“Ho cominciato a fare teatro a 18 anni e il teatro me lo immaginavo esattamente così: sempre tutto esaurito, il pubblico con un’eccitazione tale da dover usare sempre le transenne, prezzi popolari, ogni genere di persona: intellettuali, studenti, parrucchiere, professori, bambini, casalinghe. Mi immaginavo che ogni sera avrei partecipato a un rito civile e  che guardandoci in faccia, attori e spettatori, avremmo parlato di quello che vedevamo intorno a noi. E pensavo che il fatto di essere vivi, in scena e in platea, vivi, nello stesso momento, fosse un motivo irresistibile per andare a teatro e non altrove, se volevi capire il mondo… Shakespeare era nazional popolare. A vederlo ci andavano gli ubriachi, la regina, i contadini, i nobili. Pagavano un penny ed era fatta. Parlava a tutti ma non era banale. Parlava a tutti ed era poetico, emozionante, divertente. Umano…”
Serena Sinigaglia

Cosa è diventata la cultura di massa dai primi “Lascia o raddoppia” al “Grande Fratello”? Nella società dello spettacolo globale e del liberismo senza più regole quale nesso esiste tra potere e cultura, quale rivoluzione antropologica ha saputo fare la tv dagli anni ’80 a oggi? Quali nuovi confini si aprono con il sistema digitale, internet, pay tv? Alcune di queste domande probabilmente trovano risposte evidenti, sotto gli occhi di tutti, ma tentare di analizzarle più a fondo, al di là delle scontate e francamente banali barriere ideologiche, può aiutare a fornire una proposta culturale alternativa e solida, altrettanto o meglio realmente nazional popolare. Serena Sinigaglia, insieme ad esperti di comunicazione e mass media, e con le parole di Antonio Gramsci, Mike Buongiorno, Antonio Ricci e Alfonso Signorini, ci racconterà ogni sera il senso profondo del “Nazional Popolare”, cercando di ritrovare una cultura che sia poetica, divertente, umana.