Da qualche settimana ospitiamo con piacere Sabina Ambrogi, giornalista brillante e graffiante critica televisiva. Ecco l’articolo apparso il 25 settembre su Il Manifesto.
Il mondo rovesciato dei talent ragazzini
Due programmi fotocopia Rai e Mediaset descrivono meglio di ogni altro quanto la parola futuro sia solo un titolo per comitati populisti. Si tratta rispettivamente di Ti lascio una canzone, Rai Uno, condotto da Antonella Clerici e Io canto, Canale Cinque, condotto da Gerry Scotti. Non si tratta di programmi televisivi pensati per bambini, ma si tratta di uno spettacolo per adulti di una certa età, che giudicano col televoto le esibizioni di bambini, mini proletari che servono gli ingranaggi di una macchina per industrie di merendine (per bambini obesi), per il profitto di editori, e ricchi conduttori che creano grandi monopoli. Ma il punto è davvero un altro. Quasi nessuno di quei bambini andrà da nessuna parte, perché lo spettacolo musicale in Italia si fa quasi solo in tv, e ormai solo con la formula del «cercasi talenti» che beninteso, una volta trovati, non saranno mai reimpiegati in nessun posto. Il talent show azzera i costi degli ingaggi degli artisti: si tratta di artisti (in questo caso di bambini) che, a loro spese di tempo, sacrificio e denaro, si formano e si esibiscono gratis.
L’esibizione gratuita è chiamata ipocritamente: «un’occasione per mostrarsi in pubblico». Occasione che per chiamarsi tale non deve essere irregimentata e controllata dalla ripetitività imposta dal marketing e dal monopolio di un paio di persone, ma dovrebbe essere il frutto di tante possibilità finanziate con investimenti pubblici. Questo si chiamerebbe investimento in sviluppo e creatività. Se l’artista è gratis, solo il programma incassa dalla pubblicità (Rai anche dai soldi pubblici) senza che il guadagno venga reinvestito in nuove produzioni dove si paghino artisti, creativi e si dia impulso a nuove idee. Rai e Mediaset non sono affatto un’industria, né sono gestite come tali. É così che il macabro apparato della giuria diventa funzionale. Nel caso del talent dei bambini, la giuria ha un «valore» aggiunto molto potente: sposta la percezione dell’adulto che giudica – la maestra e il genitore, cioè le autorità con le quali imparare a misurarsi, magari per non diventare bulli – su Antonella Clerici, Gerry Scotti e sulla folla artificiale di adulti da casa che vota bambini, già corrispondenti a un numero, che si mostrano, ammiccano e si esibiscono per essere approvati da loro. C’è anche una risignificazione dello spazio: Ti lascio una canzone e Io canto si svolgono in scenografie per grandi (mentre gli studi dei grandi spesso hanno elementi infantili).
Come c’è una risignificazione del tempo: quello della regressione. Quanti anni hanno questi bambini al di là di quella anagrafica che va dai 7 ai 14? Conciati assurdamente come scimmiette in ufficio con giacche, cravatte, o abitini da prima comunione (che non si possono sporcare), non solo sono già formati per la macchina televisiva, ma appaiono più adulti della conduttrice Antonella Clerici che invece imita una bambina, si muove goffamente sulla scena, fuori tempo e spesso fuori luogo, ripetendo ossessivamente la parola emozione. Una squadra di autori Rai non è riuscita a capire che l’emozione è un punto di arrivo, una conquista. Non serve dire «che emozione» per evocarne una. «Sono ancora la tua principessa?» chiede invece una bimbetta a Gerry Scotti che, così fuori età nei modi e nelle fattezze, così infantile in quel contesto di piccoli adulti, infila superlativi a raffica: «eccezionale», «stupendo», «pensate: fantastico!». Oppure: «se non le cantano dei bambini le canzoni d’amore chi le canta?» dopo che due bimbi di otto e nove anni hanno cantato meglio di Mina: «davanti a te c’è un’altra vita, la mia è già finita». Si direbbe dunque, e ancora una volta la questione è più visibile per le donne-bambine e le bambine-donne, che si sia fissata un’età complessiva dell’audience, consumatori, elettori intorno alla prima adolescenza. A questi verrà poi indirizzato un messaggio politico sempre più regressivo e uno dal marketing sempre più violento e invasivo. Sulla stessa linea di allucinazione temporale, le maggiori case di moda propongono pubblicità (nei supplementi dei quotidiani progressisti) di donne adulte come bambine prostitute, usando in abbondanza anche bambine in posizioni sessuali, sdraiate su divani, con gesti ammiccanti e seduttivi, in posizioni e contesti da mini prostitute di strada, labbra rigonfie e rossetti rossi lucidi da super Lolite.
Ti lascio una canzone…Forse l’unica è Another brick in the wall dei Pink Floyd: teacher, leave the kids alone!