Ecco la lettera scritta dalla giornalista Valeria Brigida a L’Unità e pubblicata il 4 settembre dal quotidiano. Valeria è stata tra i promotori del flash mob “Un libro per il Colonnello” durante la visita del tiranno libico in Italia.

Cara Nadia Urbinati,
la sua lettera, pubblicata lo scorso 2 settembre su L’Unità
(link), aumenta i pensieri che già da tempo affollavano la mia mente.
Faccio parte

della generazione che solitamente definisco “generazione delle giovani donne adulte”. Mi riferisco a quelle donne che oggi hanno più o meno 30 anni e che dieci anni fa facevano, come le chiama lei, “le stagiste” di fiera. Quelle donne che, invece, la generazione a cui appartengo chiama “promoter” o “hostess”. Dieci anni fa studiavo all’università e, per racimolare un po’ di soldi e non doverli chiedere ai miei genitori, facevo non solo la baby sitter ma anche la hostess per eventi culturali di teatro e concerti, e la promoter nei supermercati, vendendo prodotti gastronomici ai pensionati o alle casalinghe che venivano a fare la spesa. Lo facevo senza remore, con dignità. Dovevo solo essere gentile, accompagnare le persone in sala, prendere i loro cappotti, o regalare il gadget alla vecchina che convincevo a comprare due confezioni di latte in omaggio. Avevo una divisa da indossare ed ero pagata tra i 5 e i 10 euro l’ora.
Sono passati circa 10 anni. Oggi sono una giornalista, ho una laurea, due master, diversi corsi di specializzazione alle spalle e molte esperienze all’estero. Ma non ho neanche uno straccio di lavoro che mi consenta di ricevere tra i 5 e i 10 euro l’ora. Ogni tanto mi capita di collaborare. Ma sono briciole! E, a scanso di equivoci per chi ce l’ha con la “casta” dei giornalisti, quando scrivo “briciole” mi riferisco a 40 euro per un articolo pubblicato. Non vengo più presa per fare la hostess perché non ho più l’età. Né per fare la commessa o la cameriera perché, mi sento rispondere, è preferibile uno straniero o un non laureato con la motivazione che almeno non c’è pericolo che reclamino qualche diritto. Quando finiranno i soldi delle mie piccole collaborazioni mi ritroverò a fare quello che non facevo neanche a 20 anni: chiedere i soldi ai miei genitori. Perché io ancora ho dei genitori. E se un giorno non dovessero più esserci? “Fortunatamente” non ho figli da mantenere! E mentre scrivo “fortunatamente” sento che si disegna un ghigno ironico sul mio volto: perché anche io ho l’istinto di maternità, com’è naturale che sia alla mia età! Spesso affronto questi argomenti con molte altre “giovani donne adulte” che hanno il mio stesso problema. E, spesso, purtroppo, concludiamo con sarcasmo che sarebbe più redditizio se andassimo a fare le prostitute!
Eppure lo confesso. Anche io, quando ho visto quelle hostess per Gheddafi, ho provato sensazioni contrastanti: da un lato, infatti, ho pensato che ci trovassimo di fronte a una delle sfaccettature della crisi finanziaria che sta attraversando (anche) il nostro Paese. Dall’altro, tuttavia, mi sono chiesta se 70 euro al giorno per accogliere e ascoltare sorridendo un dittatore – perché è di questo che si tratta – non sia, in realtà, una svendita della propria persona. E allora mi chiedo: come è potuto accadere che in Italia si sia arrivati alla “svendita totale” non solo del proprio corpo ma anche e, soprattutto, della propria identità culturale e di genere? Alla stregua dei commercianti, anche noi italiani e italiane siamo nell’era della svendita totale per cessata attività culturale? Io non condivido la scelta di chi decide di prostituirsi con il proprio corpo. Né tantomeno voglio aprire un dibattito morale o antropologico su quello che viene definito “il mestiere più vecchio del mondo”. Perché già so che non porterebbe a nulla. Ma, certamente, sono contraria con tutta me stessa allo sfruttamento della prostituzione, alla riduzione in schiavitù. Allora la domanda che voglio porre è proprio questa: non pensa che quanto accaduto con le hostess di Gheddafi sia assimilabile, e forse anche più grave, allo sfruttamento della prostituzione? In questi giorni mi sono ritrovata a pensare a quelle ragazze come a un branco di “giovani donne adulte” intrappolate in modelli imposti da una cultura che sta regredendo, che sta addormentando le coscienze e che sta facendo scivolare nel dimenticatoio il ricordo delle battaglie delle nostre mamme e delle nostre nonne. Io non avrei mai accettato neanche per 5 euro l’ora di assecondare l’autocelebrazione di un dittatore, né tantomeno di un leader che si professa democratico. La sera del 31 agosto, davanti alla Caserma dei Carabinieri di Roma “Salvo D’acquisto”, io stringevo in mano due libri e, per quanto circondata da forze dell’ordine, mi preparavo a partecipare insieme ad altri uomini e donne al flash mob “Un libro per il Colonnello”. A chi mi chiedeva con quali libri avrei sfilato, rispondevo: “Sfilerò in un abito doubleface. Ho scelto un modello per tutte le stagioni!”. Nella mano destra stringevo il passato: “Una donna”, di Sibilla Aleramo. Nella mano sinistra stringevo il futuro, la battaglia che sono chiamata a compiere: “Il corpo delle donne”, di Lorella Zanardo.
Perché anche io sono un prodotto della crisi finanziaria globale. Ma come “giovane donna adulta” non ci sto alla mercificazione del mio corpo e della mia mente. Sento che questa è una battaglia e che nessuno potrà compiere al posto mio. Sento che devo alzarmi in piedi e rivendicare i miei diritti come donna, come madre, come lavoratrice. Spero solo che, insieme a me, si levino le voci di altre donne e, soprattutto, di altri uomini. Dei politici e dei semplici cittadini. Giovani, adulti, anziani che siano.