Ieri notte l’hanno trovata, era vicino a casa, seppellita dalle pietre in fondo ad un pozzo; non c’entrava Facebook o una fuga d’amore. Più banalmente lo zio l’ha ammazzata, per il solito motivo: lui la voleva, lei no. Dunque l’ha strangolata.
Niente di nuovo. Ora inizierà il solito circo mediatico popolato da voyeur dall’interesse morboso. Mi vengono i brividi.

Sarah aveva 15 anni e in tutti questi giorni l’ho pensata con tenerezza infinita: ero certa fosse scappata per un desiderio adolescenziale irrefrenabile di avventura; ero certa sarebbe tornata.
A 15 anni, nonostante l’aspetto spesso adulto, si è ancora bambine, magari si fa già l’amore, però si disegnano i cuoricini sul diario, si promette fedeltà eterna all’amica del cuore, si tengono tanti pelouche sul letto. Come la piccola Noemi Letizia, resa mantide dal nostro immaginario malato e perverso.

C’è una questione maschile di cui è urgentissimo discutere. E proprio agli uomini che, come me oggi, si sentono affranti dalla morte di Sarah, chiedo di avviare una riflessione sul perché di tanta violenza e di tanta rabbia. La prima causa di morte per le donne sono le botte, botte che ci massacrano, pugni con cui vengono spaccati denti, ossa, organi interni.
Io non riesco ancora a capire perché di fronte ad un appello come questo la prima reazione degli uomini sia di rifiuto e difesa. Nessuno pensa, non io, che tutti gli uomini siano dei violenti. Ma quando i giornalisti stranieri mi chiedono “perché le donne italiane non reagiscono?” io, anziché rispondere sulla difensiva “Non è vero! Io reagisco”, rifletto sulle ragioni che ci conducono a una perniciosa passività. In sintesi “Mi riguarda”.

Non scrivo altro, non è oggi tempo di discussioni, almeno non per me.
Penso a Sarah, alla sua foto di ragazzina, a lei che si preparava ad andare al mare con la cuginetta. Perché l’hanno ammazzata è questione maschile di cui non mi farò più carico. Se potevamo proteggerla meglio, noi donne adulte, è invece una domanda che non mi abbandona.