Ho scritto che quest’anno scriveremo meno, agiremo di più. Come abbiamo detto più volte: il web per informare, gli incontri sul territorio per cambiare il mondo. Quel che si può, ognuno di noi secondo le sue possibilità. A breve scriveremo cosa faremo e con che modalità. Ho desiderio di rapporti umani sinceri, di persone con cui volersi bene.
Ricevo molte mail di donne e ragazze che vogliono fare, agire. Ma spesso cominciare è difficile. Servono soldi, tempo organizzazione, essere in rete con le altre.

Aiutiamole. Aiutiamoci. Se avete esperienza, mettetela a disposizione. Anna ce lo chiede. E sapete? Io credo che alla merda che ci circonda noi si possa controproporre amore .

“Mi chiamo Anna ho 36 anni, una bimba di 2, un’altra in arrivo e un marito. E sono una donna, ovvero, sono un essere umano di genere femminile. Confesso che da molti anni sono stufa di sentirmi “donna”, come sono stufa di sentirmi “madre” e di sentirmi “moglie”, ma non per il significato intrinseco dei tre aggettivi, quanto per il senso di classificazione culturale che viene assegnato ad ognuna di queste parole.

Una “donna” deve comportarsi in una maniera o nell’altra, una “madre” lo stesso, una “moglie” parimenti.
Ed io? Io individuo dove sto? In quale di questi carnai? In tutti e tre, mi si dirà. Ma scusate tanto, se non ci voglio stare, se essere  una icona vivente mi scoccia…
Mi perdoni per la divagazione o per lo sfogo, ma ora vengo al punto. Leggo spesso, tempo permettendo, i suoi post. Mi sono piaciuti di più gli ultimi in cui si parla di Agire. Si parla di Progetti, di Fare. E ci tengo alle maiuscole per ognuna di queste parole. Perché sono parole difficili, l’italiano è una lingua buona per tutti i palati, e usando male queste parole si può rischiare di fare la stessa retorica degli ultimi vent’anni.

Agiamo. Sono d’accordo. E ci tengo a dire che comincerei da un Agire a favore di una cultura per gli esseri umani di genere femminile. Il lavoro che lei fa presso le scuole è senza dubbio importante, ma io vedo, nel contesto di provincia in cui vivo, che lezioni del genere prima che alle figlie andrebbero fatte alle madri. Spiace dirlo, ma nel terzo millennio le sacche di quella che un tempo si definiva “sottocultura” sono zeppe di donne che quando si ritrovano tra loro certo non stanno a discutere dei massimi sistemi, e per un deficit culturale spaventoso.

In un Paese come l’Italia non tutte le persone hanno accesso ad internet, e non tutti quelli che ce l’hanno sanno cosa farsene, oltre a caricare foto , condividere barzellette o frasi da cioccolatino su facebook. E questo vale anche per moltissime donne.

Si parla di Agire, ma non si può Agire solo nei grandi centri urbani, dove anche con il solo passa-parola donne che non hanno dimestichezza col web riescono a parlare tra loro del “corpo delle donne”, si deve Agire sul tutto il territorio nazionale, arrivando anche nei centri di provincia  in cui di questo non solo non si parla, ma non SI SA parlare, perché non si è sufficientemente a conoscenza del problema, né delle iniziative… e guardi che io vivo tra la provincia di Milano e quella di Pavia, non in chissà quale remota provincia nazionale.

A dirla tutta, ne conosco tante di donne che quando hanno visto la manifestazione del “se non ora quando” non l’hanno capita, che si sono chieste se fossero solo tutte donne contro Berlusconi, e quindi una specie di sciopero organizzato dai sindacati, e ne ho viste tante altre che l’hanno digerita come una qualsiasi notizia del tg vista tra una pappa e l’altra ai propri bambini.

L’Italia è fatta anche di persone meno istruite, o istruite male. E sono consapevole che chi ha avuto il privilegio e la fortuna di acquisire un maggior livello di istruzione e di consapevolezza debba mettersi a servizio di chi questa opportunità non l’ha avuta.

Ma come? Su un territorio di provincia che cosa posso fare io? Creare l’ennesima associazione culturale che sarà avvicinata solo da quella categoria di donne che hanno il tempo, l’auto (perché io vedo che non tutte le donne hanno la patente  o l’automobile per spostarsi…), che hanno qualcuno che le aiuti con i loro bambini, o un marito che si organizza la cena da sé? E cosa farebbe questa associazione? Gli incontri culturali (e noiosi) sul tema? E chi vi parteciperebbe? Allora si potrebbe andare in piazza e installare degli stand informativi? E come le convinco che non lo faccio per soldi o per farmi strada per le future elezioni comunali?

Sto pensando che forse l’unico modo per avvicinarle sia offrire servizi gratuiti per l’infanzia, di istruzione pedagogica perché molte di loro di fronte ai “normali” problemi dei bambini si sentono smarrite, e non sanno cosa fare, o di servizio psicologico perché molte di loro forse a volte ne avrebbero bisogno ma non hanno né il modo, né il tempo, né l’opportunità di prendersi cura di sé. Ma una cosa del genere, per quanto possa essere interessante e bella per me, costa, e non solo economicamente, ma a livello organizzativo. E poi cosa ne verrebbe fuori? Una specie di consultorio “pediatrico-psicologico”? E le mie donne? Quando e come riuscirei finalmente a parlare con loro e ad avvicinarle alla consapevolezza che avere oggi delle figlie femmine richiede un senso di responsabilità sociale in più, senza rischiare di essere additata come una specie di testimone di Geova in cerca di quattrini?

Le chiedo quindi un confronto, un consiglio. Lei, al posto mio, volendo Agire nel proprio piccolo territorio che cosa farebbe? Da dove inizierebbe? Sono convinta che si trovasse una giusta “formula” per consentire a donne istruite di organizzarsi e avvicinare altre donne nei piccoli territori di provincia, Agire sarebbe più efficace anche per la nostra povera e noiosissima Patria.”