C’è stato a Torino un importante evento”Culture Indigene di Pace: donne e uomini oltre il conflitto“. Purtoppo ero a Viterbo e non ho potuto esserci. Ho chiesto di inviare un report a chi fosse andato, e Emanuela Chiarini, amica lettrice del blog e blogger lei stessa, ci ha inviato questa sua importante riflessione. Badate che quanto accade qui sul blog è preziosissimo: quando chiedo aiuto/supporto, dalla rete arriva generosamente aiuto. Non è cosa da poco. E non è detto che non si possa renderla pratica comune. Grazie Emanuela.

Sabato 17 e domenica 18 marzo a Torino ho assistito e partecipato al convegno “Culture Indigene di Pace – donne e uomini oltre il conflitto” organizzato dall’Associazione Laima e patrocinato dal Comune di Torino e dalla Commissione regionale Pari Opportunità. Partecipato come tutte le tantissime persone presenti, perché è stata un’esperienza che ha unito con efficacia la teoria con il praticare.
L’incredibile lavoro delle organizzatrici, traduttrici e traduttore e tutti gli individui che hanno reso possibile l’evento merita un grande ringraziamento per aver strutturato una tre giorni intensa e profonda, con tempi ben studiati e precisi, costi per la partecipazione accessibili, organizzando vitto e alloggio in una accogliente e ben attrezzata struttura. Un evento che ha indagato con attenzione i molteplici aspetti che il tema suggeriva.
L’introduzione di Morena Luciani, Sarah Perini e Luciana Percovich ha inoltre sottolineato proprio quella relazione tra le generazioni che rende possibile unire esperienza, conoscenza e passione che tutte ci auspichiamo già da tempo. Il risultato è stato grandioso e destabilizzante, come bene ci ha augurato Luciana più volte durante il convegno.
In questi giorni nei quali la violenza di genere pare non avere tregua e mette in risalto le problematiche di relazione tra i generi è stato confortante scoprire che questa nostra realtà violenta e prevaricatrice è da considerarsi un’anomalia inutile nella relazione umana, anomalia che trova origine a mio avviso non nella colpa di qualche individuo ma nell’aver fondato una gestione basata su una conoscenza superficiale delle tematiche della vita, per questo profondamente inefficace. Superficialità che genera dolore e decadimento in tutte le sue espressioni siano esse familiari, economiche, sociali, spirituali, politiche, superficialità alla quale occorrerà presto porre rimedio.
Il tema fulcro del convegno è stato il racconto di come una struttura sociale basata sul matriarcato consenta realmente una convivenza in pace ed equilibrio. Matriarcato (userò questo unico termine per comodità narrativa) dove il significato di “arché” temine greco del quale è composta la parola, assume il valore non di “dominio della madre” (come accade nel patriarcato, mancante per natura dell’altro significato di arché), ma di inizio, principio: inizio dalla madre.
Il concetto di materno (non solo di madre come donna ma appunto come concetto naturale di inizio) risulta la base e la spinta di ogni attività delle comunità indagate, materno che si sviluppa in ambito economico (economia del dono), sociale, politico e culturale-spirituale. Nessuna supremazia di un genere sull’altro, nessun dominio di una classe sull’altra, nessun possesso finalizzato all’accumulo, nessuna violenza.
Alla domanda alle due donne Moso (arrivate dalla Cina con non poche difficoltà burocratiche) riguardo la violenza sulle donne la traduttrice si è fermata dicendo che ne erano venute a conoscenza in quei giorni per la prima volta, lei stessa aveva rivolto quella domanda. E’ risultato inutile indagare oltre.
Il convegno ha narrato come si svolge la vita in tre popolazioni che vivono in parti diverse del mondo: i Moso in Cina, I KhoeSan antichissima popolazione nell’Africa del Sud che rivendicano la loro tradizione in moltissime popolazioni sparse sulla maggior parte del continente africano precoloniale (e pre-patriarcale) e i Minangkabau in Insonesia (popolo che conta circa 4 milioni di abitanti nella parte ovest di Sumatra e altrettanti distribuiti nel resto del Paese). Ma l’elenco delle popolazioni indigene che basano la loro struttura sociale su questi concetti è molto più vasto di quel che si possa immaginare.
Così vivono le popolazioni che pongono al centro la madre, come inizio e fulcro della vita: i suoi figli e le sue figlie vivono nella sua casa, lavorano e i frutti del loro lavoro vengono portati alla madre che li ridistribuisce in modo che ciascuno riceva ciò di cui necessita (i beni come patrimonio comune), crescono insieme i figli delle donne, non esiste l’istituzione del matrimonio (eccetto presso i Minangkabau dove il marito vive a casa della moglie e della famiglia di lei e dalla quale viene allontanato in caso di violenza o maltrattamenti), ciascun individuo ha la libertà di scegliere il/la proprio/a partner, gode di assoluta libertà sessuale, può scegliere e decidere se concepire figli sapendo che comunque avrà modo di sperimentare cura e genitorialità con i bambini presenti nella casa di sua madre, non esiste possesso e gelosia (sentimento quando presente giudicato severamente per la sua gravità), gli uomini non hanno alcun dovere economico e morale verso i propri figli e la loro madre (figli che crescono nella casa di quest’ultima) e sperimentano efficacemente la paternità con i figli delle sorelle seppur non gli sia negato il contatto con i propri ma il pensiero che tutti i bambini e le bambine siano ugualmente “amabili” annulla inutili rivendicazioni.
