questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano

La notizia è ormai nota. Durante il convegno del 7 febbraio organizzato dal Pd “Le parole dell’Italia giusta” una giovane precaria si è alzata per denunciare una forma di nepotismo: pare che la figlia di Pietro Ichino sia stata assunta da Mondadori mentre molti altri suoi coetanei sopravvivono nel precariato.

Ciò che ha stupito me e molti altri è  avere letto come il segretario del Pd Bersani si sia avvicinato alla giovane per abbracciarla, in segno parrebbe di solidarietà.

Anni fa tornai in Italia dopo avere vissuto all’estero lavorando per grandi organizzazioni internazionali. Ciò che mi stupii da subito fu il modo disinvolto con cui molte persone che avvicinavo nel lavoro o nel tempo libero, dichiaravano il loro avere ottenuto una posizione di lavoro o una consulenza attraverso “conoscenze”. Il fatto mi lasciava sbalordita perché il mio sistema di riferimento valoriale mi imponeva di  essere orgogliosa per essere riuscita ad ottenere posizioni ambite solo attraverso la mia capacità, insomma avanzare per merito che sta alla base di ogni organizzazione di successo.

L’avere conoscenze pareva essere determinante per avanzare in campo lavorativo e politico, mentre io ricordavo che durante i miei primi anni lavorativi a Milano la preparazione e la determinazione erano doti indispensabili.
Cosa era accaduto mi chiedevo mentre vivevo fuori dall’Italia? e ricordavo la profezia di Sciascia per cui sarebbe stato il Sud ad esportare il familismo al Nord.

Mi stupiva anche l’assenza totale di vergogna, cioè il potere dichiarare in assoluta rilassatezza che quella data consulenza si poteva ottenere perché “mio padre siede in quel consiglio di amministrazione” o “mio zio è docente in quell’università”. Notavo come l’orgoglio per le proprie capacità e meriti fosse stato sostituito dal vanto per le proprie importanti conoscenze: un vezzo barocco e anacronistico, un segno evidente di arretratezza che ci tiene distanti anni luce da altri Paesi.

In questi anni ho verificato come il familismo amorale sia la piaga più devastante del Paese. Non solo perché selezionare  i candidati per conoscenza e non per merito riduce le possibilità di usufruire delle eccellenze presenti nel Paese, ma ancor più perché questa pratica oscena ha reso impotente e depressa più di una generazione. Con dolore immenso ho ascoltato decine di ragazze e ragazzi confidarmi che no, “quella posizione non sarà per me perché hanno preferito il figlio di, il nipote di, la sorella di.”
Contro il nepotismo non ci sono armi di competenza, e gli effetti sono l’esatto contrario dell’empowerment: un depotenziamento che ammazza l’iniziativa e ci rende impotenti. E  come scrivo nel mio libro “Senza Chiedere il Permesso” , la mobilità verso l’alto oggi, non essendo più trainata dalla cultura e dal merito, è tornata a essere sostituita dal sistema di selezione per nascita e per censo e l’unica variante rispetto a qualche decennio fa è che ora chi beneficia di questi privilegi ama talvolta  definirsi “di sinistra”.

Nei quotidiani, nelle redazioni tv, all’interno delle università e fondazioni, e sì anche nelle liste dei candidati al Parlamento i criteri di selezione rispondono solo occasionalmente all’unico criterio che dovrebbe valere: il merito appunto. Concetto talmente inusuale da noi, che quando si domanda perché sia stato scelto quel tal candidato che non ha le caratteristiche adatte a ricoprire una certa posizione le risposte suonano spesso incredibilmente idiote: “Ma però è una brava persona”; “Ma non ha mai fatto niente di male”; fino a “Però se la caverà se si impegna” . Insomma tutte scuse di poco conto che nulla hanno a che fare  con il merito appunto.

E dunque come dobbiamo leggere il gesto di solidarietà che il segretario del Pd ha espresso verso la giovane precaria? Significa che da ora in poi, e dunque già con le prossime elezioni e la moltitudine di nomine che seguiranno, il merito sarà l’unico criterio di selezione?
Caro segretario ce lo garantisce? I ragazzi e le ragazze italiani lo apprezzerebbero ancor più di un abbraccio.