato rivoluzionario dirompente. Questo processo che ha liberato energie, che ha messo in comunicazione e in relazione alcune persone con delle altre, che ha fatto risorgere il “desiderio” e la “speranza” (qui chiamata ilusión, che significa desiderio che qualcosa succeda) di poterci finalmente essere, di contare e di poter contribuire a un cambiamento in prima persona. Non più anonimi individui atomizzati, preda di un ingranaggio individualista ma cittadini capaci di rivendicare un qualcos’altro che ti rende più umano.

Volevo fare un’intervista che mi è stata ripetutamente negata in nome dell’orizzontalità del movimento e dunque dell’assenza di portavoce ufficiali. Mi è stato quindi suggerito di partecipare all’assemblea. Finora ero stata in piazza, avevo letto gli striscioni, avevo preso con me i volantini, ma non mi ero tuffata per 3 ore in un’assemblea. Stare dentro l’assemblea mi ha fatto capire qual è la novità di questo movimento, quali sono i suoi tratti distintivi. Che, come vi ho già detto, non credo vadano ricercati in elaborazioni teorico-politiche mature, ma in questo modo diverso di affermare la volontà di stare dentro la storia, non più oggetti ma soggetti.

Uno vale uno o si tratta solo di utopia?

Giusi Garigali