Da oggi ospitiamo un nuovo corrispondente: Amedeo dalla Siberia.
Amedeo legge il blog da anni e mi è sembrato utile “utilizzarlo” come corrispondente.

Scelgo di pubblicare la sua lettera oggi, giorno di risultati elettorali, per significare che la vita deve andare avanti. In particolare quella dei e delle ventenni. Quindi AMEDEO benvenuto! E insisto nel consigliare di andare all’estero per apprendere, per capire, per verificare come si vive in altri Paesi. E poi tornare più forti.

Come iniziare un resoconto dalla Siberia? Per ogni microracconto sarebbero necessarie precisazioni, spiegazioni, contestualizzazioni a non finire. La Russia è un paese molto complesso, non ci sono paradigmi pronti per capirlo, le categorie saltano di continuo, e anche quando restano sono spesso puri stereotipi da cui è ormai tempo di muovere oltre. La Siberia lo è ancora di più, se possibile.

Per questo, ho deciso che almeno i primi racconti – ma qualcosa mi dice che continuerò con questo metodo – saranno pillole. E poi, su: quanto risultano pretenziosi i tentativi di far conoscere un luogo o una persona a 360 gradi? E quanto spesso falliscono? Preferisco dare a tutti/e voi la possibilità di seguire il mio percorso in Siberia, la mia Siberia. Prestarvi gli occhi per vedere qualcosa che ancora vi è sconosciuto.

 Prima di tutto: perché mai sono in Siberia, vi chiederete?

Sono un patito della lingua russa, fin dall’infanzia, e ora finalmente sto per laurearmi in lingua e letteratura russa alla magistrale. Io ed una mia collega siamo riusciti ad ottenere dalla nostra università (La Sapienza) una borsa di studio per trascorrere un semestre accademico in Russia. Mete possibili: Mosca o Irkutsk. Dopo una prima esitazione – il richiamo della capitale più schizofrenica del mondo si fa sentire, eccome – abbiamo optato per Irkutsk.

Ed eccoci qui, dunque, nella Siberia sud-orientale, a pochi chilometri dal confine con la Mongolia. Asia pura.

Come potrete immaginare, i miei resoconti saranno ben diversi da quelli di Livia da Berlino, Giusi da Barcellona, e le altre. Prima ragione: la loro partenza è stata spesso dettata da motivi lavorativi che, intuisco, le ha spinte ad emigrare nella speranza di migliorare la propria situazione di paralisi italiana. Inoltre, aspetto da non sottovalutare, io non sono emigrato, sono all’estero solo per metà anno. Questo mi garantisce indubbi vantaggi, ma forse non sarà meno interessante conoscere il mio punto di vista sull’Italia da fuori e viceversa.
Già qui c’è una parentesi da aprire. Quanto sono messe male le università pubbliche italiane? In facoltà incontro parecchi ragazzi e ragazze straniere che vengono qui per formarsi. Chi è qui da un anno, chi da due o tre, chi resterà un anno o anche più, in ogni caso tutti ricevono qualche soldo dalla propria università, oppure rientrano in specifici programmi di internazionalizzazione, di scambio. Noi, da Roma, un importante centro della slavistica, siamo qui per una borsa di studio. Vinta! Che è pari a 0. Nemmeno un soldo. Nemmeno le spese di viaggio. “La Sapienza non ha soldi, ragazzi. Quindi: se volete andate pure, io vi appoggio, ma pagatevela da soli”, ci disse la prof. Così abbiamo fatto. Grande soddisfazione, certo, ma che desolazione!

Detto questo, basta con le lamentele, questa terra ha troppo da dire per soffermarsi troppo a lungo sui problemi patri.

Tanto per cominciare: la natura.

Forse saprete già che Irkutsk si trova a pochi chilometri dal lago Bajkal, uno dei laghi più grandi e profondi del mondo, un’autentica meraviglia. Non vi dirò che camminarci sopra in dieci, tutti caricati su una maršrtuka (mezzo di trasporto che va per la maggiore, una specie di furgoncino adibito ad autobus pubblico), quando è ancora ghiacciato è sensazionale, che scendere e farsi qualche chilometro a piedi sulla sua superficie così trasparente da vedere il fondo è incantevole, che se scali le enormi rocce che ti si piantano davanti ti ritrovi su alture arricchite da tessuti buriat legati ad alberi a mo’ di stendardo, simboli sciamanici per segnalare che quei luoghi irraggiungibili sono stati esplorati. Tutto questo non ve lo dico perché praticamente ve l’ho già detto, e perché queste potrebbero sembrare informazione turistiche di una guida. Vi auguro soltanto di avere la fortuna di capitarci una volta nella vita, e di commuovermi, come è successo a me, che sognavo da quindici anni di starmene in mezzo alla neve, bianca, su un’altura, a guardare la Russia.

