Pubblichiamo il punto di vista sulla realtà dell’incredibile giornalista Sabina Ambrogi. Lasciatemelo dire: mala tempora currunt se una penna come la sua non trova decine di editori a contendersela.

RADICAL CHOCK
Alla riuscitissima  manifestazione si possono  dare molte letture. Il tratto comune è che abbiamo rappresentato la nostra capacità di provare vergogna. Un sentimento nobilissimo, e fondamentale che i greci chiamavano aidòs.
Sì, dunque, siamo capaci di provare vergogna e lo sappiamo dire. Proviamo vergogna e non siamo così malati.
Trascinati di forza dentro la parodia di una telenovela, ci siamo sentiti denudati, sommersi da un’ ondata di cafonaggine, di griffe, di patacche, di botulini, di italiano osceno nato dentro i format televisivi. Un sotto mondo di finta liberazione sessuale a imitazione di diversissimi anni’70  misto a  pruderie parrocchiale, con infermiere e poliziotte in giarrettiera. Ma chi esce a pezzi davvero sono gli uomini, le loro pulsioni plasmate su  donne-marketing, del diktat del godi subito senza desiderio, del sesso compulsivo di cocaine, viagra e cyber erezioni. Non  è mai emerso un quadro più mortifero e triste. E’ precisamente questo il disagio profondo. Il senso di morte che esce da tutta la sottocultura televisiva, quella apprezzata dal direttore Masi, per capirci.  E la piazza è stata una risposta di vita esplosiva. Le ragazze dell’ Olgettina aggiungono e confermano intuizioni:  disprezzano Berlusconi. Gli dicono che è vecchio, faccia di merda.  Nessuna ha detto: “che  bella notte ho passato” o “ è stato bellissimo”.  C’è un sentimento di  nausea e di disgusto diffuso che rende il protagonista una maschera tragica. Donne che non gioiscono ma contano soldi con la macchinetta  per avere roba.
La roba. E uomini vecchi che le pagano e le gestiscono, in un gioco di reciproco guadagno e ricatto. Dove vede Ferrara la vitalità  in tutto questo?
Le italiane non sono affatto indietro, tuttavia. Non lo sarebbero culturalmente, psicologicamente, né sessualmente. Ecco il paradosso. Sono un fiume di energia inutilizzata da cariatidi che gestiscono male il loro potere. Le italiane in piazza erano delle cittadine. Non  un’ audience. Una cittadinanza, complessa variegata, di ogni generazione, e questo iscrive la manifestazione in un discorso realmente democratico. Vincerà chi saprà parlare loro senza tradire e imbrogliare. Senza appendere cappelli. Che fosse contro Berlusconi o meno, o in quale misura  contro Berlusconi, non è davvero un dato di demerito né particolarmente rilevante. E’ invece grottesco che venga sollevato come punto critico. Di certo è lui che meglio approfitta dell’arretratezza di cui è artefice anziché impegnarsi a migliorarla.
Non solo. La televisione  di famiglia ha cementato ricchezza e audience elettorale attraverso le donne la cui identità è cancellata con la loro  stessa superflua e sovrabbondante presenza. E’ lui che ha trasformato  sollazzi privati in classe dirigente  pagata dalla collettività, è lui che ha inquinato orrendamente  il dibattito democratico che riguarda, appunto, l’accesso al lavoro delle donne, le loro carriere, la libertà del proprio corpo. E’ lui che agguanta voti con la “famiglia” che altro non è che la delega del welfare sulle
spalle delle donne. E malgrado l’evidenza, la logica, e i dati si arriva a punte di idiozia totale. Massimo Giletti a Domenica in, pensando forse alle adunate o alle “convenscion” ha contestato alla cantante Emma di essere andata a una “manifestazione faziosa”. Le manifestazioni sono contro qualcuno spesso, e per avere qualcosa che non c’è o che chi governa  vuole togliere. Ultimamente hanno un carattere in più: sono fuori dai media di massa. E più quelli e la politica corrono dietro e mettono  titoli,  più le manifestazioni nate nella rete e frutto della rete sfuggono alle analisi.
Le piazze del 13 hanno avuto anche un altro tratto che non si sta sottolineando  abbastanza. Sono state lo sbocco naturale di una
grandissima attività delle donne  che c’è sempre stata, soprattutto in questi ultimi anni. Ci sono moltissime associazioni, comitati, donne in rete, blogger, attiviste di ogni genere che hanno una loro vita intensissima. E lavorano sul tessuto sociale, enormemente. E quindi c’erano tante anime, a diverso titolo. Si sono fatti distinguo, alcune si sono dissociate da alcuni punti del manifesto del comitato “Se non ora quando”. Ma meglio così. La forza della  manifestazione, il suo erotismo esplosivo, la sua vitalità,  altro che Orgettine del Presidente, è stato così forte perché ognuna ha portato il suo impegno. Le sue idee, la sua storia. E perciò va sottolineata molto bene una cosa e chiarito un grande equivoco: qualcuno ha parlato del silenzio delle donne. C’è stato un silenzio sulle donne. Che è diverso.
E questa incapacità dei grandi quotidiani di opinione e dei media tutti di capire le italiane e di come e quanto sono diverse da come le descrivono ha  messo tutti nella solita carreggiata moralista.
Non parliamo neppure degli appelli su “il  silenzio delle donne” o “donne dove siete?”.
Stavamo tutte qua da tempo, tu?
Quello  in piazza era il motore del paese. Chi vuole raccogliere lo deve saper fare. Gli industriali per primi  che invocano cambiamenti non devono più investire in programmi tv che nulla hanno a che fare con le italiane e continuano a raccontare mondi che non appartengono alle donne ma a confusi direttori di marketing e confusissimi autori o guru di comunicazioni ossessionate. Sono quelle del 13 febbraio le vere consumatrici. Sono loro il progresso.
E una che per prima, per esempio potrebbe cercare di capire meglio è la direttrice del nuovo Velvet, inserto di Repubblica. Una tonnellata di pagine di pubblicità con modelle scheletriche  ovviamente carponi o a gambe aperte, perfino insaccate dentro degli scatoloni. Era questa la cornice  per giunta di confusi approfondimenti su confuso femminismo.  Fino a un articolo di Aspesi che si lamentava  delle immagini e di come trattano le donne, affogandoci dentro.
Quando Massimo Giannini spiega cosa sia la struttura delta di Berlusconi che “modifica l’immaginario”, deve sapere , in questo senso, che il suo giornale ne è un ottimo protagonista.
Ma da ora in poi, non si torna più  indietro.