Kiave: rap con le donne e contro la violenza

@Paolo
Scusami, che risposta è? Da quando chi pensa a cosa dire e soppesa le parole è un filosofo? Mi sembra doveroso che lo facciano tutt*, no? Non lo siamo neanche noi, eppure siamo qui a parlarne.

@Manuela
Credo che tu, con la frase “Il giudicare chi commette violenza contro le donne mi pare che sia il minimo”, esprima proprio ciò che io vorrei mettere in luce: io non ci tengo affatto a condannare gli uomini, non solo non mi interessa ma lo trovo addirittura un grosso danno.
Dovremmo condannare sì questi gravissimi reati, ma non CHI li commette, che forse, proprio se li commette, ha un estremo bisogno di aiuto. INtendo dire che, con l’immensa tristezza nel cuore, dovremmo sfruttare questi terribili episodi che ahimè ancora avvengono per capire cosa sono, da dove si originano e come fermarli. Bisogna, credo, scomporre in pezzi le dinamiche che spingono alcuni uomini ad agire con violenza, disinnescarli. Sbatterli dentro, offenderli, ricordare – a loro, ma ancora più a noi, i “buoni” – che sono “mostri”, non disinnesca nulla. Alimenta solo nuovo odio.

@Paolo e Marla

I vostri commenti mi lasciano un po’ scoraggiato, sinceramente.
Prima di tutto: ripeto che apprezzo molto lo sforzo del rapper, e sono d’accordo che questa canzone giri, giri il più possibile, la dobbiamo ascoltare, ci dobbiamo riflettere. Assolutamente sì.
Ho trovato coraggiosissimo mettere in loop “il termine esatto è femminicidio”, e sì, precisare che difendere le donne ripropone le stesse gabbie. Kiave è stato bravo, lo dico a gran voce.
Trovo, però, che sia prezioso anche per lui ricevere consigli, suggerimenti, riflessioni ulteriori nate proprio dal suo testo. Non lo sto screditando, sto soltanto migliorando.
Perché:
1. Paolo, mi dissocio completamente dal tuo discorso. L’importante non è dire qualcosa, ma dirla bene.
E non vedo perché un rapper non possa avere la stessa sensibilità di un intellettuale: è il canale che cambia, il genere della comunicazione, non la precisione o la raffinatezza. Quindi sì, anche da un rapper, bravo come lui, voglio precisione. Originalità? Tanto meglio.
2. Marla, cantare “meritate di marcire solo in una gabbia” ti sembra cercare un ago in un pagliaio? Credo invece che con tutte le buone intenzioni Kiave si sia fatto trascinare da un impeto forse pericoloso. Almeno, la punizione e lo sdegno non è ciò che io desidero per i femminicidi – ed avevo già precisato che non parlavo di tutti gli uomini, ma soltanto di loro.
Non ricerco la perfezione, ma un miglioramento continuo. Accontentarsi non aiuta.
Ma, a scanso di equivoci, ripeto: apprezzo molto il tentativo. E gliene sono grato.

@Paolo
Continuo a replicare che no: usare un linguaggio basso, popolare – anche nel senso di pop – non vuol dire parlare male, a vanvera, in modo sbavato o dozzinale.
E anche l’alternativa che proponi, il farsi curare, sì, è più preciso, ma non è neanche questo il tono che vorrei. NOn vorrei stigma, se ancora non fosse chiaro – e ancora: se un Galimberti, come dici tu, dicesse ad un femminicida “si faccia curare da uno psichiatra” sarebbe inquietante anziché no.
Infine, riguardo alla similitudine. Uno che va a vedere splatter si aspetta la violenza. Io che vado ad ascoltare un rapper che, si scrive, rivoluziona la comunicazione sul femminicidio, non mi aspetto che sia violento né stigmatizzante per definizione, non rientra nel suo ruolo. Se lo fa scade, a mio avviso.

@Marla
Ti capisco. Mi ci sono voluti anni prima di accettare che quello che andavo predicando, ovvero la punizione a tutti i costi, era vero perché di pancia, di cuore, ma non mi soddisfaceva, mi lasciavo abbattuto.
Io non avrei mai il coraggio di chiedere alla madre o al compagno/a di una donna uccisa: “Beh, mio caro/a, adesso chi ha bisogno di aiuto è l’uomo. Si faccia coraggio, su!”. Mi sentirei piccolo come una formica, e starei zitto.
Quello che, però, mi resta fisso in mente è che mi dispiace, ma non possiamo pensare sempre e soltanto a noi stessi, al ripararci noi dalle fatiche, al voler essere noi protetti, risarciti e con la giustizia che meritiamo. Non posso non fare un discorso sociale: il problema di un uomo che commette femminicidio non è soltanto di quel singolo uomo, ma dell’intera società. Tutti dobbiamo occuparcene, anche se non capita a noi. Anche se capita a noi.

Cosa c’è di male, mi chiedi? Credo che di male ci sia che i femminicidi non finiranno mai finché tapperemo i buchi, finché faremo marcire fuori dalla società chi li commette senza PRE-parare la società a relazioni nuove tra le persone.