Una prima cosa che mi ha scioccato in viaggio per Ol’chon, località sul lago, importante centro dello sciamanesimo, è che la natura russa domina su tutto. Ha ragione la professoressa italiana che qui ha vissuto dieci anni: “I russi non ce la faranno mai. La natura sceglie per loro”. Seduto al mio posticino sul veicolo, se volevo guardare fuori dovevo grattare via il ghiaccio dal vetro con le unghie ogni cinque minuti, altrimenti veniva ricoperto. Cinque minuti. Gratto. Alberi. Cinque minuti. Gratto. Casette in legno. Cinque minuti. Gratto. Infinite distese di neve, che nell’immaginario di molti è la Russia. E allora ti rendi conto che se non gratti le cose le perdi, che contro quel ghiaccio, quel vento gelato che rischia di farti cadere le mani (a -35 lo pensi davvero) non puoi fare assolutamente e beatamente nulla. Te ne stai buono, zitto, e contempli, e lasci che tutto succeda.

Questo è un tratto tipico del popolo russo, in molti ancora ne parlano e scrivono. Fatalismo, lo chiamano. Io credo esista davvero ma, a differenza della tendenza generale, non lo farei risalire al periodo sovietico, è qualcosa di più: come scrive Nietzsche a tal proposito, “la grande ragione di questo fatalismo, che non sempre è il semplice coraggio di morire […] si fonda su una diminuzione del metabolismo, sul suo rallentamento, su una volontà di letargo […] Poiché ci si consumerebbe troppo presto, se si reagisse, non si reagisce più: la logica è questa.” I russi sono abituati a non rispettare necessariamente gli appuntamenti, a non aspettarsi che gli invitati arrivino (in tempo) alla festa, a non lanciarsi in imprese ritenute al di sopra delle proprie forze – e certamente, l’epoca sovietica ne è un ottimo esempio.

Prima di venire qui, un po’ da fesso forse, non avevo mai realizzato che le pellicce fossero animali. O meglio: sapevo che fossero fatte di pelo, niente di più. L’altra mattina, alle 8, buio pesto perché qui albeggia dopo le 9, ero sull’autobus, mi passa accanto una ragazza in pelliccia, con tanto di cappuccio “Ma ha addosso un orso!”, penso subito. E invece no: era la stessa pelliccia vista chissà quante volte in Italia, ma che solo qui ha acquistato un carattere quasi ancestrale. La persona indossa la pelle di un animale, e quasi diventa un animale! Un po’ Bjork, in pratica.

Incredibile, entusiasmante come i luoghi cambino la percezione dello stesso oggetto. Qui in Russia, ai miei occhi tutto acquista un’anima animalesca, naturale, primordiale.

E’ commovente, e un po’ pauroso.

Sulla gente dovrei scrivere pagine e pagine.

Qui il retaggio sovietico è più forte che nelle capitali, per certi versi: lo si nota dai mezzi pubblici, dall’abbigliamento, dal cibo, dalle insegne. Meno commercio che a Mosca, chiaramente, e questo vuol dire meno soldi e quindi meno cambiamento. Non necessariamente è un male, anzi.

La gente riflette la stessa ambivalenza del luogo.

Composta, ordinata, tesa ad una meta precisa se per strada, stravaccata se in pausa, pensa poco all’estetica – l’importante è stare caldi – ma nessuna donna sotto i 40 rinuncia al supertacco con calza ricamata: un diktat. Seria, serissima, se non c’è motivo non sorride, i sorrisi non si regalano senza ragione, ma basta che tu sorrida, faccia una battuta, la includa, provi a scherzare, e vedrai che molti ti apriranno uno splendido sorriso – i duri incalliti ci sono eccome! Insomma, una terra incantevole.La città non è altro che un villaggio in piena taiga che solo adesso si sta trasformando in città: quindi su un lato della strada hai palazzoni sovietici, accanto una chiesetta del ‘700, sull’altro lato hai un quartiere di casette in legno, per metà sprofondate nel terreno ma agibilissime. E tutto insieme ti turba, quasi.

Ora sapete chi sono, dove sono, perché sono qui. Spero di aggiornarvi presto, ho molti aspetti della cultura russa da portare a dibattito. Sono in ascolto delle vostre domande e curiosità.

Amedeo