Il concetto di cura pervade tutti i membri della comunità, donne e uomini. Nessuna donna tra i Moso ad esempio, pensa che la relazione amorosa sia qualcosa per la quale limitare o cambiare scelte e decisioni che riguardano la propria esistenza. Nessun individuo rimane solo o isolato ad affrontare le proprie difficoltà. Ognuno ha ruoli utili alla comunità e in nessun caso all’interno di questa società gli uomini si sentono lesi nella propria dignità o virilità.
Le decisioni vengono prese dalla famiglia (o clan) insieme, ciascuno esprime la propria opinione collaborando alla decisione e le parole degli anziani (soprattutto le madri anziane) hanno un peso importante nelle decisioni. Parlano e decidono tutte e tutti insieme di tutti i problemi della vita. La democrazia dal basso è reale e praticata efficacemente: tra i KhoeSan ad esempio, all’interno dei villaggi o province si fanno delle consultazioni con rappresentanti eletti dai clan che non hanno mai funzione decisionale (delega) ma solo comunicativa, nessuno è né si sente autorizzato a decidere senza aver consultato gli/le altri/e. I conflitti vengono affrontati con il solo fine di risoluzione del conflitto stesso, la guerra o la violenza non sono mai prese in considerazione, se non c’è accordo si celebrano riti per propiziarlo e se proprio in caso estremo non si arriva a decisione condivisa avviene una separazione, ad esempio tra due clan del villaggio uno dei due lascerà il villaggio. Tutte le tematiche sono permeate da un grande rispetto per la vita e simbiosi con la natura che è sacra, la spiritualità è fortemente presente in tutte le tematiche della vita e si sviluppa su un concetto di immanenza, seppur convivano religioni come il buddismo o l’islam. La pace è il valore supremo.
Il percorso del convegno è stato ben articolato con moltissime tematiche e sul sito www.associazionelaima.it potete trovare tutti gli argomenti affrontati e i nomi di relatrici e relatori internazionali che sono intervetute/i presenziando o in videoconferenza portando le loro ricerche e il loro vastissimo lavoro, hanno condotto workshop, mostrato documentari (interessante e ben fatto “Matriarchè” di Monica Di Bernardo e Francesca Colombini, regia di Aldo Silvestri ultimato per l’occasione e del quale spero sarà presto disponibile il trailler in rete). Sarà molto probabilmente anche caricata, sempre sul sito dell’Associazione Laima, la registrazione audio dell’intero convegno.
Certa di avervi dato solo una vaghissima idea delle tante riflessioni che l’esperienza è stata in grado di far nascere vorrei aggiungere il mio invito a indagare la tematica sulla quale esistono numerosissimi lavori, ricerche, libri. Segnalo anche il sito www.matriarchive.info della Biblioteca del Cantone San Gallo (Svizzera) con 1700 volumi sul tema, nata in seguito ai primi tre convegni internazionali sul matriarcato (Lussemburgo 2003, Texas 2005 , Svizzera 2011).
Mi rimangono nell’animo l’infinità di energie umane, i colori, i profumi, il gong e il sorriso vibrante di Monica Laura Smith che ci richiamavano dopo le pause e la qualità delle relazioni intessute in questa circostanza, oltre la speranza di poter dar seguito all’idea sempre più diffusa che forse non occorre (o sia possibile) buttare via proprio tutto di ciò che ci circonda, ma comprendere bene il potenziale pacifico umano questo si, credo sia davvero molto importante e urgente.
E forse davvero è poco efficace tutto il nostro lavoro se non si riesce a riconoscere e far riconoscere che tutto inizia da una madre, ridare rispetto a questa innegabile verità, “rimatrizzare l’amore” come è stato proposto dalle due meravigliose donne KhoeSan, restituire assertività al femminile e accoglienza al maschile, convincere noi stesse/i per prime/i che fidarci del nostro sentire riappropriandoci dell’autorevolezza riguardo le nostre scelte è il passo fondamentale per credere che si, un altro mondo è possibile, anzi… esiste già!
Dalla video intervista a Russel Means, nativo americano Lakota:

“L’uomo bianco arriva dalle sue città, dove è stato mutilato

da una società fondata sulla paura, perché c’è il patriarcato.

Una società matriarcale non è quella in cui le donne “comandano”.

Le donne non comandano in natura. C’è un equilibrio femminile-maschile, c’è un equilibrio femminile-maschile nell’universo C’è un equilibrio femminile-maschile in tutta la vita.