Ricevo e pubblico con grande piacere questo articolo che ci invia la Prof. Chiara Volpato, università Milano Bicocca. E’ uscito di recente il suo libro “Deumanizzazione” ed. Laterza, di cui vi ho già parlato.

La strumentalizzazione del corpo femminile per usi politici ha raggiunto in questi giorni forme di estrema severità. In alcune città venete sono comparsi dei manifesti che mostrano, fianco a fianco, una donna dal prosperoso seno nudo, eretta a simbolo di un federalismo capace di promuovere il Veneto a stato autonomo, e una donna piegata dall’anoressia, simbolo, invece, dell’inconsistenza del finto federalismo romano-padano. Poco importa che i manifesti siano stati sconfessati dal Movimento Veneto Libero, sotto la cui sigla sono comparsi. Quello che conta è che con la loro affissione si è valicata un’ultima frontiera: l’oggettivazione dell’immagine femminile nella propaganda politica è stata spinta fino all’uso estremo della sofferenza finale, dato che l’immagine raffigurata pare essere quella di Isabelle Caro, morta qualche mese fa proprio di anoressia. Gli ideatori hanno così impiegato le immagini di una persona vittima di una sofferenza estrema, sulle soglie dell’agonia. La strumentalizzazione del corpo femminile è divenuta un atto di deumanizzazione estrema.

Altri segnali, di pari gravità, sono comparsi in questi giorni sulla scena politica a dirci che siamo di fronte a uno scenario di conflitto, che evoca la guerra civile. Ci riferiamo alle ripetute dichiarazioni del nostro premier che accusa i magistrati di essere un cancro della democrazia e a quelle di Daniela Santanché che ha paragonato Ilda Boccassini a una metastasi.

Il linguaggio biologizzante, basato su immagini di malattie, microbi, virus, bacilli, morbi, pestilenze, tumori, sporcizia, inquinamento, si è diffuso da quando, nell’epoca dei Lumi, la teoria dei germi ha sostituito il diavolo come metafora del pericolo. Tali immagini servono a evocare una minaccia che può essere affrontata solo con misure drastiche, come quelle poste in atto per affrontare emergenze ed epidemie, quindi attraverso misure di pulizia, eliminazione, estirpazione, disinfezione, purificazione. Metafore ispirate a tali temi sono puntualmente comparse nei peggiori scenari del Novecento, impiegate dai regimi totalitari di ogni ispirazione per delegittimare nemici e giustificare stermini. Come posto in luce da Susan Sontag, in Malattia come metafora, definire cancro un fenomeno costituisce un esplicito incitamento alla violenza.

Negli ultimi anni abbiamo assistito nel nostro paese al progressivo impiego di parole e immagini di inusitata ostilità e volgarità. Già nel 1995, Barbara Spinelli, in un articolo sulla Stampa dal titolo “La parola diventa coltello”, avvertiva che “una nuova sfacciataggine” si era affacciata nel panorama italiano. Da allora la situazione non ha fatto che peggiorare: abbiamo assistito a una lotta pervicace contro un linguaggio “politicamente corretto”, mai in realtà affermatosi nella nostra società. Come notato da Flavio Baroncelli in Viaggio al termine degli Stati Uniti, questa lotta è condotta in nome di un soggetto maschile, ferino, arcaico, che si autoproclama spontaneo, libero, capace di interpretare il mondo tramite il buonsenso dei padri e dei nonni. In realtà questo soggetto ha veicolato una visione misera e desolante del maschile e della sua sessualità. E’ questo stesso soggetto che oggi ha bisogno di urlare sempre più forte per coprire la sua impotenza. Ma questo urlo si è trasformato in un’arma che rischia di lacerare in modo irreparabile il nostro tessuto democratico. Credo che, di fronte a questa deriva, noi donne abbiamo il dovere di affermare con forza, in tutti i contesti, il nostro dissenso.

Chiara Volpato